SALUTE E SANITÀ VERSO UN SISTEMA PRIVATISTICO?
Analisi di una evoluzione sanitaria in declino
Tempo
fa (nel 2018) fui invitato da un Organismo piemontese di volontariato a tenere
una relazione su un tema, quello della sanità italiana nell’ottica
dell’attualità e delle prospettive future, che ho esposto facendo quindi una
analisi proiettata verso un declino (almeno in parte), peraltro non troppo
lontano. Poiché l’argomento è di strettissima attualità, ritengo sia opportuno,
nonostante la lunghezza, riprodurre l’intero testo della relazione, che spero
il lettore abbia voglia ed interesse di arrivare sino in fondo.
di Ernesto Bodini
La Riforma del Titolo V della Costituzione con la Legge
3/2001 ha portato a modifiche (introducendo la regionalizzazione) del tutto
discutibili, differenziando in ambito sanitario le prestazioni e le erogazioni
da una Regione all’altra. Anzitutto vorrei precisare cosa si intende per Stato Sociale. Sono tutti quei provvedimenti
che lo Stato attua per difendere le classi più deboli nel campo
dell’assistenza, della previdenza e della sanità. Sin dai tempi di G. Giolitti
(1842-1928), un liberale tendente alla modernizzazione nei vari ambiti, furono
realizzati in Italia provvedimenti in difesa del lavoratore attraverso
assicurazioni obbligatorie, tutela delle invalidità, della vecchiaia, degli
infortuni, etc. Dagli anni ’40 si è instaurata una politica cosiddetta “Welfare
State” (Stato Sociale), sull’esempio dell’Inghilterra, e da noi tradotto in
“Stato di Sicurezza”; e questo concetto lo si riscontra in parte nella nostra
Costituzione, più o meno condiviso dai principali partiti dell’epoca. Ma con
gli anni, per una serie di ragioni, si è arrivati alla crisi di quel modello.
Una delle ragioni è che sono venute a mancare le necessarie risorse, e la
povertà del bilancio si è evoluta nella crisi. Più o meno come sta accadendo da
un decennio a questa parte (i cui settori penalizzati sono essenzialmente la Previdenza e la Sanità. Sorvolo sulle cause della crisi, primo perché le ragioni
sono molteplici, secondo perché non ho una competenza specifica; ma come
opinionista mi permetto di proseguire con questa esposizione. Le mutue erano
nate negli anni ’30 le quali prevedevano assicurazioni obbligatorie: il
lavoratore acquisiva il diritto all’assistenza sanitaria in caso di malattia;
il disoccupato era costretto a pagare tutte le prestazioni sanitarie (eccetto i
poveri). Le mutue davano cura, creavano strutture, ma le prestazioni non erano
omogenee. Gli ospedali divennero Enti Ospedalieri con la Legge 132 del 1968
(servizio pubblico per ricovero e cura). Con il DPR 4/1972 si è provveduto al
trasferimento di determinate funzioni alle Regioni; la Legge 386 del 1974 ha
previsto l’estinzione dei debiti degli Enti Mutualistici nei confronti degli
Enti Ospedalieri, e il conseguente avvio della Riforma Sanitaria, che avverrà
nel 1978.
La Legge 382 del 1975 rinforza i poteri e le competenze delle
Regioni in materia sanitaria. Con la Legge 349 del 1977 sono nate le SAUB
(Strutture Amministrative Unificate di Base), che prevedevano il diritto
all’assistenza gratuita, scelta del medico di fiducia, etc. Era un organismo
che ha riunito in sé tutte le competenze degli Enti mutualistici soppressi nel
periodo di transizione tra il vecchio sistema mutualistico e la Riforma
Sanitaria. Con il DPR 616 del 1977 sono state attuate disposizioni specifiche
per il ruolo delle Regioni, di funzioni e responsabilità, gestione e
programmazione. Ma la vera e propria Riforma avviene con la Legge 833 del 1978,
per il superamento di assistenza suddivisa tra categorie sociali ed erogata da
molti Enti, riconoscendo competenza legislativa alle Regioni (seguita dal
Decreto 592 del 1992). Da qui la tutela sanitaria gratuita a tutta la
popolazione. A Regioni e Comuni: spetta la programmazione, quindi il concetto
di salute viene inteso come promozione, mantenimento e recupero dello stato di
benessere fisico e psichico della
popolazione. I princìpi fanno riferimento all’art. 32 della Costituzione,
quindi viene attuato il superamento del sistema mutualistico con estensione
dell’assistenza sanitaria a tutti i cittadini. Viene creato il Piano Sanitario
Nazionale (PSN) e il Piano Sanitario Regionale (PSR), da rinnovarsi ogni 3 anni, per la cura,
la riabilitazione e la prevenzione al fine di eliminare le cause che
favoriscono le malattie. Viene attuata l’integrazione dei Servizi Sanitari con
quelli Sociali. Il diritto alla scelta del medico curante. Vengono inoltre
definite le USL (Unita Sanitaria Locale), vera e propria struttura di Servizio
nazionale italiano, rimasta in uso anche dopo il 1992, quando il Servizio ha
assunto la forma di tipo aziendale con la nuova sigla ASL (Azienda Sanitaria
Locale). È evidente che con il concetto di aziendalizzazione i
cittadini-pazienti sono diventati cittadini-utenti-clienti… Le ASL prevedono
nel loro comparto presìdi, uffici e servizi che provvedono ad una serie di
interventi quali igiene, medicina del lavoro, assistenza ospedaliera,
assistenza farmaceutica, riabilitazione, educazione sanitaria, etc.; ma anche l’istituzione
dei Distretti come l’organizzazione all’interno delle ASL per erogare
prestazioni di 1° livello e pronto intervento, ma non hanno dato l’esito
sperato per una serie di complessità organizzative e di attuazione.
FALLIMENTI DELLA
833
In sintesi riguardano: eccessiva ingerenza (intromissione)
della politica, le Regioni non sono riuscite ad imporsi per il loro ruolo, la
spesa è costantemente incontrollata: chi più spendeva, meglio gestiva…; scarsa
o nulla programmazione, incontrollata la qualità delle prestazioni,
diseguaglianza di prestazioni sul territorio; irrealizzazione dell’integrazione
socio-sanitaria: il coordinamento tra Servizi Sociali e Sanitari pubblici, o al
massimo in convenzione con il pubblico che, di fatto, non sempre hanno dimostrato
il buon funzionamento dei Servizi dal punto di vista tecnico e organizzativo.
Con l’emanazione del DLGS 502 del 1992 si è voluto prevedere il riordino del
sistema sanitario nazionale. A partire dal rafforzamento delle competenze del
Ministero della Salute. Il Ministero della Sanità è stato istituito con la
Legge 296 del 13/3/1958, appartenente al Ministero dell’Interno sino al 1945.
Con la Legge 317 del 2001 è stata sostituita la denominazione in Ministero
della Salute, scorporandolo dal Ministero del Welfare, la cui denominazione è
impropria in quanto in realtà trattasi del Ministero del Lavoro e delle
Politiche Sociali. Con tale decreto si è proceduto inoltre all’attuazione della
programmazione con il PSN, ovvero organizzazione dei Servizi: competenze alle
Regioni e non ai Comuni, istituzione delle Aziende Ospedaliere (A.O.),
trasformazione dipartimentale delle Strutture Sanitarie, obbligo di chiusura di
bilancio in pareggio, finanziamenti controllati con vincoli tariffari,
controllo della qualità delle prestazioni e servizi, introduzione dei concetti
di efficienza, efficacia, economicità e qualità, accreditamento delle
Strutture pubbliche e private,
disciplina dell’attività libero-professionale (intramoenia e extramoenia). Nello
specifico (Legge 189 del 2012) si tratta della libera professione intramuraria
chiamata, appunto, “intramoenia”, in quanto si riferisce alle prestazioni
erogate al di fuori del normale orario di lavoro dai medici di un ospedale, i
quali utilizzano le strutture ambulatoriali e diagnostiche dell’ospedale stesso
a fronte del pagamento da parte del paziente di una tariffa. Il medico è tenuto
al rilascio di regolare fattura e, la spesa, come tutte le spese sanitarie, è
detraibile dalle imposte. Le prestazioni sono generalmente le medesime che il
medico deve erogare, sulla base del suo contratto di lavoro con il SSN,
attraverso la normale operatività come il medico ospedaliero. Le prestazioni
erogate in regime di intramoenia garantiscono al cittadino la possibilità di
scegliere il medico a cui rivolgersi per una prestazione. Con il PSN vengono
definiti i Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), con rinnovo periodico, ossia
il Governo, nel predisporre il PSN, tiene conto delle proposte delle Regioni. I
direttori generali (DG) delle Aziende Sanitarie territoriali e ospedaliere,
nominati dalla Regione, possono essere revocati se non rispettano il piano
attuativo locale. Le Regioni adottano il PSR, e nelle Aziende Sanitarie
Ospedaliere (ASO) sono istituiti i
Dipartimenti (unione di varie Unità). Ricordo che i LEA sono le prestazioni e i
servizi che il SSN è tenuto a fornire a tutti i cittadini, gratuitamemte o
dietro pagamento di una quota di partecipazione (ticket), con le risorse
pubbliche raccolte attraverso la fiscalità generale (tasse).
Sforzandomi di non essere totalmente pessimista ho proseguito
nella relazione sottolineando questa “analisi di un sistema sanitario pubblico
in declino, e le ragioni sono molteplici. Il nostro è un SSN che costa
attualmente dai 120 ai 130 miliardi di euro all’anno, ma che non sono evidenti
in termini di salute, perlomeno totalmente. Si potrebbe accennare un breve
elenco: il continuo aumento delle cronicità, per non parlare delle malattie
rare (in parte escluse dai LEA) e degli infortuni; la costante carenza di
strutture residenziali (RSA); le ricorrenti lunghe liste di attesa; il ricorso
alla riduzione dei posti letto; le mancate risposte al fabbisogno di molti
cittadini soprattutto da parte del Territorio; la carenza di farmaci (anche i
vaccini); il problema della Medicina Difensiva; i difficili rapporti di
relazione tra pazienti e operatori sanitari (e amministrativi); le difficoltà
per essere ricevuti da figure apicali delle Istituzioni locali e nazionali; riduzione
di alcuni esami e visite se non a totale pagamento diretto, e quindi
l’inevitabile ricorso alla sanità privata (anche fuori Regione). Tutto questo,
a mio avviso, costituisce i presupposti per assistere al decadimento (sia pur
parziale) di un Servizio sanitario pubblico, che sino ad oggi è ritenuto tra i
migliori al mondo, ma contemporaneamente si posiziona al 22° posto come
soddisfazione dell’utenza. Va anche precisato che il difficile contenimento
della spesa in ogni realtà regionale e nazionale è oggetto di continue accuse,
di rimandi delle stesse e di conseguenza stabilire le diverse fonti di
responsabilità. Anche i PSN e PSR sono oggetto di critiche in quanto le prospettive
non sempre rispondono alle esigenze dei cittadini. Si citano sempre i dati
relativi alle incidenze e all’aumento delle patologie croniche e invalidanti
(oggi il 38% della popolazione italiana ha almeno una patologia cronica, sia
essa congenita od acquisita). È vero che il SSN in genere
garantisce tutte cure essenziali, ma in realtà oggi la tendenza è quella di
assicurare quelle primarie e quelle
di alta complessità, mentre si sta
privatizzando sempre più la parte intermedia. Ma quali sono le cure primarie? Ecco l’elenco. Sistema di emergenza-urgenza (118),
assistenza ospedaliera, riabilitazione, assistenza farmaceutica, trapianti
d’organo e tessuti, servizi trasfusionali, assistenza agli anziani, presa in
carico delle condizioni di fragilità e di non autosufficienza, tutela della
salute mentale, rete di assistenza per le tossicodipendenze e l’alcolismo, cure
palliative e terapia del dolore (hospice), stati vegetativi, assistenza
odontoiatrica. Mentre per le cure
intermedie, la cui definizione risale ai primi anni ’90, è stata oggetto di
critiche in ragione del fatto che racchiude elementi eterogenei fra di loro. Di
fatto, sono rappresentate da quelle cure di cui le persone fruiscono una volta
dimesse dall’ospedale e prima del rientro a domicilio. Tra queste forme vi
sono: l’ospedalizzazione a domicilio,
post acuzie e lungodegenza, day hospital, nursing home (residenza sanitaria assistenziale,
casa protetta), ospedale di comunità. Nella maggior parte dei casi ci si
riferisce a strutture di ricovero che operano nel delicato passaggio compreso
fra il momento in cui si concludono le cure della fase acuta ospedaliera e il
rientro a domicilio.
Ma quale il criterio adottato dal SSN (e SSR) per stabilire
se i costi determinati dall’offerta di servizi sono in grado di rispondere ai
bisogni che coincidano con la corretta disponibilità di risorse umane,
strutturali e tecnologiche al fine di garantire quanto è realmente utile e
indispensabile? La legge di revisione e la spending
review (esame delle spese sostenute dallo Stato per il funzionamento delle
sue Strutture e per la fornitura di servizi ai cittadini, allo scopo di ridurre
gli sprechi e di apportare miglioramenti al bilancio) hanno orientato
determinate scelte che, in ogni dove, hanno comportato riduzioni delle attività
distributive. Si pensi ad esempio al disquisire sui piani terapeutici
ospedalieri (PTO), ovvero le prescrizioni di terapie e ausilii al paziente
dimesso, che devono essere erogati dalle Asl del Territorio, le quali talvolta
tergiversano per non “sforare” il proprio budget loro assegnato, al fine di
raggiungere i cosiddetti obiettivi. I cittadini che non hanno un certo reddito
non possono permettersi determinate prestazioni, senza contare poi che gli
stipendi e le pensioni non vanno di pari passo con gli aumenti del costo vita;
al contrario la sanità è sempre più costosa, e sempre in notevole ritardo, ad
esempio, nel pagare i fornitori… e forse è anche per questo che… È evidente che tra
contributi, tasse varie e ticket il contribuente (non evasore: l’evasione in
sanità è stata calcolata attualmente in 103 miliardi di euro) è sottoposto a
pesanti oneri, soprattutto se ha un reddito medio-basso; ma non per questo deve
venir meno ai suoi doveri contemplati dalle norme in vigore, sia a livello
nazionale che nella propria Regione. Per non parlare poi della corruzione che
in sanità è stato stabilito che sino ad oggi oltre 500 mila famiglie hanno
ricevuto richieste di denaro per avere facilitazioni di ogni tipo, e che nel solo 2016 sono state coinvolte 107 mila
famiglie. Dulcis in fundo, attualmente il debito pubblico italiano ammonta a
oltre 2 mila miliardi di euro.
Ma anche il cittadino ha le sue “responsabilità”, sia perché
deve partecipare alle scelte delle azioni sanitarie sia perché deve attenersi a
norme e procedure stabilite dagli Enti erogatori. La comunità difende e tutela
il cittadino, ma anche il cittadino è tenuto a tutelare la propria salute
facendo in modo di prevenire ogni atto od azione che possano intaccare la sua
incolumità, attenendosi al buon senso, a regole di igiene e comportamenti
corretti e sani. Al contrario, non può che causare direttamente o
indirettamente danni alla propria salute (anche ragguardevoli), talvolta con
ricadute sulla collettività. Il concetto, ormai consolidato e sempre più
incalzante della cosiddetta insostenibilità del SSN, chiaramente pone in
evidenza la scarsità di fondi e di risorse umane, e quand’anche di
apparecchiature tecnologiche, peraltro
spesso donate agli ospedali da associazioni di volontariato o da enti privati;
per non parlare poi della ricerca scientifica in gran parte sostenuta da
iniziative benefiche private. Ed è quindi evidente che tutto ciò non è
sufficiente a valutare nella sua interezza la sostenibilità o meno del nostro
SSN, ma va da sé che una politica meno retorica e per certi versi meno
ipocrita, ma più razionale e gestita da competenti e non da politicanti
(collocati al potere per nepotismo, clientelismo, campanilismo e ad altre
ragioni di opportunità), può essere una impostazione di partenza… se si vuole essere
minimamente ottimisti. Inoltre, per gestire bene un SSN, a mio avviso, occorre
prevenire e sopprimere il malaffare: abusi e sprechi, controllando il modus
operandi di chi deve far funzionare il sistema. Ma il punto cruciale è proprio
questo: chi deve essere preposto a tale ruolo? E da chi deve essere
individuato? Ed ancora. Chi deve essere preposto al controllo degli esecutori?
Eterni quesiti che purtroppo hanno come risposta l’utopia, perché se ogni
cittadino non è responsabile di sé stesso non lo è nemmeno nei confronti della
collettività. L’onestà e la saggezza sono doti alquanto soggettive e sempre più
di pochi. Bisogna aggiungere che oltre ad incongruenze e disuguaglianze, si va
accentuando quella che qualcuno ha definito “trappola della povertà”, ossia di
come possa ugualmente succedere che la malattia faccia diventare poveri. Mi
sembra che la deduzione sia ovvia: senza mezzi economici non si ottengono
prestazioni… anche se in parte erogabili con la “sola” partecipazione alla
spesa del ticket sanitario. Tuttavia, c’é chi sostiene che a Torino, ad
esempio, vi siano segnali di ripresa… Ma se così fosse vorrei sapere quanti
torinesi (e piemontesi) rientravano in quegli 11 milioni di cittadini italiani,
che nel 2016 non hanno potuto curarsi per ragioni prettamente economiche, o per
le lunghe liste di attesa.
Negli ultimi anni, infatti, con la crisi è aumentato il
numero di cittadini che si sono rivolti ad Enti o Associazioni di volontariato
e, a riguardo, c’é chi sostiene che bisogna garantire meno solidarietà e più
diritti. Ma ciò a mio avviso non ha ragione d’essere in quanto i diritti sulla
Carta ci sono, peccato che non vengono rispettati… Un agire, questo, che
ricalca quanto sosteneva il cardinale Armand-Jean du Plessis duca di Richelieu
(1585-1606): «Promulgare una legge e non
farla rispettare, equivale ad autorizzare la cosa che si vuole proibire». E
alla luce di tutte queste osservazioni non si può che constatare di essere ad
un bivio, la cui combinazione è data da salute, economia e diritti-doveri. In
sostanza, per avanzare un minimo di suggerimenti, si tratterebbe di individuare
le opportune indicazioni in grado di ridimensionare la spesa, rivalutare i
costi di ogni prestazione erogabile, mantenendo la qualità dei servizi e senza
particolari penalizzazioni. L’impossibilità di rivedere e mettere in
discussione tutte queste voci in modo propositivo, il rischio del trasferimento
del SSN pubblico a quello privato mi sembra… scontato. In tal caso per molti
italiani (almeno un terzo di essi) tale prospettiva sarà insostenibile dovendo
quindi rinunciare a farsi curare, o indebitarsi con conseguenze a dir poco
disastrose. Io credo che il nostro Governo è come un neonato: un canale
alimentare con un grande appetito da un lato, e nessun senso di responsabilità
dall’altro. E le migliori risposte solitamente non ci vengono dalle persone, ma
dal tempo. Concludevo la relazione con i seguenti quesiti: ma è mai possibile
che per gestire un bene comune come la Sanità si debbano avere notevoli
“divergenze” e ristrettezze di vedute, senza un minimo punto di incontro
comune? E qual è il grado culturale-istruzione e di competenze dei parlamentari
che sono deputati a leggere e interpretare migliaia di pagine di emendamenti, e
sui quali decidere se e come intervenire? Io credo che per conoscere e comprendere un
mondo così variegato come quello della Sanità, non solo bisogna frequentarlo
con obiettività per anni, ma viverlo con la massima immedesimazione ed
interpretazione, sapendo di essere anzitutto dei potenziali pazienti, con o senza
“aureola” politica, poiché la sofferenza e le cure così come la capacità di
somministrarle, non hanno e non devono avere colore…
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