GLI
ECCESSI IN OGNI NAZIONE SONO SEMPRE DELETERI
In
attesa di ridurre il numero dei parlamentari per
“riconsiderare”
il diritto e l’orgoglio di sentirsi italiani
di Ernesto Bodini
Proprio perché il
clima dell’attuale Governo fa molto discutere, senza peraltro dimenticare il
clima di alcuni precedenti Governi, il problema dell’eccessivo numero di
Parlamentari mi sta particolarmente a cuore, sia come cittadino (italiano, ma
per quanto ancora?) che come divulgatore e opinionista (fuori dal coro) delle
realtà sociali. Infatti, è di questi giorni per l’ennesima volta il quesito:
che fine ha fatto la proposta della riduzione del numero dei Parlamentari?
Prima di entrare in merito ritengo utile ricordare, brevemente, la composizione
del nostro Parlamento, massimo istituto tradizionale della democrazia
rappresentativa. Esso si compone della Camera dei deputati e del Senato della
Repubblica, come evidenziato dall’art. 55 della Costituzione, ed è la stessa
che detta le norme principali riguardanti la fisionomia del Parlamento. Il
numero dei deputati è di 630 e quello dei senatori elettivi di 315. Sono
eleggibili a deputati tutti gli elettori che nel giorno delle elezioni abbiano
compiuto i 25 anni e a senataori gli elettori che abbiano compiuto il 40° anno
di età. Sono senatori di “diritto e a vita” gli ex presidenti della Repubblica,
il quale, inoltre, può nominare senatori a vita 5 cittadini che abbiano
illustrato la patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico,
artistico e letterario. Ogni membro del Parlamento rappresenta la nazione ed
esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato. Tornando al quesito iniziale
la risposta è rinviata a settembre con il via libera definitivo della riforma
costituzionale. Il testo, in discussione alla Camera, come riferisce l’Ansa il
3 agosto, è stato inserito nel calendario dell’Aula per la discussione generale
per il 9 settembre con inizio delle operazioni di voto previsto per il giorno
dopo. È auspicabile che, nonostante le opposizioni, non si potrà eludere il
voto finale e la riduzione del numero dei deputati pare essere scontata. La
riforma a riguardo è stata approvata in seconda lettura al Senato nel luglio
scorso, quindi con l’obiettivo di ridurre i parlamentari di 345; una
decapitazione necessaria sia per l’inutilità parlamentare, sia perché saranno
345 “personaggi” in meno da mantenere… Questo esercito di 945 occupanti di
scranni, la cui ambizione non è certo di carattere filantropico nei confronti
dei loro connazionali, in realtà ha sempre indignato gli italiani (tranne loro
stessi, i loro famigliari e i loro “accoliti”) non solo per l’eccessivo numero
ma anche per lo stipendio e in seguito il vitalizio a loro riconosciuti. Se gli attuali presupposti lasciano ben sperare
il taglio di almeno un terzo di questi “soldatini” che spesso menano il can per
l’aia, si ridurrà una parte della spesa pubblica; ma per quello che mi riguarda,
i rimanenti 630 membri sono ancora troppi. E quello che ulteriormente mi fa
pensare e mi indigna, è che nessuno finora mi ha saputo spiegare con quale
criterio è stato stabilito che il nostro Parlamento doveva essere rappresentato
da ben 945 deputati/senatori. Il nostro Paese, oltre ad essere la culla della
burocrazia per eccellenza, è anche quello delle cifre: deputati in eccesso,
iperproduzione legislativa, debito pubblico senza limiti…, un incontrollato
numero di millantatori in tutti gli ambiti professionali e sociali, etc. Per
contro e all’inverso, l’Italia da anni primeggia per scarsità di operatori sanitari,
e per un continuo esodo all’estero in cerca di lavoro, di fortuna, di pace, e
quand’anche di un’altra forma di democrazia o quanto meno di quella razionalità
e pragmatismo che da noi sono mera utopia. Ma cifre a parte, quello che disturba
è il vezzo italiano inteso come la sfrenata ambizione di raggiungere quello
scranno che, per occuparlo, non richiede dignità, onestà intellettuale e non
necessariamente una buona dose di cultura generale…
Io credo che l’Italia
del dopoguerra fosse rappresentata da cittadini di ben altra indole, non solo
per il fine comune di ricostruire un Paese uscito dal conflitto in braghe di
tela, ma anche da persone che, a parte le eccezioni, il sentimento patriottico
era il presupposto iniziale dell’Unità nazionale. Poi, con i decenni, mi
riferisco dalla fine degli anni ’70 in poi, il declino non ha conosciuto soste
e forse, non a caso, è nata la canzone “Io
non mi sento italiano” di Giorgio Gaber; titolo dal forte impatto evocativo
che comprendeva delusione, rabbia e denuncia. Ma anche se all’interno di questa
parodia l’autore lasciava trasparire un po’ di dolcezza, lo sdegno ne rimarcava
ugualmente gli effetti del messaggio… È stato un testo lungimirante che per
molti versi a mio avviso rispecchia la realtà odierna; una realtà aggravata
anche da quei superflui 315 parlamentari, la cui “rimozione” non può che essere
un inizio di “repulisti” o di “restyling” di una nazione che va onorata… ma
dopo la loro dipartita parlamentare.
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