UN UOMO SANO, UNA VITA SPEZZATA
Chico Forti da vent’anni
detenuto negli USA a causa di una modesta obiettività
in cui il conflitto
giustizia-ingiustizia ha allontanato la realtà… quella vera
di
Ernesto Bodini
É
sicuramente scontato, se non retorico, affermare che l’insensibilità, la
presunzione, la supponenza e il senso del potere sono atteggiamenti che
accompagnano l’uomo sin dalle sue origini; ma soprattutto da quando si sono
create le comunità all’interno delle quali doveva esistere qualcuno (designato
o meno) a condurla nel suo prosieguo esistenziale. Poi, con il passare degli
anni e dei secoli, le popolazioni si sono moltiplicate e con esse l’esigenza di
attivare quel senso di giustizia che ne regolasse il comportamento. Ecco che,
nelle varie realtà, il concetto di giustizia e difesa hanno assunto un ruolo
sempre più marcato e incontrovertibile, ma con fasi di applicazione teorica e
pratica diverse da un Paese all’altro e da una cultura all’altra, anche non
giuridica. Ma cos’è il senso di giustizia? E chi può ritenersi detentore di
tale giudizio-gestione all’interno di una comunità? Ovviamente entrano in campo
una serie di protagonisti quali il giudice, l’avvocato, periti forensi come il
criminologo, lo psichiatra, lo psicologo clinico, a volte anche l’antropologo, etc.
Ma è sufficiente la preparazione accademica
di queste figure professionali che saranno deputate, a vario titolo, a
giudicare (o contribuire al giudizio) un reo o presunto tale? Sono quesiti
inquietanti ai quali non è facile rispondere ma che in concreto ciascuna di
esse deve espletare il proprio ruolo con serenità e imparzialità. Ma veniamo ad
un caso concreto. Tra i molti casi di detenzione carceraria nel mondo, quelli
che lasciano maggiormente il segno solitamente riguardano i detenuti innocenti,
senza però escludere anche i presunti tali perché, al di là di ogni ragionevole
dubbio, bisogna considerare concretamente la presunzione o conclamata
innocenza… soprattutto di quelli soggetti a detenzione. Uno dei più eclatanti
del quale si è occupata più volte “Le Iene” (programma di approfondimento e di
attualità che propone inchieste e reportage facendo uso di uno stile
irriverente e satirico, in onda su Italia Uno dal 1997) e riguarda il nostro
connazionale Chico Forti (pseudonimo di Enrico Forti, classe 1959), nativo di
Trento, che nel 2000 è stato condannato all’ergastolo negli Stati Uniti per l’omicidio
di Dale Pike, avvenuto il 15 febbraio del 1998 a Miami. La puntata trasmessa da
Le Iene il 22 dicembre scorso è stata dedicata all’intervista a Forti
dall’inviato Gaston Zama. Per ragioni di sicurezza o di scarsa magnanimità
delle autorità federali americane, l’incontro è stato breve ma comunque
sufficiente per far esprimere al nostro connazionale (apparentemente in buona
salute) profondi sentimenti e qualche considerazione non tanto sul “fatto” in
sé, quanto invece sulla precarietà della Giustizia americana, e di riflesso
anche di quella italiana anche se c’é stato qualche “timido” tentativo da parte
di alcuni politici di interessarsi della vicenda. Il tono pacato e dimesso e
non privo di una grande dignità di Chico Forti, è stato un messaggio di ritorno
alla libertà, alla sua terra, all’affetto dei suoi cari, come pure ai suoi
interessi socio-culturali e professionali; ma soprattutto e con veemenza il
volere la giustizia (senza compromessi) poiché si ritiene vittima di un errore
giudiziario, e quindi innocente. Rievocando con l’intervistatore i comuni e
fedeli amici come pure i suoi tre figli (ormai adulti) e l’anziana madre, gli
ha procurato un certo sollievo, ma al tempo stesso l’amarezza per una vita
“spezzata”, ingiustamente estorta ai suoi famigliari che se pur molto distanti
non lo hanno mai abbandonato. Forti è ormai 60enne, e da sempre all’interno del
carcere lavora molte ore al giorno occupandosi un po’ di tutto, non solo per
trascorre il tempo ma anche (se non soprattutto) per dare un senso all’esistenza
all’interno di quelle mura che, però, non possono rinchiudere e detenere il suo
animo terso e i suoi sentimenti incontaminati di Uomo che forse non giudica i
suoi simili (i responsabili della sua pena), ma li richiama o li richiamerebbe
invitandoli a rivedere il sapiente distinguo tra “Giustizia e Ingiustizia”. Questa
triste vicenda è la copia di molte altre
nostrane in cui il concetto di innocenza (o presunta tale) è spesso superato da
uno pseudo garantismo perché, in molti casi, ciò che è scritto difetta drasticamente
nella interpretazione. Da qui l’arroganza del potere politico e a volte anche
quello giuridico che sono perennemente alleati. Un’alleanza che soffoca una
vita senza porsi il problema se è il primo che prevale sul secondo o viceversa.
Concludo questo articolo dedicando a Chico Forti una bella e significativa
poesia di Nazim Hikmet, (1902-1963) il più importante poeta Turco del
Novecento, affinché la saggezza di questi versi possano sostenere il suo animo
e la sua speranza nel vedere aprirsi la finestra della “vera” Giustizia e la
porta della “incondizionata” Libertà.
PRIMA DI TUTTO L’UOMO
Non vivere su questa terra/come un estraneo/ e come
un vagabondo sognatore./ Vivi in questo mondo/ come nella casa di tuo padre:/ credi
al grano, alla terra, al mare,/ ma prima di tutto credi all’uomo./ Ama le
nuvole, le macchine, i libri,/ ma prima di tutto ama l’uomo./ Senti la
tristezza del ramo che secca,/ dell’astro che si spegne,/ dell’animale ferito
che rantola,/ ma prima di tutto senti la tristezza/ e il dolore dell’uomo./ Ti
diano gioia/ tutti i beni della terra:/ l’ombra
e la luce ti diano gioia,/ le quattro stagioni ti diano gioia,/ ma soprattutto,
a piene mani,/ ti dia gioia l’uomo!
La
foto in alto è tratta dal quotidiano online Fanpage.it
Commenti
Posta un commento