IGNOSCERE TOUT COURT


UN’ESPERIENZA SOCIALE DAI DELUDENTI RISVOLTI

Un inutile prodigarsi nei confronti di cittadini “insofferenti” alla burocrazia, primo
 nemico della vita quotidiana , ma incoerenti nel “rifiutare” suggerimenti e sostegno

di Ernesto Bodini


Esattamente sei anni fa, ad un Ente culturale torinese di grande diffusione popolare per le molteplici proposte tematiche attraverso corsi e conferenze (solitamente con relativa quota di iscrizione) che organizza ogni anno, proponevo, totalmente a titolo gratuito, un ciclo di tre incontri sul tema “La burocrazia in Italia – Sinonimo di potere ed efficienza, ieri; di potere e quasi sempre di inefficienza, oggi”, la cui finalità era quella di raggiungere i miei concittadini offrendo loro nozioni e suggerimenti pragmatici per superare gli intoppi perpetrati dalla burocrazia quotidiana, ad opera dei pochi solerti ed inefficienti (eccezioni a parte) dipendenti della Pubblica Amministrazione. Nel mio razionale introduttivo del programma, peraltro concordato con un responsabile dell’Ente in questione, specificavo quanto segue. La burocrazia è sempre stata (ed è) un problema di difficile soluzione in tutta Europa ed in particolare nello Stato con il più alto numero di leggi, come l’Italia. C’è quindi ragione di sostenere che i Paesi cosiddetti civili, per la questione burocratica, si possano dividere  in due categorie: Paesi burocratici e Paesi aburocratici. Poiché la burocrazia spesso crea danno alla società, ritengo sia utile trasmettere alla collettività alcune nozioni storico-culturali e soprattutto pratiche, affinché ciascuno possa affrontare al meglio le difficoltà quotidiane “imposte” dalla burocrazia stessa, prevenendo così incomprensioni, perdite di tempo, inutili coinvolgimenti dei mass media, e a volte, anche consulenze legali con le conseguenti parcelle che, a mio dire, in molti casi si potrebbero evitare con lo stesso conforto di una felice soluzione dei propri problemi a volte anche in tempo reale. I “sotto-temi” proposti per i tre incontri, della durata di circa un’ora e mezza ciascuno, comprendevano: 1) un “ripasso” di Educazione Civica, origini e terminologia del concetto di burocrazia, tra pragmatismo e inefficienza, contro la raccomandazione, cultura dei diritti e dei doveri, giustizia e responsabilità, volendo approfondire…; 2) come ci si dovrebbe comportare quando si ha bisogno delle prestazioni di un Ente Pubblico, un saggio sugli aforismi dedicati alla burocrazia, mobbing: un “nemico” che si può affrontare. Basta volerlo; l’Ufficio Relazioni con il Pubblico (URP), l’informazione e la comunicazione nella P.A., gli Uffici Stampa, il patronato e le associazioni di volontariato, il Difensore Civico: chi è, e cosa fa; 3) sei lustri di esperienza personale: esempi pratici (scritti e verbali) di vita quotidiana di fronte alla burocrazia.


Un nutrito programma che sarebbe sicuramente servito a fugare dubbi e incertezze a molti cittadini, e magari a risolvere (sia pur indirettamente) qualche loro personale problema. Ma purtroppo a tutti e tre gli incontri non si è presentato nessuno, mentre in altre aule in cui si tenevano “lezioni” sia pur utili ed interessanti, ma forse non tutte necessariamente “risolutive” per la vita pratica, erano stracolme di iscritti frequentanti. Da ciò si potrebbero fare diverse considerazioni, ma soprattutto mi chiedo: servirebbe a qualcosa? Personalmente ritengo comunque utile precisare che gran parte dei miei concittadini, e sicuramente anche gran parte dei miei connazionali, continuano a lagnarsi perché succubi di questo o quell’evento burocratico; ma nel contempo incoerenti con se stessi perché non è certo razionale lamentarsi di subire un sopruso e non fare nulla per comprenderne ciò che lo determina e non saper-voler agire per farvi fronte. Nel lontano 1861 Massimo D’Azeglio (1798-1866) disse: «Fatta l’Italia, bisogna fare gli italiani», una lapidaria affermazione rapportata sì all’epoca, ma che purtroppo per il perpetuarsi del sistema burocratico la stessa mantiene il medesimo esplicito valore. Probabilmente ciò sta a significare che certe persone non vogliono essere salvate (aiutate) perché la salvezza (l’aiuto) implica un cambiamento, e il cambiamento richiede uno sforzo maggiore dal restare uguali: occorre coraggio per guardarsi allo specchio e vedere oltre il proprio riflesso. E a conclusione di ciò, mi sembra “doveroso” precisare che il referente di quell’Ente culturale, a seguito del programma confluito nel flop, non mi ha mai dato alcun cenno né di saluto e tanto meno di commento in merito… Del resto, bisogna essere sempre più consci che quando si decide di fare del bene, bisogna essere preparati a sopportare l’ingratitudine. Una saggezza che però non mi allontana da un’altra constatazione, quella di appartenere (mio malgrado) ad una società dai sempre più discutibili valori etici e morali… naturalmente fatte le debite eccezioni!

In basso, l’articolista in una foto di repertorio.




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