COME "TI ROVINO" L’ESISTENZA ALTRUI
Un Governo non proprio attento ai drammi
della popolazione carceraria innocente
di Ernesto
Bodini
Non c’è
giorno della mia modesta esistenza che non rivolga qualche minuto di
riflessione sui drammi che coinvolgono l’umanità, animali compresi. Essi sono
infiniti e non basterebbero gli anni di Matusalemme per considerarli tutti, sia
pur solo per pochi minuti della giornata. Tra i tanti mi sovviene spesso il
dramma dei detenuti innocenti, un fenomeno che contempla sofferenze
psicofisiche indicibili (oltre a qualche suicidio degli stessi) che nemmeno gli
esponenti di questo Governo dedicano uno spazio al problema da quando sono al
potere, limitandosi ad evidenziare per lo più il sovraffollamento delle
carceri. Ma perché questo disinteresse, che personalmente non ho difficoltà a
interpretare come totale insensibilità o comunque di secondaria importanza? È
evidente che l’innocenza dei detenuti, ancorchè comprovata, non rappresenta un
veicolo di ascesa per la carriera politica e tanto meno per un ritorno di
immagine, e ciò, come se venisse in qualche modo disturbata… Per avere un’idea
di questa realtà che si protrae sin
dalla nascita della Costituzione, basterebbe consultare determinate fonti preposte,
le quali mettono a nudo migliaia e migliaia di esperienze tanto indicibili
quanto commoventi; veri e propri drammi umani che se non fosse per la vicinanza
costante dei loro famigliari e dei propri difensori (chi se li può permettere,
sic!), tali drammi sfocerebbero in un exitus dalla ovvia deduzione. Ma quali le
responsabilità? Quali gli autori delle stesse? E quali gli errori che hanno indotto
chi preposto a comminare una detenzione che solo dopo anni si rivelerà
ingiusta? Il problema delle responsabilità implica certamente più fattori e più
persone, e anche senza entrare nel dettaglio per mancanza di elementi correlati
alle singole vicende giudiziarie, va da sé che chi è deputato ad indagare,
giudicare e sentenziare sono persone umane non prive di limiti; ma ciò non
toglie essere loro ad avere quel peso
sulla coscienza nell’aver “rovinato” (direttamente o meno) l’esistenza di una
persona, e con essa la sua dignità.

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