L’AUDIOLOGIA
ALL’OSPEDALE MARTINI DI TORINO
Una
giornata in ambulatorio con gli specialisti per descrivere
alcuni
casi di pazienti affetti da disturbi e malformazioni dell’udito
di
Ernesto Bodini
Forse, oggi, la disciplina dell’Audiologia è
poco misteriosa e per questo più affascinante, sia perché si è separata dalla
branca dell’Otorinolaringoiatria sin dal 1960 sia perché con la propria
autonomia ha fatto notevoli progressi. E nei successivi approfondimenti per far
fronte alla sordità ha trovato in Athanasius Kircher (XVII sec.) il “padre”
della protesi acustica (a lui si deve l’invenzione del cornetto per deboli di
udito), contribuendo così allo sviluppo dell’Audiologia; cui seguì nel 1880 la
realizzazione dei primi apparecchi acustici ad opera dello scozzese Alexander
Graham Bell (1847-1922), che cercò di donare l’udito alla sua giovane moglie
sordomuta (oggi si direbbe non udente), che era anche una sua allieva nella
scuola per sordi dove egli insegnava. Questa, una breve sintesi degli esordi
della disciplina audiologica, ma in concreto chi è l’audiologo? È uno
specialista preposto alla diagnosi e al trattamento dei disturbi del sistema
uditivo e vestibolare (come l’ipoacusia, gli acufeni e i problemi
dell’equilibrio), alla prescrizione e al monitoraggio di apparecchi acustici e
impianti cocleari. Per approfondire la conoscenza di questa disciplina nei
giorni scorsi sono tornato “ospite-visitatore” (a scopo divulgativo) negli
ambulatori di Audiologia dell’ospedale Martini, accolto dal dott. Diego Di Lisi
(nella foto in alto), chirurgo audiologo e foniatra, responsabile dell’attività
ambulatoriale, coadiuvato dal dott. Federico Caranzano. L’attività
ambulatoriale odierna (mercoledì 2 ottobre) si prospetta molto intensa tra
prime visite e follow-up (visite di controllo), tant’è che il neo specializzato
ma ben formato Caranzano, darà corso ad una serie di accertamenti con pazienza
e disponibilità al dialogo, assistito da due infermiere che si alternano in
continuazione. Alle 9.40 il medico
riceve il primo paziente, un uomo di 76 anni (accompagnato dalla moglie) che
proviene dalla provincia. Da tempo è dotato di protesi acustiche e ora viene
sottoposto al controllo audiometrico per verificare l’attuale capacità uditiva,
che risulta essere migliorata, sia pur gradualmente. Alle 10.00 entra un giovane di 16 anni, accompagnato dal padre; è
affetto da perforazione mono laterale della membrana timpanica in seguito alla
quale è stato sottoposto ad intervento di timpanoplastica. Dall’esame
audiometrico tonale la capacità uditiva è sensibilmente migliorata. Quindi, il
controllo fra un anno. Alle 10.35 fa
capolino un altro paziente di 76 anni, affetto da ipoacusia improvvisa su
pregresso deficit uditivo bilaterale, già trattato con farmaci cortisonici e
camera iperbarica in seguito sospesa per intolleranza. Dopo questo accertamento
il medico ne ha predisposto un ulteriore controllo a breve… Sono le 10.55 quando viene accolto un paziente
affetto da esostosi del condotto uditivo, ora visitato per controllarne
l’evoluzione in quanto si tratta di una formazione benigna di un nuovo tessuto
osseo, in questo caso all’interno del condotto uditivo. «In questo caso – spiega Caranzano – la sua patologia non necessita un trattamento chirurgico, in quanto non
determina un deficit uditivo e tanto meno un’infiammazione cronica». Verso
le 11.00 il medico riceve una
bambina di 6 anni accompagnata dai genitori che, visitata a titolo
precauzionale, il medico conferma essere affetta da adenotonsillite ricorrente
ma il decorso si è spontaneamente normalizzato, e l’udito è nella norma. Alle 11.23 entra in ambulatorio un paziente
di circa 50 anni, già sottoposto ad intervento di stapedoplastica per
correggere l’otosclerosi, una crescita microscopica anomala di tessuto osseo
attorno alla staffa, compromettendone i movimenti e riducendone la capacità
uditiva; viene ora sottoposto dal medico all’esame dell’udito che conferma la
stazionarietà della sua situazione, e ne prescrive il controllo tra tre-quattro
mesi. Alle 11.56 l’infermiera fa
entrare una donna di 77 anni, affetta dalla sindrome di Ménière, una patologia
dell’orecchio interno che causa vertigine, ipoacusia neurosensoriale fluttuante
e acufeni. Nel corso della visita il dott. Caranzano la sottopone inoltre a
manovre diagnostiche per la ricerca di una vertigine parossistica posizionale,
dalle quali è emerso un problema del canale semicircolare posteriore di
sinistra; tali manovre liberatorie (con l’intervento del tecnico audiometrista
Davide Como) hanno effetto di relativo beneficio. Il clinico prescrive una
terapia comportamentale e in seguito un programma di rieducazione vestibolare,
al fine di controllare la condizione di disequilibrio che pare essere cronico
per effetto sia della malattia di Ménière che della vertigine parossistica
posizionale. Alle 12.50 si
presentano due coniugi, ed è la moglie la paziente (di 62 anni) che da tempo
soffre di vertigini. Viene visitata dal dottor Di Lisi che nel confermarle la
stazionarietà della patologia, ne accoglie lo “sfogo” senza ipotizzare alcun
trattamento terapeutico, in quanto l’acufene è il sintomo di una malattia
dell’orecchio che ne ha determinato l’insorgenza; ma la malattia non è sempre solo
dell’orecchio perché può interessare altri organi come l’articolazione
temporo-mandibolare o essere determinata dall’intero organismo come, ad
esempio, l’ipertensione arteriosa.
Alle
13.13 due genitori accompagnano il
figlio 19enne affetto da otite media cronica, già operato di timpanoplastica
per pregressa perforazione del timpano stesso. Viene visitato dal dott.
Caranzano (nella foto) che predispone il controllo fra alcuni mesi. Alle 13.22 viene fatta entrare una donna di
73 anni accompagnata dalla figlia. La paziente ha subito due interventi di
timpanoplastica a causa di un’otite cronica media, mentre di recente è stata
trattata per un’otite esterna con coinvolgimento del padiglione auricolare, e
sottoposta a terapia antibiotica post intervento per il trattamento dell’infezione.
Il medico la visita attestando la stabilità della sua situazione clinica con
l’indicazione di un successivo controllo. Sono le 14.20 e, nonostante l’orario, non c’è tempo per una pausa, anche
per non far attendere ulteriormente i pazienti prenotati. Viene fatto entrare
un ragazzo di 14 anni, accompagnato dal padre. Il giovane paziente è affetto da
ridotta capacità uditiva monolaterale, con pregressa pericardite e sindrome
autoinfiammatoria ereditaria. Il dott. Di Lisi lo visita e conferma la presenza
di otite disventilativa cronica con versamento timpanico al lato destro, e
procede alla miringotonia bilaterale con inserzione di tubicini (micron) di
ventilazione. Tale procedura, in sede ambulatoriale, viene effettuata dallo
stesso dott. Di Lisi che consiste, previa anestesia locale, nell’applicazione a
livello trans-timpanico di tubicini di drenaggio, che rimangono in sede dell’orecchio
per un periodo variabile dai 4-6 mesi sino a un anno. Nelle successive ore
pomeridiane, e sino alle 16.30, i
dott. Di Lisi e Caranzano visitano altri
due-tre pazienti affetti da analoghe patologie e/o disturbi più o meno
significativi, rispondendo al meglio non solo alle loro esigenze con ampia
disponibilità alla comunicazione, ma anche nel “rispetto” della tempistica
imposta dalle numerose prenotazioni, tanto oggi come tutti i giorni della
settimana sia per le prime visite che per il follow-up. E questo in una fluida
sincronia e consolidata collaborazione con le infermiere, e in un clima
frenetico ma che sa dare risposte immediate alle domande di ogni paziente.
L’attività dell’audiologia infantile risulta essere sempre più moderna in grado
di soddisfare quelli che il dott. Di Lisi definisce il processo dei numeri 1, 3,
6 e 12. Il numero 1 perché entro il primo mese il piccolo paziente deve
essere sottoposto allo screening, verificando se sussiste il dubbio che non
senta bene; il numero 3 perché entro tre mesi deve essere stabilita una
diagnosi come, ad esempio, misurando la perdita uditiva (oggi sempre più
possibile grazie alla tecnologia); il numero 6 perché entro sei mesi deve
essere attuato il provvedimento rimediativo con l’apparecchio acustico a causa
della perdita uditiva medio-grave nel soggetto, e se la sordità è profonda e
“non risolvibile” con protesi acustiche; e il numero 12 perché entro dodici
mesi si deve procedere all’impianto cocleare. Anche questa realtà richiama i
tre gradi dell’handicap: impairment, disability, handicap. «In audiologia – sottolinea Di Lisi – l’impairment non è prevedibile in quanto è
la sordità stessa (non curabile); la disability è l’espressione dell’impairment
riferito alla mancanza di udito, sulla quale si può agire con la prevenzione
secondaria ossia la diagnosi precoce, e ciò prima che diventi un handicap».
Attualmente è in corso uno studio in bambini in età scolare portatori di
impianto cocleare sugli aspetti cognitivi del linguaggio, ossia tutto ciò che
significa esprimere un concetto come quello espresso con una frase… Questi
bambini, dal punto di vista metacognitivo, sono uguali ai normodotati se non
addirittura con un quoziente maggiore, e questo perché sin dall’inizio sono
stati indotti a fare attenzione al messaggio verbale. Ecco che la condizione di handicap, nel suo
contesto medico, sociale e culturale non avrebbe più ragione di esistere.
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