QUANDO IL POTERE E LA PRESUNZIONE RISCHIANO DI “DISORIENTARE”
LA SICUREZZA ALTRUI
Tanto parlare e poco costrutto quanto basta per incantare la
massa vociante che,
illudendosi, nulla o poco vede all’orizzonte restando
continuamente suddito del sistema
di
Ernesto Bodini
Tempo
di elezioni, tempo di illusioni e delusioni. Una triade rimata (quasi
d’obbligo) perché ogni volta che si vuole rinnovare un governo, centrale o
locale, il copione si ripete: discese in campo plateali, grandi discorsi dai
ripetutissimi verbi e aggettivi (con relativa scialorrea), infarciti di
promesse “abbellite” da performance degne del più eclettico showman e contornate
da flash e selfie, il tutto in un bagno di folla tanto esilarante quanto… vuoto
di se stesso. L’onnipresenza di Salvini, come del resto anche di chi negli anni
l’ha preceduto nelle tornate politiche di piazza, è come la calata degli Unni e
il loro Attila che, per quanto propositivo e promettente, non è certo una
garanzia né per il Piemonte e né per la Nazione. I problemi da affrontare e
risolvere sono davvero tanti, sia quelli di oggi come quelli di ieri, e nel
contempo sono aumentate le sigle partitiche perché ognuno vuol dire la sua con
la presunzione di poter apportare qualche miglioria, ma non a caso questo termine
fa rima con ipocrisia. A mio parere, quello che la massa vociante non ha
concepito e non vuole concepire, è che non esiste uomo al mondo (almeno per
quanto riguarda l’Italia d’oggi) che sia in grado di risanare il debito
pubblico, e tanto meno di “aggiustare” il sistema giudiziario e, a riguardo,
vanno ricordati i tre poteri in assoluto che sovrastano il popolo della Penisola:
la Magistratura, la Chiesa, lo Stato. Ce ne sarebbe un quarto, ossia i mass
media, che pare non essere più il quarto ma il terzo; ma questo è un aspetto
che meriterebbe una analisi a parte… Inoltre, se i principali problemi che
destabilizzano il Paese sono il debito pubblico, la disoccupazione, la povertà
e l’emarginazione, quelli relativi alla sanità pubblica, alla incolumità
individuale e collettiva e quindi alla Giustizia, a mio avviso dovrebbero
essere prioritari poiché i diritti di vivere in salute e in libertà e sicurezza
sono sacri; ma purtroppo, ripeto, nessuno ha la relativa ricetta, nemmeno il
Salvini o il Di Maio di turno, checché se ne dica… diversamente è presunzione
per mania di grandezza e frenesia di detenere il potere. Guarda caso, non c’è
candidato che non miri a poggiare il proprio fondo schiena sullo scranno del
Parlamento e scaldarlo sino al punto di maturare quel “vezzoso” vitalizio… ed
altro ancora.
L’ambizione
al potere non ha età: ad esempio, persiste ancora nel 91enne veterano della
politica Ciriaco De Mita (nella foto), ex presidente del Consiglio da aprile
1988 a luglio 1989, che correrà alle amministrative per riconferma a sindaco di
Nusco (Av). Quindi, per non scivolare nel rischio di anarchia (anche se ciò a
mio parere avrebbe ben altro significato), verrebbe da chiedersi: che fare? A
chi credere? Bisogna essere santi per proporsi a tutela della collettività?
Quesiti di sempre, ma ancor più di oggi perché mettere d’accordo decine di
fazioni politiche è come vincere alla roulette. E già che ci siamo si
potrebbero far nascere altre sigle e altri movimenti. Personalmente, ad
esempio, potrei inventarmi un movimento che potrei definire “Templari Moderni” (TM)
in difesa dei deboli, e se ciò fosse fattibile, non solo non avrei seguaci, ma
sono certo che in men che non si dica sarei decimato dall’attuale Filippo il
Bello, ossia dal Potere attuale. Perciò, l’arte della soluzione non la detiene
nessuno, né oggi, né domani. Sarebbe piuttosto più fattibile che qualcuno pensi
(altruisticamente) a ridimensionare il potere di chi è deputato a giudicare e a
sentenziare, e magari rivedendo quella benedetta Riforma del Codice di
Procedura Penale (1989), che qualcuno, ricordo, la definì, una “Riforma
tradita”, sia per ridurre il rischio di avere dei detenuti innocenti sia per
ipotizzare uno studio “ad hoc” relativo al sovraffollamento carcerario. Ma chi
può essere deputato a questi ruoli? Prima di individuare eventuali e possibili
competenti, sarebbe bene che ciascuno di noi ripercorresse la tragedia umana e
politico-culturale di Socrate e conseguentemente, come torno sempre a
ricordare, l’opera “Dei delitti e delle
pene” di Beccaria. Poiché nelle discipline umanistiche si insegna anche
Filosofia, a cosa serve far riemergere, didatticamente, i Saggi che nei secoli
hanno illuminato la loro epoca, se poi una volta conseguita la Laurea, i
discenti non mettono in pratica la saggezza che hanno acquisito? A mio avviso
due sono le risposte possibili: o l’insegnamento accademico è fine a se stesso,
oppure non c’è quell’amor proprio che consiste nel rispetto del senso civico
per il bene altrui. Ma tant’é. Il buon insegnamento, grazie anche alla nostra
lingua di dantesca origine, ha sempre un suo fascino (non per alcuni parlamentari,
sic!), avvalorato da regole di nobili intendimenti ed espressioni tali da
favorire la trasmissione del sapere, ma ben altra cosa è l’applicazione di
quello che si è appreso. Quindi la Storia e l’accademismo dovrebbero essere i
pilastri sui quali far crescere le nuove generazioni, e ridimensionare l’Ego
del politico attuale (e dei futuri candidati…) troppo interessato ad essere
tale, perché a mio modesto parere dietro ogni premeditata realtà negativa c’é qualcosa di tragico: l’insicurezza propria che tende a disorientare se non a “destabilizzare”
quella altrui.
La foto in alto è tratta da InfoVercelli24
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