RICORDO
DI GIORGIO BRUNELLI, PIONIERE DELLA MICROCHIRURGIA ITALIANA
Insigne
clinico e cattedratico che diede un consistente impulso a questa disciplina con
vasta eco internazionale. Fu autore di numerosi interventi e pubblicazioni
scientifiche
di Ernesto Bodini
Il nostro Paese, è bene che si sappia, ha
ben poco da invidiare ad altri nell’ambito della Medicina e della Chirurgia, ma
in particolare della Microchirurgia. Questa iper-specialità ha avuto il suo
esordio verso la fine del XIX secolo, avvalendosi dell’impiego di un
microscopio dedicato, strumenti e fili di sutura di minuscolo calibro, e quindi
di “sofisiticate” tecniche e strategie operatorie sempre più raffinate a
partire del XX secolo. La sua evoluzione richiederebbe tempo e spazio, ma la
mia attenzione si sofferma su uno dei pionieri della moderna ed avanzata
microchirurgia, il prof. Giorgio Brunelli (1925-2018). Nativo di Soragna (PR),
diventò bresciano quando il padre assunse il ruolo di veterinario capo del
Comune, cui seguirono anni di studio interrotti dalla chiamata alle armi, in
seguito alla quale si iscrisse alla Facoltà di Medicina di Parma (si mantenne
agli studi come venditore di profumi ed essenze da lui stesso preparati),
laureandosi nel 1949 e iniziando l’attività tra una condotta e una supplenza.
Alla ricerca di ospedali e università disposti ad accoglierlo e a sostenere il
perfezionamento delle sue ricerche, nel 1955 approdò a Parigi grazie ad una
borsa di studio e, dopo alcuni anni di approfondimento, nel 1964 divenne
primario di Ortopedia all’ospedale di Chieti dove sperimentò (primo in Italia)
un metodo rivoluzionario per interventi di protesi totale dell’anca, cui seguì
con successo il primo reimpianto di arto. Seguirono anni di grande impegno e
sacrifici all’Ospedale Civile di Brescia dove sperimentò nuove tecniche e formò
nuove generazioni, dove fu direttore della Clinica Ortopedica fino al 1997; una
dedizione ed un impegno costanti nel tempo tanto che gli americani lo
definirono “The best” (il migliore).
All’attività professionale alternò momenti ludici e culturali come la stesura
di volumi scientifici (466 articoli su previewed journals, 30 capitoli in libri
italiani ed internazionali, 10 libri di testo e 7 monografie) e un vocabolario
rivoluzionario della lingua dialettale, oltre a dipingere per omaggiare agli
amici, senza trascurare l’ambizione di far sorgere una clinica specialistica e
avveniristica, in seguito sorta ad Ome (BS) poi convenzionata con il SSN.
Amante delle sfide si dedicò in particolare alle lesioni della mano (ai suoi
tempi molto frequenti: era il periodo post-bellico), ancor più “affascinato”
dalla complessità per il trattamento delle stesse. Dagli inizi anni ’60 iniziò a ideare tecniche chirurgiche per la
cura delle lesioni tendinee, ossee, nervose e vascolari della mano e degli
arti, specie se affetti da paralisi causate dalla poliomielite; e furono
proprio questi arti flaccidi “deturpati” dal virus della polio a essere
trattati per ridare la loro funzione originaria i cui risultati, seppur in
parte non brillanti per le modeste risorse tecnologiche dell’epoca, furono
comunque soddisfacenti ed utili nel tentativo di dare ai piccoli pazienti la
possibilità di affrontare il loro futuro. «Negli
anni seguenti – rilevo da alcune sue note memoriali – continuai ad interessarmi di arti poliomielitici ma anche di paralisi
flaccide, e da traumi nervosi ai quali si aggiunsero le paralisi spastiche, la
cui patogenesi divenne sempre più frequente con il diffondersi dei traumi
stradali». Grazie ai progressi per il trattamento delle lesioni
neuromotorie, non c’é tipo di paralisi degli arti superiori che non possa
essere trattata e migliorata con alcune delle tecniche messe a punto dagli anni
’40 in poi restituendo una funzione alle mani. Nel 1962 nasceva in Italia la
Società Italiana di Chirurgia della Mano fondata dallo stesso Brunelli con
altri sette colleghi, raggiungendo in poco tempo ben 500 iscritti; e fu proprio
il suo interesse per la mano, con le sue fini strutture vascolari e nervose,
che lo portò ad abbracciare la Microchirurgia iniziando così, primo in Italia,
a studiare meticolosamente attraverso il microscopio chirurgico con fini
dissezioni e con stimolazioni elettriche intraoperatorie i nervi periferici per
localizzare, al loro interno, la posizione di fasci di fibre con funzioni
diverse per ottenere una corretta funzione della mano. «Per operare bene nervi e vasi – si evince dalle sue memorie – occorrevano strumenti particolari che allora
non esistevano. Alcuni ne fabbricai io modificando, ad esempio, le mollette dei
capelli delle donne da usare come clamps che servivano per arrestare
temporaneamente il flusso sanguigno, mentre si riparavano i vasi di piccolo
diametro (2-3 millimetri). Altri erano già sul mercato come le fini pinze da
orologiaio, altri ancora li ottenni dalle aziende produttrici di strumenti
chirurgici dopo aver discusso con i loro ingegneri le caratteristiche
“microscopiche” degli strumenti stessi». Da allora, si era agli inizi degli
anni ’70, il campo dell’Ortopedia si arricchì di interventi molto particolari
ed efficaci, soprattutto sul plesso brachiale. Il lituano Algimantas Otanas Narakas (1927-1993) aveva cominciato ad
operare con tecnica microchirurgica le paralisi del plesso brachiale, sempre
più frequenti a causa degli incidenti motociclistici; una mole di lavoro che
attirò il Brunelli andando ad osservare per acquisirne la tecnica, e tornare in
Italia per praticarla egli stesso. «In
quel periodo – ricordò più volte – operammo
presso il Dipartimento di Ortopedia e Traumatologia agli Ospedali Civili di
Brescia, oltre mille pazienti affetti da paralisi dell’arto superiore da
lesione del plesso, con risultati molto soddisfacenti nel recupero funzionale
del braccio che, in termini pratici, significa che centinaia di persone sono
tornate alla vita attiva lavorativa. Ci voleva coraggio sia perché l’intervento
era di difficile esecuzione tecnica, sia perché il successo non era sempre
scontato». Ancor più “azzardato” un intervento (primo in Europa) da lui
eseguito in microchirurgia nel 1973 fu il reimpianto totale di un arto amputato,
e si trattava di un adolescente di 13 anni che aveva perso il braccio nella
lavatrice industriale dell’azienda di famiglia. Ne seguirono altri eseguiti con
la sua équipe (ben 25.000 di cui 3.500 in microchirurgia) e, in breve tempo,
Brescia divenne Centro di riferimento per i reimpianti in pazienti provenienti
da tutte le parti d’Italia e anche dall’estero; oltre ad essere stato definito
Centro di formazione per molti chirurghi frequentanti corsi teorico-pratici di
microchirurgia. «Tra questi – è
sempre il ricordo del prof. Brunelli – anche
il dott. Antonio Salafia, che da anni viveva in India dove prestava la sua
opera di chirurgo presso il lebbrosario “Vimala Dermnatological Center di
Mumbay. Desiderava imparare le tecniche microchirurgiche per operare al meglio
i pazienti affetti dal morbo di Hansen (lebbra). In seguito andammo in India e
lì portammo il nostro corso teorico-pratico, facendo scuola».
Negli anni ’80 si impegnò nella ricerca sperimentale nel tentativo
di guarire le lesioni del midollo spinale e le paraplegie, tanto che nel 1990
fu costituita la Fondazione per la Ricerca sulle Lesioni del Midollo Spinale
che, con il suo Gruppo Italiano di Studio sulla Paraplegia, diede inizio alla
ricerca in collaborazione con ricercatori degli Istituti di Fisiologia,
Neurofisiopatologia, Farmacologia, Biotecnologie, Istologia Patologica e
Patologia Generale dell’Università degli Studi di Brescia. Numerosi gli
attestati che hanno coronato la sua carriera, tra i quali particolarmente
significativo quello della prof.ssa Rita Levi-Montalcini (con lui nella foto)
che lo candidò al Premio Nobel per la Medicina per i contributi dati alla
ricerca di base e applicata nella conoscenza del Sistema Nervoso Centrale (SNC).
In un momento di particolare consapevolezza e gratitudine verso tutto ciò che,
nel corso della sua lunga ed illuminata carriera, lo ha aiutato a crescere e a
realizzarsi come medico e, soprattutto, come uomo, ebbe a scrivere alcune
riflessioni: «Le tue radici sono profonde
nella tua terra e ti trattengono nel tuo Paese, anche se sei lontano nello
spazio e nel tempo. Non dimenticare le tue radici. Senza radici non hai linfa,
senza radici non puoi vivere, senza radici non cresci, senza radici non ti
riconosci, senza radici non hai cultura, senza radici non… voli».
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