ALFIERI
DELLA REPUBBLICA SUL PALCOSCENICO
Continua
la saga degli “eroi” anche tra i giovani e i giovanissimi. Un riconoscimento
meritato a
voce di popolo e delle Istituzioni, ma che di fatto non ha nulla di eroico…
di Ernesto
Bodini
In
questi giorni alcuni quotidiani hanno dato largo censo al riconoscimento di “Alfieri
della Repubblica” da parte del Presidente a giovanissimi (nati tra il
1999 e il 2008) che per vari motivi (di studio, solidarietà e attività
socio-culturali), si sono particolarmente distinti. Come è noto (e giusto che
sia) ogni giornale alla notizia ha dato un proprio titolo, e quello che più mi
ha “indignato” è “Impegnati nella solidarietà e coraggiosi Mattarella premia i
giovanissimi eroi”. Premesso che non ho nulla da eccepire sulle
iniziative volte allo sviluppo culturale, scientifico e di solidarietà sociale,
ma ne sottolineo l’importanza e la necessità per essere di esempio ai tanti
inermi ed egoisti, ancora una volta mi ritrovo a disquisire sulla parola
“eroi”. Seppur ogni benevola azione contribuisca alla crescita civile di un
Paese come il nostro (che peraltro ne ha tanto bisogno), mi domando dove sta il
nesso con l’appellativo di eroe da attribuire a questa o quella persona, sia
essa giovane o meno. Sin da ragazzo, ossia da quando ho conosciuto la storia di
Albert Schweitzer (1875-1965), ho sempre disquisito su tale termine, che in
Italia da sempre viene fin troppo enfatizzato ed altrettanto fin troppo
riconosciuto a chi ha compiuto una buona azione o perorato una determinata
causa. Ora, è pur vero che non bisogna e non si deve smorzare gli entusiasmi e
i buoni intendimenti dei giovani, che sicuramente hanno preso saggio esempio o corretti
suggerimenti dai propri famigliari, ma è altrettanto vero che dare loro
importanza a livello presidenziale ritengo sia inopportuno o quanto meno
eccessivo. A riprova di ciò, va detto che vi sono analoghi esempi di
intraprendenza e di generosità verso il prossimo compiuti da persone che vivono
nell’ombra, quindi non note al pubblico e tanto meno alla Presidenza, men che
meno identificabili con l’attributo di eroe. E anche se per riconoscere i
meriti a determinati “protagonisti” del sociale a tutto campo si è dovuto
procedere ad una cernita, sia pur con obiettività, resta il dubbio sul criterio
di tale procedimento: è immaginabile che, a pari merito, sulla totalità
individuata si è dovuto fare delle esclusioni…, e va da sé che ciò non sarebbe
propriamente etico, oltre al fatto che gli “esclusi” possono provare un certo
risentimento… e non voglio pensare anche di invidia. Purtroppo alcuni mass
media, ogni qualvolta rilevano notizie di questo genere, con i loro titoli
attribuiscono ai protagonisti il “valore” di eroe, ma se non si vuole illudere
le masse è bene avere l’accortezza di retrocedere dal processo di
enfatizzazione proprio perché l’eroismo è un atto di elevatissimo impegno umano
che, per etica, non ha bisogno di essere riconosciuto e men che meno
etichettato. Si tenga presente, se si vuole essere obiettivi, che
potenzialmente qualunque essere umano è in grado di compiere una determinata
buona azione, sia in difesa dei propri simili che a beneficio dell’intera
collettività; ma non per questo è da definirsi eroe. A riguardo, rammento
ancora una volta il credo del dottor Schweitzer, il quale sosteneva che «Non esiste l’eroe dell’azione, ma della
rinuncia e del sacrificio». Il suo operato di filantropo è divenuto di
dominio pubblico per voce del suo contemporaneo Albert Einstein (1879-1955),
solo dopo molti anni aver fondato l’ospedale dei lebbrosi a Lambarènè (Gabon).
Ecco che, a mio modesto avviso, la sobrietà è la migliore “complice” del nostro
buon esistere; e se vogliamo avere una società più civile, è bene che l’esempio
della bontà e dell’etica comportamentale parta da chi governa un Paese, in
seguito al quale potremmo diventare tutti (o quasi) degli alfieri del buon
vivere. E a costoro vorrei rammentare anche quanto sosteneva il filosofo
francese Francois de la Rochefoucauld (1613-1680): «Possiamo
sembrare grandi in una carica al di sotto del nostro merito, ma sembriamo
spesso piccoli in una carica più grande di noi».
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