LA CULTURA ENTRA IN CORSIA
Una biblioteca itinerante per i dipendenti dell’ospedale
Molinette ma con il proposito di
estenderne la
fruizione ai pazienti per rendere “più breve” la degenza e “più efficace” la
terapia
di Ernesto Bodini
Forse
non è insolito diffondere cultura negli ospedali, mentre lo è meno il fatto di
creare al loro interno una biblioteca multiculturale e multimediale. È il caso
della neonata BiblioUIL all’interno
dell’ospedale Molinette della A.O.U. Città della Salute e della Scienza di
Torino, per iniziativa di Giovanni Russo, un infermiere e segretario della UIL-FPL
del Presidio Molinette, e di alcuni collaboratori interni ed esterni, la cui
sensibilità li ha portati sul versante della diffusione culturale e del
volontariato, tanto da intitolare la biblioteca a Maria Cristina Rossi,
un’infermiera pediatrica torinese che ha lavorato all’infantile “Regina
Margherita”, ed ha partecipato a missioni governative sanitarie nei Paesi in
via di Sviluppo (deceduta pochi mesi fa). L’operatività di questa biblioteca,
nei cui ripiani vi sono già alcune centinaia di libri (narrativa, religione,
romanzi, storia, diari di viaggio, etc.) e persino due enciclopedie, ha carattere
itinerante sino a raggiungere tutti i dipendenti dell’ospedale subalpino, ma
anche con il proposito di interessare i pazienti ricoverati nei vari reparti che,
durante la loro degenza, sentono il bisogno di dedicarsi alla lettura sia per
“contrastare” il tempo che sembra non passare mai, sia come ulteriore
“contributo” alla terapia in corso… L’inaugurazione di questa intelligente
iniziativa ha visto sul podio nei mesi scorsi la presentazione di due volumi
(inseriti nella biblioteca): “Maman Toubab” dell’infermiera
piemontese Giorgia Oppedisano, e “Un soldato italiano in Jugoslavia 1942-1945”
del calabrese Angelo Mattanò, assistente amministrativo nello stesso Presidio
torinese. Il libro dell’autrice Oppedisano è il resoconto dei suoi primi anni di
esperienza di volontariato in Senegal, dove ha vissuto a periodi alterni (tutti
i giorni delle proprie ferie), affascinata dal mondo africano ma soprattutto da
quella comunità rappresentata in gran parte da piccole creature (alcuni ospiti
dell’orfanotrofio) dal particolare coinvolgimento tanto umano quanto materno. Ed
è così che Giorgia, in questo volumetto di cento pagine corredate da molte
immagini (donato alla biblioteca), rievoca i periodi più emozionanti tanto da
innamorarsi del piccolo Ousmane, adottandolo con il ruolo di Maman Toubab (mamma bianca, in dialetto
wolof). La descrizione di usi e costumi di questa popolazione fa da corollario
a questa “avventura” che si ripete puntualmente ogni anno, e che Giorgia vive
non solo con apprensione ma anche con il costante impegno della cosiddetta
adozione a distanza con supporto economico, al fine di garantire al suo bebè un
futuro più sereno… e non privo di affetto. Particolarmente toccante un passo
della descrizione del piccolo Ousmane, che chiama anche con il diminutivo di
Ousmino: «… la sua bocca carnosa ha la
forma di un cuore ed il suo torace cerca sempre il mio. Se tento di guardare il
suo viso, lui non vuole e si riappoggia con la testolina voltata un po’ da un
lato, ed un po’ dall’altro. Con le manine pinza le mie braccia e da quella
posizione non si muove. È forte il calore che questo contatto emana, fa molto
caldo, ma no è fastidioso…». L’autrice, anche se di fatto non è una mamma
biologica, ha in sé innato tutto ciò che un sentimento materno ed umano comporta,
del resto si evince non solo dall’avvenuta e consolidata “adozione”, ma
soprattutto da quella sensibilità che è propria di chi è proteso verso
l’infanzia, spesso sofferente e abbandonata… Il suo modo di rapportarsi con
questa tenera creatura sin dall’inizio ha suscitato emozione ed afflato, come a
voler dare un “valore aggiunto” al senso materno che, come in questo caso, non
ha confine e confine non può avere.
La
seconda pubblicazione nasce dal doveroso desiderio di un figlio per il padre di
dare alle stampe l’esperienza e le traversie che ha dovuto affrontare in tempo
di guerra, ed è quanto ci fa conoscere Angelo Mattanò. Una rievocazione dal
tratto storico-sentimentale, come a voler mantenere elevata la sua memoria ma
anche indurre il lettore a riflessioni sui sacrifici che i nostri connazionali
hanno dovuto affrontare (con o senza armi) nell’ultimo dopoguerra. Il padre dell’autore,
Nicola (classe 1923), era nativo di un piccolo paese del Cosentino, che appena
19enne (nel 1942) si è trovato arruolato militare nel 90° Reggimento Fanteria di San Remo e, nel corso
di numerose vicissitudini, a dover affrontare peripezie d’ogni sorta compresi
episodi di salute cagionevole. Il racconto del padre, che il figlio riporta
fedelmente in queste pagine dal tratto particolarmente discorsivo, traspare il
senso del dovere e dell’amor patrio, ma anche il valore e il rispetto cui si
deve alla vita umana puntando il dito sulle ingiustizie e le sopraffazioni che,
anche l’uomo in divisa, rigetta anche a costo della propria vita. «L’indole di mio padre – sottolinea
l’autore nella prefazione – non era certo aggressiva e sanguinaria. Non
ha mai tollerato lo spirito di violenza verso gli altri esseri umani… aveva il
rispetto delle persone tipico di chi affronta la vita con dignità e onestà».
Queste ed altre testimonianze, arricchite da una nutrita serie di fotografie,
fanno di quest’opera divulgativa un atto testimoniale affinché il vissuto di
ogni essere umano, come quello del soldato e padre Nicola Mattanò possa essere
apprezzato, come ha fatto il figlio Angelo, facendo omaggio di questa
pubblicazione alla biblioteca BiblioUIL.
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