AMICHEVOLMENTE PARLANDO...


L’INTERMINABILE “INSTABILITÁ” DELLA CONCEZIONE DI AMICIZIA

Una “filosofia” di vita che tanto unisce quanto allontana gli esseri umani, proprio a causa della disomogenea definizione. Un dilemma esistenziale sul quale nessuno oggi si vuole interrogare. Dall’analisi più generale a quella del vissuto personale, sia pur in considerazione delle eccezioni che come sempre confermano la regola

di Ernesto Bodini


E purtroppo oggi è così: basta un click in un social netowork come Facebook per chiedere l’amicizia di qualcuno da aggiungere alla propria iniziata (o già corposa rubrica). E questo come se la conoscenza di qualcuno, che inizialmente è virtuale, desse un “valore aggiunto” ai propri rapporti relazionali, senza badare troppo se tale “aggiunta” possa portare ad un qualcosa di duraturo e… affidabile. Ma come si può concepire una possibile posizione di interscambio relazionale affidandosi unicamente alla visione di una microfoto, qualche scarno dato anagrafico e magari una certa dose di intuito? Secondo la immane e ininterrotta frequenza giornaliera di questi contatti (in tutto il mondo) pare che tale metodo funzioni e produca sviluppi di più o meno approfondite conoscenze. Ma quali certezze reciproche per un buon consolidamento di umano rapporto  tanto da etichettarlo “Amicizia”? Credo che non ci siano al momento statistiche in merito, e a parte le eccezioni, magari dai più “nobili” ed indovinati risultati, c’è ragione di credere che nella stragrande maggioranza dei casi non si possa parlare di amicizia, anche per il fatto che su questo sentimento di “avvicinamento” umano, più o meno interessato, nessun essere umano nella storia ha saputo coniare una definizione univoca e universale: tutti noi, nelle varie fasi della nostra vita, ci siamo espressi nel dare una personale definizione, più o meno di circostanza e/o di convenienza proprio per giustificare il rapporto che si è instaurato con questa o quella persona. A riprova di ciò, rammento che Aristotele (383-322 a.C. nell’immagine) sottolinea con molto rigore le differenze riscontrabili tra varie forme di amicizia. Non è “vera” amicizia né quella che corrisponde all’utile di uno, o di entrambi i contraenti, né quella che è fondata sul piacere. Autentica è solo quella che, svincolata da ogni altra motivazione in qualche modo estrinseca, trovi la propria ragion d’essere in se stessa, e si sviluppi inoltre sul comune presupposto della virtù dei contraenti. Una ulteriore considerazione ci viene dal filosofo tedesco Carl Schmitt (1888-1985) che sottolinea il fatto che “non si può essere “amici”, se non nel concreto di una relazione che ha, per così dire, due aspetti: da un lato quella dell’unione, e dall’altro quella della disconnessione. Ne consegue che la fratellanza universale è dunque un’utopia, o un abbaglio, in quanto tende a rimuovere il principio di individuazione dell’amicizia: l’essere qualcuno perché si è contro qualcun altro”. Più arrendevole (peraltro in linea con la mia convinzione, e probabilmente è una coincidenza) il concepire questo rapporto di Platone (428-348 a.C. nell’immagine) di fronte alla difficoltà di indicare una definizione univoca dell’amicizia, lasciando aperta una sorta di dualismo: resta inevasa la domanda su cos’é l’amicizia e il mantenimento effettivo della stessa.



Va comunque precisato che coloro che manifestano velocemente disposizioni amichevoli, vogliono essere amici, ma non lo sono, se non risultano anche amabili, e lo sanno: la volontà di amicizia, infatti, nasce velocemente, ma l’amicizia no. E questo, per non parlare degli adulatori: la propensione agli esagerati e ripetuti complimenti tra amici (o presunti tali), è certamente fuori luogo… I cosiddetti amici adulatori ostentano una sincerità che in realtà non é autentica e né utile, e che assomiglia piuttosto a un ammiccamento e a un malizioso solletichio… Personalmente sono anni che vivo nella scomoda incertezza sul valore di questo che per rispetto definisco sentimento, soprattutto dall’età più matura e, a tutt’oggi, le mie relazioni sociali sono oggetto di continua “conflittualità” sia perché è sempre più difficile (se non impossibile) capire a fondo l’animo altrui, sia perché ancor più difficile è sapersi rapportare con il prossimo che a dir suo si reputa amico. È evidente che ciò mi distanzia alquanto dalla comune realtà sociale, ma in compenso mi appaga perché mi rende libero di essere più me stesso, e quindi non “condizionato” da quel conformismo che talvolta rasenta l’ipocrisia. Ciò non toglie, però, che non si possa e non si debba considerare la persona in quanto tale, poiché è dovere di ciascuno, e quindi anche mio, collocarla al di sopra di ogni valore esistenziale. Ma nel contempo non posso sottacere il fatto che l’amarezza subentra quando chi intendiamo avvicinare, ci procura delusione magari per un semplice fraintendimento, talvolta con conseguenze a dir poco spiacevoli… Ma tant’é. L’anticonformismo e l’essere se stessi comportano un caro prezzo e il pagarlo assume maggior valore etico, specie se senza sconti di sorta liberandoci da ogni vincolo o compromesso perché non c’è niente di più bello e salutare poter affermare: io non sarò mai nessuno, ma nessuno sarà mai come me! 

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