LA FAME NEL MONDO: PERCHÈ PARLARNE?
La ricchezza e la povertà a confronto per riflettere
sulle disuguaglianze.
Ancora troppo poco si fa per superare (sia pur
minimamente) questo gap.
di Ernesto Bodini
Il problema dell’alimentazione nel mondo
non è certo una novità: affamati e sfamati sono sempre esistiti, come ci
ricorda il vecchio detto «Chi ha pane non
ha denti, e chi ha denti non ha pane», che insegue l’umanità sin dal suo
esordio. Ma nulla è mutato nel tempo tant’è che sono più di 820 milioni le
persone nel mondo che ancora oggi soffrono la fame, ossia circa un settimo
della popolazione. E secondo il rapporto “Lo
stato di sicurezza alimentare e nutrizionale nel mondo 2019” redatto dall’Organizzazione delle Nazioni Unite
per l'alimentazione e l'agricoltura (FAO),
si stima in oltre 2 miliardi le persone (quasi un quarto della popolazione) che
non hanno accesso regolare a cibo sicuro, nutriente e sufficiente tra quelle
colpite da livelli moderati di insicurezza alimentare e quelle che soffrono la
fame, incluso l’8% della popolazione in Nord America ed Europa. C’è da
stupirsi? No! C’è da inorridire che moltissime altre persone vivono
nell’opulenza più sfacciata, ancorché sottolineata da quelle statistiche che ci
elencano gli uomini e le donne più ricche del pianeta. Ulteriori statistiche
evidenziano che mentre nel mondo aumentano povertà e disuguaglianze, le persone
straricche continuano ad incrementare il loro patrimonio. Secondo il Vorld
Wealth del 2018, nel 2017 la ricchezza complessiva degli “High Net Worth Individual” ovvero le persone che, escludendo la
residenza principale, hanno investito almeno un milione di euro in asset, beni
da collezione, di consumo e durevoli, era di oltre i 70.000 miliardi di
dollari, con una crescita del 10,6%. Inoltre non mancano “concorrenti” per la
corsa alla ricchezza, sia pur con patrimoni minori…
e, come se non bastasse (si sa), la ricchezza è
anche potere e tale è il dominio sugli esseri umani non abbienti. È evidente
che le conseguenze “originate” dalla ricchezza-povertà sono molteplici, e ne
basterebbe una per tutte: la salute, la cui garanzia è data in primis dalla prevenzione e
dall’assistenza. Lo stretto legame esistente tra la salute e lo sviluppo,
spesso determinato proprio dal non meno esistente legame tra la ricchezza e la
povertà, implica la necessità di una messa a punto non solo della “qualità” dei
servizi che si intende erogare, ma anche la necessità di una integrazione tra i
diversi approcci, metodi e tecniche di analisi e miglioramento degli stessi. Ma
lo sviluppo centrato soprattutto sugli attori umani, ancora oggi non sembra
avere quella rilevanza che necessita per ipotizzare un iniziale… riequilibrio
delle risorse, proprio perché, come sosteneva il drammaturgo statunitense, e
premio nobel per la Letteratura nel 1936, Eugene O’Neill (1888-1953): «la povertà, fra tutte le malattie, è
la più mortale e la più imperiosa».
Ma intanto l’esercito dei poveri
boccheggia ed è quindi doveroso, a mio avviso, soffermarsi su questa realtà e
soppesare ogni nostra “egoistica” azione, soprattutto quando ci troviamo di fronte
a quelle opportunità per la sopravvivenza come, ad esempio, l’imbarazzo della
scelta su cosa mettere nel piatto oggi e domani… A questo proposito mi sovviene
questo aneddoto storico. Il 17 ottobre 1979 il Comitato
norvegese rese noto a Oslo che il premio Nobel per la Pace era stato assegnato
a Madre Teresa di Calcutta (1910-1997). L’edizione del premio andó agli annuali
perché la tradizionale e sfarzosa cena di gala non ebbe luogo per espresso
desiderio di Madre Teresa, che suggerí dare ai poveri la somma prevista per il
banchetto. Questo esempio non risolse certo i problemi dei suoi numerosissimi
assistiti dell’India, ma tale gesto ebbe un significato che sicuramente
comprendeva parsimonia, bando allo spreco e carità cristiana. Certo non tutti
possono essere votati ad indossare i panni della rinuncia per dedicarsi
totalmente al prossimo, ma tutti possiamo offrire quella briciola di pane e
quel sorso d’acqua che, se moltiplicati per 5 miliardi, si potrebbe sperare in
un mondo meno povero… Ma purtroppo questa è utopia di fronte alla quale non v’è
soluzione. E allora cosa fare? È un quesito che ci accompagnerà sempre e
l’unica risposta, per quanto enigmatica, potrebbe essere: chi ha buon senso
etico si sforzi di trasmetterlo con il proprio esempio di rettitudine ed
altruismo, rifuggendo nel contempo da tutto ciò che è superfluo. «Nel mondo – sosteneva Mohandas Karamchand
Gandhi (1869-1948) – c’è quanto basta per
le necessità dell’uomo, ma non per la sua avidità».
Nella foto in basso, madre Teresa ad Oslo nel 1979
durante il suo discorso sulla Pace.
Commenti
Posta un commento