CONSIDERAZIONI SULLA GENEROSITA'


QUANDO LA BENEFICENZA È CAMUFFATA DA SOLIDARIETÁ?

Considerazioni e riflessioni di chi crede più nel gesto che nella sostanza,
 senza nulla togliere al concreto fare, purché al di sopra di sé stessi…

di Ernesto Bodini


Ogni anno, un po’ ovunque, vengono spesi fiumi di denaro per iniziative sociali con finalità umanitarie, talvolta poco trasparenti e spesso discutibili. Per gli italiani è noto che l’importante è donare, il resto non conta… o quasi! Quello della generosità-solidarietà, è intuibile, per la nostra cultura rappresenta un modus di agire dalle diverse motivazioni come il voler essere cristiano, dotati di altruismo, comprensione e dimostrazione etica. E si può dedurre che tutti (o quasi) nel corso della propria esistenza abbiano compiuto almeno una volta un gesto di generosità sia materiale che più propriamente elargendo del denaro. Sono infatti moltissime le occasioni che quotidianamente siamo “sottoposti” per compiere quel gesto che vuole essere sì caritatevole, ma nello stesso tempo un atto liberatorio della propria coscienza. I versanti su cui si è “chiamati” ad intervenire sono molteplici come ad esempio la ricerca scientifica che, per anni, è stata sostenuta da azioni promozionali attraverso maratone Tv (sulle Reti Rai e La7) quali TeleThon e Trenta Ore per la Vita, non solo per la costante necessità ma anche perché lo Stato italiano per la Ricerca non investe nemmeno l’1% del Pil all’anno; ecco che allora con sensibilità buona parte della popolazione subito si prodiga mettendo la propria firma su un assegno (oggi superato dall’atto del bonifico bancario o postale online) e, con questa formula, sarebbe più corretto adottare il termine finanziamento anziché sostegno. Queste iniziative hanno riscosso un indiscutibile successo, non solo per l’ammontare delle cifre accreditate ai destinatari ma anche per l’utilità concreta ultima. Ma a parte le somme di denaro che si raccolgono a favore di questi due Enti preposti alla raccolta, di rilevante importanza umana e scientifica, bisogna fare i conti con le numerosissime associazioni di volontariato sparse sul territorio, e tutte, dopo aver adeguatamente stilato un proprio Statuto con l’universale articolo “associazione no-profit non a scopo di lucro”, anche nella loro piccola entità alla popolazione chiedono l’obolo a sostegno delle loro finalità, con la “commovente” motivazione (verbale) che le Istituzioni non andranno mai loro incontro… In tutti questi casi unico “vantaggio” per il donatore è la possibilità di detrarre il suo obolo nella denuncia dei redditi, una magra consolazione-compensazione, oltre al diritto di verificare i libri contabili degli Enti a cui si è fatta la donazione. Ma la cronaca a volte ci informa che talune realtà associative (anche molto note per la loro consistenza istituzionale) peccano di poca trasparenza, e chi si è preso la briga di fare qualche verifica ha potuto accertare che le offerte raccolte non sono andate tutte a buon fine…! E a questo proposito ci sono anche da considerare le cosiddette “adozioni a distanza”, ossia versare costantemente e per un certo periodo un piccolo contributo per mantenere e far crescere un bambino che vive nei Paesi più poveri oltre oceano. Una finalità più che lodevole dal punto di vista umano tanto da commuoverci ogni volta che i media ci fanno vedere immagini tanto toccanti quanto eloquenti…; ma nel contempo non viene meno il desiderio-curiosità di conoscere da vicino (per quanto possibile) “il caso” umano che si è scelto di aiutare, e ciò è appagato dal ricevimento di una fotografia e di qualche scarna notizia del suo ambiente di vita. Ma in buona sostanza, è tutta qui l’espressione della nostra generosità? Oppure viviamo anche nel dubbio che i nostri “sacrifici” donati siano serviti a poco (o nulla) e senza un seguito? L’etica in questi casi vuole che ogni gesto di bontà non sia accompagnato da dubbi, ripensamenti o necessità di verifiche: la “vera” buona azione ha valore se compiuta nella consapevolezza di essere preparati alla ingratitudine… e alla delusione. Delusione che a volte proviamo anche quando il nostro “piccolo” obolo viene rifiutato e, a questi riluttanti (spesso finti poveri), vorrei ricordare che chi non accetta un piccolo gesto non merita quelli grandi. Ma quando dare significa alleggerire la propria coscienza, tale gesto perde il suo intimo valore ed impoverisce di più chi l’ha compiuto rispetto a chi doveva beneficiarne. Alla luce di questa disamina viene da chiedersi: la beneficenza quando è camuffata da solidarietà? Vorrei rispondere avvalendomi del ruolo di opinionista, ma ritengo più saggio lasciare spazio alla coscienza di ognuno, a cominciare da chi detiene quei poteri che gestiscono e condizionano la vita del prossimo. E a loro vorrei rammentare inoltre che anche se la bontà è più facile da riconoscere che da definire, la coscienza e la saggezza vanno di pari passo come l’indifferenza e l’egoismo.





Commenti