LETTERA APERTA AGLI AGGRESSORI DEI MEDICI E OPERATORI
SANITARI
Riconsiderare
il rapporto medico-paziente e di paziente-medico è un dovere non solo delle
Istituzioni Sanitarie, ma anche da parte di tutti i pazienti con obiettività e
razionalità
di Ernesto Bodini
Le
statistiche continuano ad aggiornarci: un medico su 2 ha subito (e continua a
subire) aggressioni, e nella sventura sono da comprendere anche gli operatori
sanitari in genere. Aggressioni spesso verbali che trascendono talvolta in
termini scurrili, ma anche fisiche, e questo sia nelle corsie che negli
ambulatori (Guardie Mediche comprese) da parte di pazienti e/o loro famigliari…
e quand’anche conoscenti “compiacenti”. Per non parlare poi delle oltre 30 mila
denunce all’anno contro la classe medica per presunta (o meno) mal practice, ma
che in realtà oltre il 95% delle stesse
non hanno seguito o si estinguono sul nascere… Oltre ai danni morali e
psicofisici che ne derivano, da un recente studio della Federazione nazionale
degli Ordini dei Medici Chirurghi e Odontoiatri (Fnomceo) emerge che, come
conseguenza, questi professionisti della salute vanno incontro alla rassegnazione, al burnout e alla demotivazione
con tutto quello che ne consegue. Ad un recente questionario in merito a cura
della stessa Fnomceo hanno risposto oltre 5.000 professionisti sanitari, nel
73% dei casi medici (ospedalieri, del territorio, liberi professionisti, di strutture
pubbliche e private), e da indagini a riguardo è emerso che più del 56% di chi
ha subito violenza ritiene che l’aggressione potesse essere prevista, ma il 78%
non sa se esistano o meno procedure aziendali per prevenire o gestire gli atti
di violenza. Inoltre, più del 38% si sente poco o nulla al sicuro e più del 46%
è preoccupato di subire aggressioni (Ansa,
13 giugno 2019). Ecco, cari cittadini-pazienti, che a volte non sapete
essere tali, il vostro ruolo di pazienti-malati a mio avviso comincia a
vacillare non per inesistenza di una patologia, ma perché la stessa passa in
secondo piano in quanto superata dalle vostre reazioni aggressive, spesso
ingiustificate e in altri casi andrebbero sminuite per l’insussistenza di tali
rimostranze. Da tempo ormai, è noto a tutti che il medico non è più
paternalista, ossia l’idea che solo lui sia in grado di esprimere il giudizio
ultimo sul da farsi; oggi sono sempre più ampi gli spazi per una reciproca
libertà di esprimersi l’un l’altro instaurandosi così una certa empatia,
favorita da un dialogo aperto, sincero e collaborativo.
È pur
vero che stiamo assistendo ad una carenza di medici e non meno importante è la
questione delle liste di attesa, ma questo non giustifica il vostro agire che
tutto farebbe pensare fuorchè essere… seriamente malati: chi sta male e non si
vede (a suo dire) trattato nei modi più consoni dell’etica e della dentologia
professionale, può avvalersi egli stesso o del sostegno del suo “accompagnatore”,
di considerare la possibilità di fare le dovute segnalazioni e/o rimostranze all’Ufficio
Relazioni con il Pubblico (URP) e in sub-ordine alla Direzione Sanitaria
dell’ospedale o degli ambulatori territoriali di riferimento. Sicuramente saprete
che l’indirizzo comune dei medici (come pure degli infermieri) è che la
Medicina “moderna” ha come espressione il “prendersi cura” in forma più
radicale, la cui forza del suo modus
operandi è quella di intensificare il rapporto medico-paziente e parimenti
il rapporto paziente-medico; e ciò significa che sul piano delle rispettive onestà
intellettuali si è alla pari... senza condizioni, se non l’osservanza dei propri
ruoli. E quando ciò non avviene per questioni, ad esempio, di caratterialità o
per difetti e/o carenze organizzative, un minimo di tolleranza è necessario non
solo da parte del medico ma anche da parte vostra di pazienti… dall’esasperata
impazienza che, ripeto, in molti casi non è tollerabile. Conosco il mondo
medico e più estensivamente della Sanità pubblica (e privata), sia come
paziente che come divulgatore, talvolta vivendo accanto agli operatori sanitari
nel corso della loro attività proprio per descrivere al pubblico il “lavoro di
trincea”; constatando che in qualche occasione non sono mancate carenze
strutturali ed organizzative che hanno messo (e mettono) in difficoltà sia il
medico che i suoi collaboratori e, a ricaduta, con l’inevitabile insoddisfazione
da parte del paziente. Per il vero, in oltre sei lustri di questa mia
esperienza non ho mai assistito ad episodi di aggressività fisica o verbale da
parte di pazienti e/o loro famigliari, tuttalpiù a qualche scaramuccia ma
questa, ovviamente, non fa testo. Cari cittadini-pazienti (o presunti tali… con
tutto il rispetto delle vostre rimostranze) vorrei invitarvi, a parte le
situazioni di emergenza-urgenza in cui vi potete trovare, e quindi nel rispetto
delle doverose eccezioni, a considerare in modo più obiettivo che nell’opera
del medico vi è qualcosa di sacro, frutto della consapevolezza dei propri
limiti e dell’esercizio dell’amore, della coscienza di una presenza immancabile
che si serve di noi. Il suo dovere naturale lo induce a considerare l’uomo ammalato non solo come problema
diagnostico e terapeutico, ma anche come essere nobilitato e reso sacro dalla
sofferenza. Forse a questo punto potreste porvi il quesito: il dualismo
medico-paziente deve e può generare una profonda (ed ulteriore) crescita umana
e spirituale? Volendo rispondere non intendo fare della filosofia ma si tratta
di rafforzare in lui, quando è il caso, la neccessità di ascoltare la vostra
esposizione di sintomi e preoccupazioni e dibatterle affinché egli esponga i
pro e i contro di ogni passo che vorrà compiere, i vantaggi personali e per la
comunità. Certamente non potrà imporvi nulla, sia pur in considerazione della
sua autorevolezza di medico e di uomo saggio, tale da diventare (nel migliore
dei casi) una figura che molto si avvicina a quella di amico e maestro.
Sono
questi a mio modesto parere, gli obiettivi della professione del medico che voi,
pazienti tendenti a moti di esasperazione e alla di lui offesa, non dovete
dimenticare che egli è un pubblico ufficiale, il quale oltre a curarvi al
meglio (con una buona alleanza terapeutica) il suo “fascino” potrà
accompagnarvi sino alle dimissioni. Va inoltre detto, con tutta obiettività,
che questi episodi che stanno penalizzando la categoria, sarebbe bene che il
sistema sanitario li prevenga incoraggiando e non penalizzando in qualunque
modo i medici che vogliono dedicare più tempo ad ascoltare, discutere e comprendere
le ragioni di ogni paziente. Inoltre, la carenza dell’organico in Sanità non
deve penalizzare nessuno, ovviamente nemmeno noi pazienti che, tutti insieme,
possiamo prodigarci per “difendere” sia la categoria che il nostro ruolo di
malati alla quale ci rivolgiamo. In questa conclusione ho usato il plurale
“noi”, non solo per mera solidarietà ma anche se non soprattutto per quel
dovere di “universalismo comportamentale” che deve vedere affiancati curante e
sofferente; nel primo caso riconoscendogli la meritata gratificazione quando il
suo agire va oltre il suo dovere istituzionale, nel secondo caso invocando ed
ottenendo il massimo rispetto del nostro ruolo che in questo caso non è di sudditanza,
ma la massima espressione dell’esistenza umana che non vuole soffrire, bensì
guarire. Interpretando il pensiero di tutti coloro che soffrono e che hanno
bisogno delle cure mediche, credo sia curioso invocare la realizzazione di
quanto segue: anagrammando il nome Galeno
(medico greco dell’antichità, 130-210 d.C.) diventa Angelo: esattamente quello che ognuno di noi vorrebbe che fosse.
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