QUANDO
IL VOLONTARIATO TRASCENDE PER LA NON CONDIVISIONE UNANIME DEL MODUS OPERANDI
Esperienze di un vissuto
all’interno di molteplici realtà, utili ma nello stesso tempo non supportate dalla
continuità per carenze di intesa confluite nel subdolo ostracismo…
di Ernesto Bodini
Dopo
una discreta esperienza nell’ambito del volontariato in seno a diverse
Associazioni, prevalentemente nel campo del socio-sanitario-assistenziale e
culturale, talvolta con determinati ruoli operativi (ma non apicali dal punto
di vista gerarchico) soprattutto come addetto alla comunicazione e alle P.R.,
ho avuto l’illusione di essere stato in qualche modo utile alla collettività
sofferente e non, ma con il tempo mi sono reso conto che tale illusione andava svanendo
per lasciare il posto alla realtà, ossia una serie di circostanze ed episodi
assai discutibili che in più occasioni ho contestato agli esponenti di
riferimento. Il mio disappunto più volte ha suscitato perplessità venendo “etichettato”
come colui che non sa uniformarsi al lavoro di gruppo, contestando la mia
intransigenza nell’osservare le regole statutarie e soprattutto le…
consuetudini; ma a costoro ho rammentato che oltre al dovere di perseguire la
trasparenza e l’onestà quando non lasciamo che le persone si esprimano come
tali, neghiamo loro quella dignità che le contraddistingue e che della stessa
si vorrebbe il dovuto rispetto. Specificavo, inoltre, che quando trattiamo la
persona umana identificandola con una delle funzioni che svolge, la escludiamo
dalle sue reali capacità e la riduciamo ad una cosa o ad uno strumento; in
questo modo le neghiamo proprio la dignità che spetta ad ogni essere umano,
ancorché impegnato per libera scelta nei confronti del prossimo bisognoso. In
quasi tutte queste realtà associative da me avvicinate per collaborazione, nel
tempo sono venuti meno in alcuni membri i presupposti del modus operandi incompatibile con la mia etica, tali da indurmi alla
personale libera scelta di agire senza
“intermediari” (“ubi libertas ibi patria”)
che solitamente vanno ben oltre le normative vigenti, oltre al fatto che la
libertà consiste nel vivere doveri e diritti ignorando le parole. Inoltre, il malessere
vissuto in più occasioni, è stato tale da favorire una profonda delusione per
aver “rilevato” realtà in cui mi sono sentito sì partecipe, ma per ricredermi
successivamente vedendo dissolversi giorno dopo giorno quei tenui sentimenti di
condivisione, se non anche di amicizia… Già, ma cos’è l’amicizia tra volontari
della stessa “famiglia”? È un quesito sul quale intendo sorvolare in quanto
meriterebbe una trattazione che non avrebbe fine… Alla luce di quanto vado
esponendo ritengo doveroso sottolineare che la chiarezza è una giusta
distribuzione di ombre e luci, e va da sé che sarebbe deleterio per tutti
coesistere, specie quando non è possibile proseguire in modo sereno e
condivisibile nelle finalità dettate dallo Statuto e dal reale e comune spirito
associativo. Il mio dissociarmi ogni volta dalle varie realtà (tutte in ambito
piemontese) non ha voluto e non vuole essere un vero e proprio “Jaccuse” di Emile Zola, in quanto non
esiste per fortuna un analogo “Alfred Dreyfus” all’italiana, ma più
semplicemente una attestazione di un non accettabile malessere, tale da mettere
in atto la saggia opportunità di “rivedere” ogni volta il concetto di
volontariato associativo, poiché i drammi dell’esistenza hanno il loro prologo
umano, ed il loro epilogo immediato, nel cielo della filosofia non sempre terso
e sereno e quindi privo del merito della continuità collaborativa. Per tutto
ciò non ho serbato e non serbo rancore ad alcuno, nemmeno nei confronti di chi
si è espresso in modo indecoroso ostentando superbia e presunzione, e neppure in
circostanze di vita ben più serie per le
quali il mio “Jaccuse” era ampiamente
giustificato: “Accipere quam facere
praestat iniuriam” (è meglio ricevere un torto che farlo).
Come
sempre sostengo che la nostra cultura mediterranea (ed oltre) non ha ancora
raggiunto l’apice della comune condivisione sul concetto volontaristico e, più
specificatamente, sul come essere operativi in modo razionale e senza…
sbavature comportamentali. Il “vero” volontariato è una professione che per
crescere ed “imporsi” con utilità non ha bisogno di gloria e di competizione (e
tanto meno di essere normato, sic!) tali da sconfinare nel campanilismo,
fondamento individuabile nella interpretazione della nostra vita che ci
circonda e nel significato che ad essa attribuiamo. Probabilmente, secondo i
principi di prudenza, opportunità e moralità, sarebbe utile ipotizzare un Nuovo Umanesimo (sia sotto il profilo
culturale che della dignità) che implichi la capacità di cogliere gli aspetti
essenziali dei problemi; la capacità di comprendere le implicazioni per la
condizione umana; la capacità di valutare con obiettività i limiti dell’agire e
le possibilità delle conoscenze nell’ambito della solidarietà; come pure
l’elaborazione dei saperi necessari per comprendere l’attuale “status”
dell’uomo che lo vede sempre più al centro delle dicotomie comportamentali. Ma
alla luce dell’attualità mi rendo conto che ciò non è possibile, se non
utopistico: del resto tutti i nostri proponimenti definitivi vengono fatti in
uno stato d’animo che non è destinato a durare. L’esperienza sinora acquisita,
mi induce a ri-considerare con concretezza ciò che ritengo essere più saggio,
ossia perseguire un volontariato più “profetico” per tramutarsi, ancor meglio,
nella più semplice, spontanea e diretta solidarietà nei confronti del singolo
(più concretezza, meno dispersione…, e per questo lontano dai riflettori). Sono
perfettamente conscio che andare contro le opinioni “dominanti” di chicchessia è
il più difficile atto che si possa compiere, specialmente nell’ambito della
solidarietà umana, e poiché non esiste l’eroe dell’azione ma quello della
rinuncia, del sacrificio e dell’umiltà (pane e umiltà non hanno mai procurato
indigestione ad alcuno!), la solidarietà il più delle volte può essere intesa
come pura invenzione dello spirito, ossia una sorta di mero egoismo che ha
origini ancestrali, ma la sua concretezza deve indurci a considerare che
l’unico vero protagonista è sempre colui che vive nella condizione di bisogno;
quindi il malato, il debole, il povero, l’emarginato e non chi è al suo
servizio, e tanto meno chi si presta a fare volontariato. Tuttavia, esistono
tre maniere complementari di percepire le verità nella vita e nel comportamento
di tutti noi: la ragione, la rivelazione e il coraggio. Ed è esattamente quello
che vado affermando: solo sulla carta l’umanità ha ottenuto la gloria, la
bellezza, la verità, la sapienza, la virtù e l’amore durevole! In questo mio
lungo percorso di vicinanza e solidarietà (sia pur con i miei difetti) fa
eccezione una realtà associativa (della quale non ne faccio nome per ragioni di
opportunità) che, da oltre un ventennio, mi vede al suo interno ben accolto e
condiviso per lo specifico ruolo che ricopro, e dove nessuno tra i membri
difetta di protagonismo ed ambizione proprio perché, si dice, non essere
riconosciuti dagli uomini e non dispiacersene è da saggi, come è saggio,
invece, rammaricarsi per i limiti delle proprie capacità. Tutti ben consci, a
mio dire, che alla luce dei fatti il perseguimento per il giusto, come sempre
nella vita, non trova spazio ed onore.
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