IL VALORE UNIVOCO MORALE E NON MATERIALE
DI FRONTE ALLA SOFFERENZA E ALLA MORTE
L’estrema valorizzazione post mortem di personaggi noti è
una “priorità che lede la dignità del comune mortale. Come pure
l’enfasi per l’estremo saluto ne caratterizza l’assenza di
sobrietà
di Ernesto Bodini
Le innumerevoli fonti di comunicazione ci
aggiornano quotidianamente su quello che è stato il destino di molti esseri
umani: dalla loro venuta al mondo alla conseguente dipartita. E quando l’exitus
ha raggiunto questa o quella persona, è inevitabile soffermarsi sul suo
trascorso esistenziale soprattutto se ha fatto parte di una certa notorietà, ad
opera dei vari mass media che fanno riemergere le tappe più significative che
hanno caratterizzato la vita del personaggio in questione. Ma oltre alla fama
delle star che meritano di essere rievocate e “riportate alla ribalta”, quante
altre persone benché anonime meriterebbero essere menzionate anche per il solo
fatto di aver fatto parte della società? Con questo quesito mi rendo conto di essere
anticonformista (ma ben lungi dalla polemica) perché significherebbe parlare di
tanti dei quali non interesserebbe a nessuno il loro vissuto, ma proprio per
questo mi sovviene il concetto di Persona che raramente si considera in quanto
persone siamo tutti. Il 13 agosto, è deceduta una giovane star, alla quale si è
dato (giustamente) lustro non solo per il suo trascorso professionale ma anche
per i vari messaggi che ha trasmesso nel corso della sua esperienza di
malattia, che poi l’ha portata al decesso. Un “rituale” che si è ripetuto moltissime
volte per altre star del cinema, dello spettacolo, dello sport, della cultura,
della imprenditoria, etc.; per tutti con lo stesso copione tanto da valorizzare
al meglio le loro doti, nonché performance, affinchè tutti ricordino e, mi
raccomando, nessuno dimentichi cosa è stata questa o quella Persona. E ciò è
accettabile come umanamente normale, se non anche doveroso; ma quando si tratta
della dipartita del nostro vicino della porta accanto o del semplice
conoscente, quale tributo in forma pubblica riconoscergli? E perché ciò non
avviene? A volte veniamo sapere, magari per caso, che dopo anni di dedizione al
prossimo e lontani dalla propria patria sono mancati quei missionari, o quegli
eremiti di cui si erano perse le tracce, che hanno lasciato questo mondo dopo
anni di vita contemplativa…; od anche quei clochard che, per scelta o per
costrizione, hanno mendicato con dignità senza imporsi a chicchessia. A tutti questi
non si dedica mai un pensiero o un
ricordo… nonostante siano state anch’esse Persone, che hanno lasciato comunque
una testimonianza (anche se non individuabile dai più) del loro operato
esistenziale… anch’esso messaggio di vita da tramandare ai posteri. La “differenza”
di considerazione tra i primi e questi ultimi, mi permetto di sottolineare, rende
sempre più distanti gli esseri umani, e mi riesce difficile comprenderla ed
accettarla, forse perché ciò rientra nei nostri limiti di accettazione e di
considerazione…, ma è significativo il fatto che alla morte di chi è stato
famoso venga dato (a volte quell’eccessivo) risalto come se la morte
dell’emerito sconosciuto debba passare in secondo piano se non nel silenzio più
assoluto. In alcuni casi anche le persone più anonime hanno avuto una vita
intensa ma è la loro spiritualità che ha dato valore all’esistenza e, il fatto
di non apparire sul podio della notorietà (prima e dopo), è un messaggio non
meno importante di quelli che ci hanno trasmesso le star con le affermazioni
(post mortem) dei loro fan. Con questa mia analisi che definirei “sociologia
dell’esistenza”, non intendo demonizzare nessuno ma più semplicemente
richiamare l’attenzione sui concetti della sofferenza e della morte; due tappe
nemiche del genere umano, di fronte alle quali ogni differenza in vita si
vanifica: nel primo caso la fama è ciò che resta della popolarità, spenti gli
applausi; nel secondo caso l’anonimato è la costante che ne ha giustificato la
scelta.
E che dire, infine, della spettacolarità
ai funerali nel corso dei quali si tende dire addio con poca sobrietà? Gli
applausi e i cori delle esequie di alcuni personaggi, anche se dettate
dall’affetto, sono manifestazioni eccessive che hanno, a mio avviso, della
irriverenza in quanto il dolore e l’amore vanno espressi con maggiore serietà.
In quasi tutti questi casi, specie se il defunto ha avuto una certa notorietà o
è stato vittima di un evento particolare, i funerali si sono trasformati da
addii in vere e proprie manifestazioni di popolo con tanto di lacrime e
applausi sino all’eccesso. Eclatanti e disdicevoli, ad esempio, i rombi della
Ferrari al funerale di Little Tony e le fan che intonavano “Cuore matto”, la sua canzone più famosa, per dirgli addio. Per non
parlare di tante altre star che al loro decesso hanno mandato in visibilio
folle oceaniche con atteggiamenti irrazionali… «Il dolore e l’amore – ha scritto tempo fa su un periodico nazionale
Don Antonio Mazzi (1929), fondatore del Progetto Exodus – si possono e si devono manifestare con il silenzio e il raccoglimento…
I funerali caciarosi, laici e profanatori non servono a nessuno».
Commenti
Posta un commento