AGGIORNAMENTI
PER LA FORMAZIONE CONTINUA DEGLI OPERATORI SANITARI
A
Torino il 65° Raduno ORL della Sessione Infermieristica – Intervista a Antonino
Lombardo, coordinatore e tutor di PDTA nell’ambito dell’Otorinolaringoiatria.
Tra le terapie adottate le metodiche del
“clima empatico” e il cosiddetto “tocco armonico”
di Ernesto Bodini
Nel
campo della Medicina e della Sanità gli aggiornamenti sono periodici, in parte
consigliati e in parte obbligatori, non solo per l’attribuzione degli ECM ma
anche per permettere al professionista sanitario la formazione continua e
rispondere al meglio ai bisogni dei pazienti, alle esigenze organizzative ed
operative del SSN e del proprio sviluppo professionale. Tra questi il 65°
Raduno ORL Alta Italia della Sessione Infermieristica che si è tenuto, nei
giorni scorsi, per iniziativa della S.C. di ORL dell’ospedale Molinette diretta
dal prof. Roberto Albera. Un vero e proprio Percorso Diagnostico Terapeutico
Assistenziale (PDTA) rivolto a diverse figure professionali medico-sanitarie e
infermieristiche. A margine di questo incontro ho avvicinato Antonino Lombardo
(59 anni di cui 33 dedicati all’attività clinica e all’insegnamento), coordinatore
infermieristico e tutor dei PDTA (coadiuvato dalla collega Enrica Fontana), che
mi ha rilasciato questa intervista.
Signor
Lombardo, cosa significa essere Tutor nelle Discipline Infermieristiche, oggi?
“Il
ruolo di Tutor è sempre stato considerato importante in quanto comporta, oltre
a determinate competenze, notevoli responsabilità soprattutto per il futuro degli
studenti infermieri, cui spetta anche il compito dell’organizzazione delle
docenze nei PDTA; un percorso ben definito e spiegato loro durante l’attività
clinico-assistenziale al letto del paziente, che dovranno conseguire la Laurea
in Scienze Infermieristiche e, nella loro attività. Tutto ciò con una visione
globale, avendo come fine non tanto curare quanto prevenire”
Secondo
lei, quali sono le motivazioni, soprattutto dell’ultima generazione, nel voler
intraprendere la professione infermieristica?
“La
maggior parte dei candidati giungono a questa Disciplina come “seconda scelta”,
che poi diventerà la prima per una evidente predisposizione tecnica ed
umanitaria che li porterà ad andare oltre… Quindi, la differenza tra la prima e
la seconda scelta è proprio la motivazione”
Che
tipo di collaborazione può dare un Tutor nella preparazione di una Tesi di
Laurea in questa Disciplina?
“Questo
è un aspetto altrettanto importante considerando il Tutor come riferimento per
approfondire le conoscenze e le problematiche, sulle quali lo studente
formulerà la propria Tesi che dovrà comprendere anche gli aspetti della
ricerca”
Anche
l’infermiere di oggi, secondo la sua esperienza, è più “favorito” dal supporto
della tecnologia, e magari per questo è da considerarsi più professionale?
“Certamente,
anche perché per ottenere un buon risultato non solo sono indispensabili le
nozioni tecnico-pratiche, ma anche l’utilizzo della tecnologia di supporto che
ne completa il percorso diagnostico e terapeutico, al fine di ottenere per il
paziente una migliore qualità di vita”
L’infermiere
di corsia in ospedale e l’infermiere di ambulatorio territoriale, sono due
realtà diverse oppure sostanzialmente simili?
“Sono
diametralmente opposte e, seppure la figura professionale è unica, nello stesso
tempo sul campo della formazione è molto diversificata. L’infermiere di corsia
in ospedale è sin da subito orientato verso un determinato reparto (Chirurgia o
Medicina), e altrettanto per l’infermiere del Territorio ma con caratteristiche
in parte diverse… La differenza sostanziale consiste nel fatto che in una
corsia di ospedale ci possono essere più pazienti da seguire, e con patologie
più “impegnative” dal punto di vista assistenziale ed in presenza di infezioni
nosocomiali; mentre l’infermiere che lavora in un ambulatorio territoriale ha
meno risorse e talvolta è solo…”
Come
è considerato l’infermiere dal corpo medico, soprattutto in ambito ospedaliero?
“Questa
realtà varia da una situazione all’altra. Alcune équipe infermieristiche hanno
“l’opportunità” di confrontarsi “alla pari” con i medici; in altre circostanze
quando fra le parti non si è creato un rapporto che potrei definire paritario,
ne consegue una sorta di subalternità più o meno evidente dell’infermiere verso
il medico. Ma se l’intento è comune nel rispetto delle reciproche attività, la
conseguente sinergia non può che procurare beneficio sia al paziente che a loro
stessi”
Per
una buona assistenza quali requisiti deve avere l’infermiere?
“Come
ho già detto è essenziale la motivazione, oltre naturalmente ad un apporto
umano diretto, preparazione tecnica e conoscenze in itinere in considerazione
del fatto che la Medicina è in progress, tale da richiedere un continuo
aggiornamento da parte dell’operatore. Ma non meno importante è il costante
confronto con i colleghi infermieri e medici; al tempo stesso non è da
trascurare la relazione paziente-infermiere e infermiere-paziente, attraverso
la quale si attiva quel rapporto empatico necessario alla cura”
Nel
vostro reparto di ORL sovente vengono ricoverati pazienti oncologici. Quale
tipo di approccio deve avere l’infermiere nei loro riguardi?
“Normalmente
si tende a ritenere che la propria disciplina di riferimento, come quella
infermieristica, sia la più complessa; ma obiettivamente va rilevato che nel
caso di pazienti ricoverati per essere sottoposti, ad esempio, ad interventi
demolitivi, l’approccio implica un certo atteggiamento di particolare riguardo
poiché in questi pazienti si è modificata la propria immagine corporea. Quindi,
si tratta di creare con loro un clima di fiducia che lo aiuterà a superare gli
effetti delle “alterazioni” del volto. Un obiettivo che si raggiunge dopo aver
fatto un percorso di adesione al processo di cura, spiegando a questi pazienti
come meglio potranno affrontare la vita una volta dimessi dall’ospedale… spesso
con buoni risultati estetico-funzionali”
Voi
organizzate ogni anno i cosiddetti PDTA. Quando sono iniziati e con quali
finalità?
“Il
PDTA lo abbiamo progettato sin dal 2005 e nel 2007 lo abbiamo pianificato con il
primo Corso della durata di un giorno, e ciò con lo spirito di creare percorsi
predefiniti coinvolgendo varie figure professionali per i quali il tema essenziale
era quello di mettere il paziente al centro. E questo anche perché essendo
alcuni pazienti assai complessi dal punto di vista sia clinico che psicologico,
gli stessi necessitano determinate attenzioni per l’intero periodo della degenza”
Ma
a chi sono rivolti i PDTA?
“Inizialmente
ai colleghi della nostra stessa Struttura, in seguito questo modello lo abbiamo
esteso a colleghi di altre Strutture, sia a livello regionale che nazionale che
comprendono: infermieri, logopedisti, audiologi, fisioterapisti, medici, etc. Nel
2020 sarà l’undicesima edizione (che si terrà all’ospedale Molinette dall’8 al
12 giugno), e l’intero corso durerà cinque giorni, riconoscendo ai discenti i
cosiddetti crediti formativi (ECM). I docenti che appartengono alle più diverse
discipline, illustreranno l’intero percorso: dalla diagnosi e ricovero alle
dimissioni.
Quali
sono stati i riscontri sinora?
“Ogni
anno il PDTA ha suscitato il massimo coinvolgimento nell’apprendere migliorie
teorico-pratiche, frutto di una concreta Evidence Based Medicine (EBM), della
acquisizione di una Medicina basata sulle conoscenze di ciascuno. Insomma, una
vera e propria expertise da parte di tutti i professionisti”
Nella
vostra casistica clinico-assistenziale quali i risultati più significativi?
“É
indubbio che la medicina e la chirurgia hanno il loro peso dal punto di vista
terapeutico, ma è altrettanto fondamentale il contributo dell’operatore (medico
e infermiere) nel rafforzare le energie del paziente, specie se soggetto ad
intervento chirurgico esteso per patologia oncologica o per trauma. Il nostro
obiettivo è quello di creare un clima favorevole per portare il paziente ad
accettare il suo “status” nell’ottica di una visione diversa e nello stesso
tempo innovativa di sé. E, come più volte abbiamo constatato, il clima è anche
terapia”
E
a proposito di terapia, in questi ultimi anni nel vostro reparto avete
introdotto quello che è definito il “Tocco Armonico”. Di cosa si tratta?
“É
una metodica anche relazionale che nel nostro reparto viene praticata dagli
infermieri (preventivamente formati) da ormai quattro anni, e va ad inserirsi
nella filosofia di cura tesa a sollecitare le energie positive del paziente
attraverso quello che viene definito il “massaggio lento”. Una metodica
terapeutica (ideata anni fa dall’infermiere Enzo D’antoni, coadiuvato dalla
collega Erika Mainardi) non invasiva e non aggressiva, una sorta di maieutica,
ossia la capacità operativa di attivare processi di trasformazione e
apprendimento basati sulla motivazione interna, con la quale si riesce a
sostenere nei pazienti il loro benessere potenziale e il conseguente
riequilibrio psico-fisico, accompagnato dalle vie della memoria e mantenerlo
nel tempo”.
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