COMUNICARE
NEL RISPETTO DEL SOMMO DELLA LINGUA ITALIANA
Lo
scrivere ed esporre verbalmente in pubblico richiede
competenza
tematica, grande determinazione e onestà intellettuale
di Ernesto
Bodini
È
noto che la Lingua italiana, il cui padre Dante Alighieri ci ha fatto onore lasciandocela
in eredità, merita la massima considerazione per la bellezza espositiva sia scritta
che verbale grazie alla ricchezza dei vocaboli che non tutti, però, sanno usare
nella quotidianità. Stando ai dizionari più comuni, ne comprende circa 160
mila, e forse più con i moderni neologismi aggiunti in questi ultimi anni,
anche se, alcuni di questi sono assai discutibili per la poca appropriatezza come
il recente neologismo “Tottilatria”,
inserito in una nota Enciclopedia italiana… probabilmente a voler “idolatrare”
un asso-icona dello sport che, a mio avviso, non ha nulla a che vedere con il
lessico dantesco. Purtroppo, oggi, vi sono editori che sfornano una miriade di
titoli ogni anno e non vanno per il sottile, tant’é che per superare la crisi
del “calo lettori”, prediligono la politica commerciale talvolta a discapito
del valore letterario di determinate opere. E ben si inserisce quanto sosteneva
lo scrittore e filosofo francese Albert Camus (1913-1960): «Chi scrive in
modo chiaro ha lettori; chi scrive in modo oscuro ha commentatori». Ma
oltre a questa schiera di futuri scrittori e/o poeti dal lessico “troppo
facile” per la bramosia di pubblicare (magari a spese proprie), inseguendo
quella agognata notorietà a scapito del bel scrivere e il ben recitare, analoga
osservazione andrebbe fatta sui relatori-conferenzieri, spesso improvvisati sia
nel trattare la materia loro assegnata ma soprattutto per poca dimestichezza
nell’esprimersi in modo corretto e fluente. In tutti questi anni dedicati al
giornalismo e alla comunicazione verbale, sia per argomenti medico-scientifici,
socio-sanitari e culturali in senso lato, ho incontrato una infinità di
relatori molto preparati nella loro materia, ma alcuni difettavano nel lessico
e nella forma espressiva, e il problema si rendeva più impegnativo quando si
trattava di parlare “a braccio”, molto meno se l’esposizione veniva letta. Ma
in ambedue i casi non sempre emergevano le qualità del buon oratore, mentre in
altre realtà si “imponevano” per una certa oratoria ed eleganza espositiva. Ma
quali dovrebbero essere le qualità dell’eccellente oratore? Secondo un certo
Luigi Miano, che le ha rese pubbliche in online il 31/3/2010, ritengo utile
menzionarle.
Anzitutto si tratta di possedere competenza e preparazione per qualsiasi discorso che si tende a fare in
pubblico; avere una certa grinta è un attributo morale di buon sostegno
soprattutto per la motivazione con la quale si vuole esporre; credere in sé
stessi e in quello che si intende trasmettere all’uditorio; essere detentori di
autenticità dimostrando di essere il più possibile “sé stessi” e avere quella
compostezza sia pur a “rischio” di emozione… Inoltre, il relatore deve creare
emozione in chi lo ascolta inducendolo a riflettere e magari provocando
cambiamenti istantanei, e ciò, attraverso un eloquio paraverbale e gestuale
tanto da suscitare empatia; la spontaneità è un altro aspetto simile
all’autenticità, ma comporta l’essere flessibile ossia la bravura nel variare
“ad hoc” alcune parti del copione durante la sua esposizione adattandole al
momento e al tipo di pubblico. L’oratore può essere leadership proprio per
merito delle sue competenze, talvolta superiore al sapere del pubblico sia
sull’argomento in questione che su altri, meritandosi le attenzioni del
momento. Infine, l’essere congruente, virtù determinata dal linguaggio verbale,
paraverbale e del corpo in coerenza con il messaggio da far passare in modo
convincente, ricco di quei valori che fanno onore al suo ruolo di comunicatore
etico e umile al tempo stesso. A queste indicazioni
ritengo utile rammentare l’aforisma di Galileo Galilei (1564-1642): «Parlare oscuramente lo sa fare ognuno ma
chiaro pochissimi».
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