VERSO L’INESORABILE PERDITA DELLA RICCHEZZA E
DEL VALORE DEL SSN
È un dovere etico e morale di tutti non
abbassare la guardia per mantenere
quello che resta di un patrimonio che ci
garantisca se non la salute… almeno la vita
di Ernesto Bodini
È inutile tergiversare, far finta di nulla (o quasi), o
minimizzare con la tendenza alla rassegnazione: il nostro SSN è in continuo
declino. Ma ciò che rende più sconcertante (mi si perdoni questo banale
eufemismo) è che, se facciamo riferimento ai principi della Costituzione
richiamando il concetto che l’Italia è una Repubblica una e indivisibile, c’è da indignarsi a giudicare dai 21 diversi servizi sanitari regionali…
equivalenti ad una vera e propria discriminazione. Quindi una unitarietà di
diritto e di garanzie che non è tale (soprattutto dal 18/10/2001 con la Riforma
del Titolo V della Costituzione), proprio per quello che è un “impiccio
politico” che si chiama autonomia regionale, pur sapendo che la stessa ha origini
ben lontane sino a risalire ai padri della Costituente, e ciò in riferimento
all’art. 5 della Costituzione che testualmente recita: “La Repubblica,
una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi
che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i
principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del
decentramento”. In buona sostanza, come si evince da più parti, delegando a
Regioni e Province autonome l’organizzazione e la gestione dei servizi
sanitari, la Riforma mirava ad un federalismo solidale per confluire invece in
una deriva regionalista con 21 differenti sistemi sanitari e con un
diversificato (ed iniquo) accesso ai servizi e alle prestazioni sanitarie. Ma
spetta solo agli storici, economisti sanitari ed altri esperti oppure anche a
tutti noi cittadini-utenti-contribuenti, interpretare le ragioni che portarono alla regionalizzazione
fiscale e in questo caso soprattutto sanitaria, che in gergo si chiama
decentramento? Lo spirito della Legge 833/1978, sebbene alla base avesse dei
buoni intenti ha prodotto consistenti diseguaglianze regionali e locali, tanto che l’osservanza
della sempre più decantata centralità della persona (cittadino-paziente), la
responsabilità pubblica per la tutela del diritto alla salute e quindi alla
vita, l’imprescindibile valorizzazione della professionalità degli operatori
sanitari, l’integrazione socio-sanitaria (anche in ambito territoriale), e non
ultima la collaborazione tra i livelli di governo del SSN, non solo hanno
presentato e presentano determinate criticità ma la prospettiva di una
miglioria è e resta una chimera. Secondo più oculati esperti la modifica del
Titolo V avrebbe potuto rappresentare per le Regioni una notevole opportunità
di autonomia organizzativa dei servizi sanitari, ma in realtà il processo del
fatidico federalismo si è limitato ad una delega al controllo della spesa,
eludendo un possibile incentivo a riorganizzare concretamente i Servizi
Sanitari Regionali (SSR). In tal caso se ciò fosse avvenuto avremmo potuto
assistere alla miglioria della qualità dei servizi con una palese riduzione dei
costi. Ma in tutta onestà va però precisato che tali inefficienze non sono
tutte riconducibili all’impianto federalista, ma anche per la poca
responsabilità degli attori preposti e alla incapacità di alcune Regioni
(soprattutto del Sud) nel fare quella che si può definire “buona politica” (in
senso pratico ed etico) per la corretta gestione della sanità. Circa sette anni
fa (il 27/10/2012) ci fu a Roma una grande manifestazione organizzata dai medici alla quale aderirono
operatori sanitari e non, per manifestare il diritto alla cura ottenendo una
certa eco, preludio a quella che dovrebbe aggiungersi al cosiddetto diritto di
curare, intendendo per cura qualcosa che, in tutti i sensi della tutela,
produce salute. «Ma nel corso di questi
ultimi anni – ha fatto notare in più interventi pubblici lo storico della
Filosofia e della Medicina, prof. Ivan Cavicchi – il problema di maggior rilievo riguarda il lavoro, la cui crescente
svalutazione sta scivolando sempre più dal piano economico (decapitalizzazione)
al piano morale e quindi a quello sociale (delegittimazione). Oggi, in
sostanza, gli operatori, a causa di molti impedimenti, restrizioni e in
funzione di una sempre più esagerata flessibilità del lavoro, non sono più in
condizione di adempiere ai propri doveri come professioni».
A ciò si aggiunga quello che si va
sempre più perpetuando, ossia la carenza di medici e infermieri a fronte
dell’incremento della domanda di cure e assistenza (la cronicità è in crescita,
come pure le malattie rare); per non parlare poi del recente scandalo dei
concorsi universitari truccati che vede coinvolti cattedratici di diversi
Atenei, un ulteriore “tassello” di negatività per il nostro SSN e, di questo
passo, non c’è riforma che tenga per riportare la Sanità ai livelli
primordiali. Ma il dissesto nell’ambito del Sistema sanitario dal punto di
vista economico va ben oltre se si considera anche il fenomeno della corruzione:
secondo l’Istat oltre mezzo milione
di famiglie italiane ha ricevuto almeno una volta nel corso della vita
richieste di denaro o altro per essere facilitate in occasione di ricoveri,
interventi, visite mediche, mentre nel solo ultimo anno le famiglie vittime di corruzione in sanità sono state 107.000. Le analisi condotte rivelano che nel 2016, il 25,7% delle Aziende sanitarie ha vissuto al proprio interno almeno un
episodio di corruzione.
Inoltre, il rischio di inefficienze e sprechi nelle Asl risulta più alto per
l’acquisto di servizi sanitari, mentre negli ospedali lo è per l’acquisto di
beni. La
corruzione resta quindi un tarlo all’interno del nostro sistema sanitario, come
testimonia anche il monitoraggio effettuato da Transparency International
Italia, da cui risulta che da gennaio 2018 ad oggi, sono comparse sui media
nazionali ben 29 notizie su casi di corruzione in sanità. È evidente che il
quadro generale del nostro SSN, quindi, è tutt’altro confortante tanto che il
concetto della cosiddetta insostenibilità dello stesso è dato dalla persistente
scarsità di fondi e di risorse umane, e quand’anche di apparecchiature
tecnologiche, peraltro spesso donate agli ospedali da Associazioni di
volontariato o da Enti privati (benefici?); per non parlare poi della ricerca
scientifica in gran parte sostenuta da iniziative benefiche private. Va da sé,
quindi, che una politica meno retorica e per certi versi meno ipocrita ma più
razionale e gestita in modo oculato da competenti, e non da politicanti
collocati al potere per nepotismo, campanilismo od altre ragioni di
opportunità, può essere una impostazione di partenza… se si vuole essere
minimamente ottimisti. Per gestire bene un SSN, a mio modesto avviso, occorre
prevenire e sopprimere il malaffare: abusi
e sprechi, e controllare il modus operandi di chi deve far funzionare il
sistema (sarebbero auspicabili figure non solo competenti ma anche dall’indole
filantropica, come da sempre sostengo, sic!). E il punto cruciale è proprio
questo: chi deve essere preposto a tale ruolo? E da chi deve essere
individuato? Ed ancora. Chi deve essere preposto al controllo degli esecutori?
Eterni quesiti che purtroppo hanno come risposta l’utopia, perché se ogni
cittadino non è responsabile di sé stesso non lo è nemmeno nei confronti della
collettività. L’onestà e la saggezza sono doti alquanto soggettive e sempre più
di pochi e raramente in linea con le competenze. Mi rendo conto che l’argomento
è tanto esteso quanto spinoso proprio perché fa parte di un mondo così
variegato, e per conoscerlo chi è preposto alla sua descrizione-divulgazione
dovrebbe frequentarlo per anni con obiettività di intenti, vivendolo con la
massima immedesimazione ed interpretazione, nella piena coscienza di essere anzitutto
dei potenziali pazienti, come pure lo sono i preposti alla conduzione con o senza
“aureola politica”, poiché la sofferenza e le cure così come il dovere e la
capacità di somministrarle, non hanno e non devono avere colore…
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