I TEMPI SONO ORMAI MATURI PER RI-CONSIDERARE
IL POSSIBILE
MANTENIMENTO DEL NOSTRO SSN TRA
LE PRIORITÁ… ESISTENZIALI
Tra centralità e federalismo per molti cittadini che si ammalano
persiste l’esigenza di migrare o di
dover cambiare residenza, se vogliono sperare di guarire e avere
una maggiore prospettiva di vita
di Ernesto
Bodini
Nonostante
una buona dose di ottimismo (per chi ce l’ha) cosa ci aspetta il futuro in tema
di Sanità e Assistenza? Studiosi ed esperti (politici compresi) in varie
discipline se ne occupano da tempo ma a tutt’oggi un orizzonte appagante non
sembra essere così vicino, ed è anche per questa ragione che, come cittadino-paziente
ed opinionista, vorrei azzardare alcune considerazioni. Anzitutto rievochiamo
il concetto di diritto, termine che da sempre sta sulla bocca di tutti e, in un
Paese democratico (finché lo sarà), è lecito ed umano pretendere quei diritti
che non solo sono sanciti dalla Costituzione e all’occorrenza tutelati da
nostri quattro Codici di Legge (CC., CPC, CP, CPP), ma anche da quel senso di
libertà, civiltà e di progresso che abbiamo conquistato nel corso dei decenni…
all’insegna dell’Unità italiana. Ma partiamo dalla Costituzione: l’art. 32
sancisce la tutela della salute come diritto fondamentale dell’individuo e
interesse della collettività e, in questo principio, è bene sottolineare che è
responsabilità dello Stato nazionale garantire la salute del cittadino e della
collettività in condizioni di eguaglianza. Ed è su ispirazione del sistema
sanitario inglese (National Health Service – NHS), nato nel 1948 con lo scopo
di prestare assistenza sanitaria gratuita a tutta la popolazione britannica,
che in Italia il 23/12/1978) è stata istituita la Legge 833 istituendo il
Servizio Sanitario Nazionale (SSN), una vera e propria conquista sociale durata
ben quarant’anni, ma che da un po’ di tempo è oggetto di interminabili discussioni
in fatto di mantenimento della stessa in tutte le sue caratteristiche, tre in
particolare: generalità dei destinatari, ossia tutti i cittadini
indistintamente; globalità delle prestazioni che sono la prevenzione, la cura e
la riabilitazione; uguaglianza di trattamento, ovvero equità d’accesso. Ma ecco
che a “disturbare” questo che credevamo un giusto ed uniforme equilibrio, con
la Legge n. 3 del 18/10/2001 la Riforma del Titolo V della Costituzione è stata
affidata la tutela della salute alla legislazione concorrente tra Stato e
Regioni, delineando un sistema caratterizzato da un pluralismo di centri di potere
e ampliando il ruolo e le competenze delle autonomie locali: apertura al
cosiddetto e consolidato federalismo. Precursori di questa che io definisco
“inversione del diritto unanime” furono il politico e storico Gaetano Salvemini
(1873-1957), che sostenne appunto il federalismo; il sacerdote e fondatore del
Partito Popolare Luigi Sturzo (1871-1959), che difese le autonomie locali; e il
giurista Gianfranco Miglio (1918-2001), che fu suo il primo progetto
federalista della Lega. Per tre decenni si è paventato il rischio di una
possibile recessione, e che per scongiurarla troppo ottimisticamente, a mio
parere, si è pensato di allontanarlo con la Riforma del Titolo V della
Costituzione voluta dal centro-sinistra nel 2001. Il regionalismo, con le sue
allargate autonomie ha creato il divario tra Nord e Sud, contravvenendo
all’art. 5 della Costituzione che testualmente recita: “La Repubblica una e indivisibile riconosce e promuove le autonomie locali”;
l’art. 114 prevede l’istituto regionale e ne fissa minutamente le competenze;
ma lascia la fattibilità delle province e dei prefetti, ossia
l’istituzione-cardine dello Stato centralizzato mantenendone l’ordinamento. Da
qui in poi, chi sta al potere propende per la centralizzazione e chi invece è
all’opposizione è più orientato al mantenimento delle autonomie. Un dualismo
conflittuale si direbbe, ma ciò nonostante “si impongono” le tematiche del
regionalismo col sostegno dei tre governatori del Nord-Est: Veneto, Emilia
Romagna e Lombardia. Ma non si era detto che apparteniamo tutti all’unica
Nazione con gli stessi diritti (e doveri) proprio come enuncia la Costituzione?
Sembra proprio di no perché alla luce dei fatti, da quasi un ventennio le cose
volgono all’opposto diversificando quei diritti che spettano tanto al
piemontese quanto al calabrese; anzi, addirittura sono 21 i differenti sistemi
sanitari. Tra le molte differenze, ad esempio, ve n’è una che fa riflettere
ulteriormente: chi nasce in Calabria ha una aspettativa di vita diversa da chi
nasce in Lombardia o in Veneto, tanto che il Paese è frantumato in tre aree non
solo dal punto di vista geografico ma anche da quello sanitario, tale da non
garantire cure in egual misura a tutti i cittadini; inoltre, recenti
statistiche ci dicono che la speranza di vita in buona salute è di 60,5 anni al
Nord e 56,6 anni al Sud; e che al Nord il 49,6% dei malati cronici si
percepisce in buona salute contro solo il 36,6% al Sud.
Poi
c’è anche il problema dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), uno strumento
(aggiornato dal Ministero nel 2017) con
il quale lo Stato chiede alle Regioni di garantire alcuni servizi sanitari di
primaria importanza per il cittadino, e ciò nel rispetto dei criteri di
necessità, efficacia ed appropriatezza. Ma purtroppo l’andamento non è in linea
come dovrebbe essere, e ciò è verificabile in alcune Regioni (manco a dirlo del
Sud) per la loro incapacità di erogazione delle prestazioni; da qui
l’inevitabile fenomeno della migrazione sanitaria, in parte comprensibile ma
decisamente più dispendiosa soprattutto in termini economici e di sacrifici da
parte dei pazienti, spesso affetti da malattie gravi ed anche rare. Potrei
disquisire ad oltranza ma per ragioni di spazio e di “opportunità” mi limito a
sostenere che si tratterebbe di migliorare, se non invertire, questo sistema
“ricreando” quella uniformità che stava alla base del SSN e ai principi
costituzionali, retrocedendo al 2001; diversamente molti nostri connazionali
saranno considerati degli “apolidi sanitari”, quindi costretti a ricorrere alla
sanità privata (sempre più emergente, sia pur in parte convenzionata), o rinunciare
a determinate cure (anche importanti) e dover dire grazie ad un Paese che era
forse più unito nell’800… Anche se sono in corso attività di ulteriori e
possibili riforme (altrettanto urgente è la necessità di incrementare
l’organico dei medici e degli infermieri e adeguare sia le condizioni normative
che le remunerazioni stipendiali), al momento rimane l’amarezza di sapere che
chi si ammala deve avere un proprio Santo in Paradiso che lo aiuti a cambiare
la propria residenza e migrare in Regioni più virtuose, sia per avere più
probabilità di essere curato che di vivere più a lungo… Purtroppo il nostro
destino esistenziale in tema di diritti è prerogativa dei politici (e non sono
pochi), a molti dei quali si addice il motto latino: «Aures habent et non audient». E, a mio avviso, farebbero bene a considerare
(e fare propri) gli ultimi versi della notissima poesia di Totò, che per un
miglior effetto, li trascrivo in versione originale: «Perciò, stamme a ssenti... nun fa' 'o
restivo, suppuorteme vicino - che te 'mporta? Sti ppagliacciate 'e ffanno sulo
'e vive: nuje simmo serie... appartenimmo â morte!».
Commenti
Posta un commento