UNA
TASSAZIONE INIQUA FAVORITA DAL PERSISTENTE MASCHILISMO
Le
esigenze economico-finanziarie non tengono conto di ciò che la Natura
ha
“imposto” alla donna. Una assurda vessazione dai molteplici commenti
di Ernesto Bodini
Il lungo percorso esistenziale
femminile sin dal suo esordio è accompagnato dalla sentenza biblica che recita:
«Moltiplicherò le doglie delle tue
gravidanze, partorirai i figli nel dolore, tuttavia ti sentirai attratta con
ardore verso tuo marito, ed egli dominerà su di Te» (Genesi 3,16). E come
se non bastasse, “l’appuntamento” mensile con il ciclo mestruale è un altro
aspetto che accompagna la donna nella sua quotidianità, ancorché disturbata da
quello che è considerato un fenomeno misterioso, ancora oggi circondato da
leggende e superstizioni che non sempre l’uomo comprende e rispetta… E, a
questo riguardo, alcuni politici nostrani, in particolare, per cocciuto egoismo
e sfacciato maschilismo hanno pensato di mantenere l’IVA al 22% sugli
assorbenti igienici e altri prodotti dell’igiene femminile (al pari di
sigarette, birra e vino; tartufo al 10%, rasoio al 4% come pane e latte),
nonostante l’opposizione di alcuni… eletti, ossia di una misera minoranza.
Questa vessazione degna di “padre-padrone” di vecchia memoria, è una ulteriore
dimostrazione dell’intramontabile, ripeto, maschilismo che non si piega nemmeno
di fronte ad una incombenza inevitabile, peraltro non voluta dalla donna, che
suo malgrado ogni mese l’accompagnerà sino al periodo della menopausa. Quindi,
la mannaia fiscale incombe sulle adolescenti e donne in età fertile per alcune
decine di anni e, tassare oltre misura un “mini prodotto” per assorbire ciò che
la Natura ha imposto, è paragonabile alle gabelle di epoca medioevale. Ad
avvalorare la contestazione può essere utile il confronto con altri Paesi
europei: l’Italia è tra gli ultimi 6 con IVA al di sopra del 21% sui prodotti
per donne; in 13 sono al di sotto del 10%, altri 8 tra il 10 e il 21%.
L’esempio più favorevole è dato dall’Irlanda dove tali prodotti non sono
tassati (mentre fa eccezione l’Ungheria che tassa al 27%); ma proseguendo si
arriva in Spagna con il 10%, Regno Unito 5%, Germania 19 %, mentre in Francia ci
sono voluti vent’anni di lotta per scendere dal 20 al 5,5%. Nonostante questi
razionali esempi a noi confinanti in Italia non si riesce passare dal 22% al
10% in particolare per quanto riguarda tamponi, assorbenti, spugne, etc. Una opposizione che non tiene conto che una
donna per l’intero periodo fertile (tra i 12 e i 50 anni) utilizza circa 12
mila pezzi del prodotto spendendo in media 70 euro all’anno. Ma a mio avviso
non è solo questione di cifre e, senza fare della demagogia, ritengo che il
problema sia da affrontare prima di tutto dal punto vista culturale e
conseguentemente da quello etico e della razionalità. In questo senso il Comune
inglese di Brighton e Hove ha inserito nei programmi scolastici (per maschi e
femmine) nozioni sul “funzionamento” delle mestruazioni, e su quali siano le
difficoltà incontrate dalle ragazze, ma anche transgender o non in linea con il ciclo, quando le possibilità
economiche della famiglia sono così modeste da non poter comprare gli
assorbenti. Per quanto riguarda la realtà italiana l’accettazione di questo argomento, a mio avviso stenta a
consolidarsi perché ancorata alle pregresse conquiste sociali, a partire dall’ottenimento
delle pari opportunità tra uomo e donna in vari ambiti; una conquista che
risale al 1977 con la considerazione della tutela del lavoro femminile, e il
Regio Decreto Legge 11186/44 sanciva la soppressione del divieto per le donne
di impartire alcuni insegnamenti; e con la Costituzione del 1948 si sanciva il
diritto alla parità; successivamente, con la legge 860/50 veniva stabilita la
tutela fisica ed economica delle lavoratrici madri, completata con la legge
741/56; e con la legge 339/58 si garantiva la tutela del rapporto di lavoro
domestico, mentre la tutela del lavoro a domicilio veniva garantita con la
legge 877/73.
Nel 1960 è stata prevista la
parità salariale uomo-donna, e la legge 7/63 enunciava il divieto di
licenziamento delle lavoratrici per causa di matrimonio; seguirono poi le leggi
66/63 e 1204/71 rispettivamente per l’ammissione della donna ai pubblici uffici
ed alle professioni, e regolamento per la tutela delle lavoratrici madri; oltre
alla legge 903/77 per la parità di trattamento tra uomini e donne in materia di
lavoro. Ma purtroppo allo stato attuale, come si rileva da una breve dell’Ansa
del 15 novembre, per una donna, lavorare e fare figli in Italia può essere un
calvario: lo Stato, le aziende e la cultura dominante nonostante leggi,
programmi, discorsi e sforzi recenti, sono ancora tarate su un modello
culturale maschile e patriarcale. Questo breve excursus legislativo sta a
dimostrare quanto ha dovuto penare la donna per essere considerata al pari
dell’uomo: sacrifici, umiliazioni, rinunce e soprusi; un prezzo molto alto
anche tra i Paesi più emancipati… ma non sufficiente per far capire all’uomo
che l’Essere umano, in quanto Persona, è unico di fronte a Dio e alla coscienza
di ognuno. Per quanto riguarda il ciclo mestruale, nonostante la sua banalità, ma
forse banale non è del tutto, in talune realtà è ancora oggetto di scherno, e per
questo «è opportuno che tutti comprendano
(soprattutto le giovani quando si affacciano a questo evento del tutto
naturale) – come invita Élise Thiébaut, autrice del saggio “Questo è il mio sangue” (Ed. Einaudi,
2008) – che anche grazie alle
mestruazioni l’umanità ha fatto i primi calcoli di matematica, si è interessata
all’astronomia, alla fisiologia della riproduzione. E il sangue mestruale,
lungi dall’essere uno scarto o un veleno, è anche pieno di preziose cellule
staminali». Quindi, per le donne ogni “cadenza mensile” non deve (o non
dovrebbe) essere un incubo, ma un appuntamento con il proprio orologio
fisiologico rammentando all’uomo che lo scandire del tempo deve far parte anche
della sua conoscenza e della sua cultura, e che le sue “attenzioni” non devono
essere limitate al periodo pre o post mestruale.
La seconda immagine è tratta da macosamidicimai
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