CONOSCERE,
COMUNICARE, RELAZIONARE
Verbi ed
azioni spesso in antitesi lasciando poco spazio a
quello
che dovrebbe essere il necessario rapporto umano
di Ernesto Bodini
Da
sempre conoscere persone, per lo più “comuni” e attraverso i vari mezzi di
informazione o circostanze di eventi, riserva delle sorprese quasi sempre
imprevedibili, tant’è che viene da chiederci: perché si vuole conoscere una o
più persone? Certo l’essere umano è per sua natura (rare eccezioni a parte) un
Essere sociale, e pertanto ha bisogno di socializzare… anche per dare una senso
alla propria esistenza, oltre che per estendere la stirpe. Ma a ben valutare ai
tempi odierni socializzare è sempre più problematico, sia per le “incognite”
cui si va incontro sia per la innata ed iniziale diffidenza, ma anche per la
difficoltà di comunicare, o meglio, il non saper comunicare cui segue l'incomprensione. E, a seconda del
tipo di rapporto che si viene ad instaurare, emergono determinati bisogni che
Epicuro (342-270 a.C.), suddivide in tre classi: i naturali e necessari, ossia
quelli che, se non soddisfatti (come il vitto e il vestiario), causano dolore;
quelli naturali ma non necessari, come ad esempio il bisogno del
soddisfacimento sessuale, peraltro non sempre possibile; e quelli non naturali
e non necessari che sono infiniti come il lusso, l’opulenza ed ogni forma di
ricchezza che, la maggior parte degli esseri umani, non potrà mai
avvantaggiarsene. Questi bisogni in taluni casi avvicinano gli esseri umani, in
altri li allontanano venendo così meno il rapporto umano ancorché accentuato dalle
differenze non solo materiali ma anche estetiche e, a questo riguardo, posso
citare la “distanza” tra il disabile e il cosiddetto normodotato, tra il ricco
e il povero, tra la persona istruita e la persona non istruita, etc. E il persistere di queste differenze non
facilita la relazione umana, oggi sempre più discontinua e spesso basata su
falsi valori etico-morali. Ma allora, vale la pena conoscere, comunicare e
relazionare? È pur vero che questo “dilemma” si trascina dagli albori
dell’umanità, ma è altrettanto vero che proprio perché oggi abbiamo molti più
mezzi per comunicare e meno inibizioni, soprattutto tra i popoli più
emancipati, la reciproca considerazione tra persone in realtà è sempre più
distante lasciando spazio alla incomprensione, alla diffidenza, al sospetto, ai
pregiudizi e alla delusione…, la cui conseguenza è il sentimento di avversione,
seppur non reciproca, che si chiama inimicizia. E, a riguardo, Johann Wolfgang von Goethe
(1749-1832) precisava: «Ti lamenti se hai
dei nemici? Dovrebbero esserti amici forse coloro a cui il tuo modo di essere è
un tacito, continuo rimprovero?». Ma intanto la vita scorre e, a parte gli
eremiti (che sono molto rari), gli esseri umani continuano a cercarsi, ad
unirsi e a realizzare qualcosa che li tenga uniti, sia pur in modo alternativo
e/o discontinuo; anche se in molti casi le differenze che ho citato spesso li
allontana. E allora, perché si parla sempre di amicizia ogni volta che conosciamo
qualcuno, sia pur instaurando un breve rapporto relazionale tra persone dello
stesso sesso e tra persone di sesso opposto? Io credo che si dovrebbe
analizzare meglio, e in modo meno ipocrita, il concetto di amicizia poiché
nessuno finora ha “codificato” in modo univoco e universale tale termine. Sul
rapporto di amicizia tra persone di sesso opposto, ad esempio, Oscar Wilde
(1854-1900) sosteneva: «Non vi può essere l’amicizia fra l’uomo e la
donna. Vi può essere la passione, l’ostilità, l’adorazione, l’amore, ma non
l’amicizia». In buona sintesi, a mio modesto parere, nel relazionare con i
nostri simili sarebbe utile, e intellettualmente più onesto, limitare le
proprie conoscenze per non “illudere” il prossimo, e soprattutto sé stessi, con
la saggezza della introspezione; ossia valutare il proprio Io e il proprio essere
possibilmente in solitudine poiché in essa ognuno ritrova sé stesso e ciò che
ha dentro.
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