FIDUCIA E
OTTIMISMO NELLA LOTTA AL CANCRO CON L’IMMUNOTERAPIA
L’Incontro-intervista tra l’immunologo
Michele Maio e il giornalista Giovanni Minoli. Notevoli esperienze e risultati
clinici al Centro senese dove lavorano cinquanta ricercatori provenienti da tutta
Italia e anche dall’estero, ma servono ulteriori fondi
per far fronte ad un crescente
numero di pazienti candidati all’immunoterapia
di
Ernesto Bodini
Se
lodevole è l’impegno di chi si dedica alla lotta contro il cancro, in primis i
ricercatori e i clinici, altrettanto lo è di chi si propone per la divulgazione
del loro lavoro tra notevoli difficoltà sia dal punto di vista dell’impegno
“senza sosta” che da quello finanziario. È di recente pubblicazione “Il cancro ha già perso – La rivoluzione da
Nobel dell’immunoterapia dei tumori” (Edizioni Piemme, pagg. 106, € 16,00)
di Michele Maio e Giovanni Minoli, rispettivamente insigne immunologo-ematologo
e direttore del Centro di Immunoterapia Oncologica del Policlinico Santa Maria
alle Scotte di Siena, e giornalista e conduttore televisivo. Un contributo
letterario-divulgativo più che puntuale, considerando il riconoscimento del
Premio nobel per la Medicina (2018) a due scienziati, lo statunitense James P.
Allison e il giapponese Tasuku Honjo, per le loro scoperte nel campo
dell’immunoterapia contro il cancro. L’incontro tra i due autori del libro, che
ha una valenza di non poco ottimismo per la lotta contro le varie forme di
tumore, si basa su una estesa intervista del giornalista radio-televisivo,
dalla quale emerge la chiara definizione dell’immunoterapia oncologica, come
funziona, per quali tumori ha dato risultati già consolidati, quali sono le
prospettive future e la sostenibilità economica delle cure. È bene ricordare
che il nostro sistema immunitario è progettato per combattere attacchi esterni
quanto “rivoluzioni” interne; i tumori, però, a volte non solo riescono ad
eludere il sistema immunitario ma anche ad evitare che questo scateni attacchi contro se stessi,
e qualche volta trovando così un alleato stesso nel sistema immunitario. A
riguardo il clinico precisa che «l’immunoterapia, utilizzando dei veri e
propri farmaci, attiva o potenzia le nostre difese immunitarie, facendo sì che
esse possano distruggere le cellule tumorali che sono identificate come
estranee in quanto hanno acquisito caratteristiche che le differenziano dalle
cellule normali». Per il lettore “profano”, che si domanda perché
l’immunoterapia riesce dove la chemioterapia e la radioterapia non ce la fanno,
il prof. Maio spiega che con queste due “tradizionali e consolidate” terapie si
agisce direttamente sulle cellule tumorali in quanto bersaglio immediato del
trattamento, ma che nel corso della terapia possono in seguito diventare resistenti
al trattamento stesso, tanto da dover cambiare la strategia terapeutica; mentre
con i farmaci immunoterapici si agisce soprattutto sul sistema immunitario
innescando un meccanismo attivo di controllo della malattia..., sia pur
considerando che si possono manifestare degli effetti collaterali che
determinano alterazioni funzionali anche negli organi sani. L’immunoterapia sta
comunque dimostrando la sua efficacia in molti tipi di tumore diversi tra loro,
ma anche nel trattamento di questi in fasi differenti della malattia; come ad
esempio il Linfoma di Hodgkin, tumori delle vie urinarie e del distretto
testa-collo, e il tumore di Merkel, «malattie
oncologiche per le quali anche in Italia – informa il cattedratico – dovremmo avere a disposizione farmaci immunoterapici
nei prossimi mesi». Nel frattempo un barlume di speranza lo si intravede
per il trattamento del mesotelioma pleurico (neoplasia causata dall’esposizione
all’asbesto, nda), in quanto nel Centro senese, grazie alla ricercatrice Luana
Calabrò, si sono identificati i primi segni di attività dell’immunoterapia sviluppando in sequenza tre diversi studi
spontanei no-profit, i cosiddetti “Investigator
Initiated Trials”. Ma il prof. Maio precisa inoltre che da ulteriori
sperimentazioni si attendono risultati definitivi per il trattamento di questo
tumore. Nel Centro senese sono già state curate con l’immunoterapia alcune
migliaia di pazienti, di cui circa il 70% quelli entrati in una sperimentazione
clinica; un risultato di “eccellenza” se si considera che, in media, negli USA
e in Europa solo il 5% e il 7% dei pazienti oncologici viene inserito in
sperimentazioni cliniche.
Ma
quanto si allunga, domanda Minoli, l’aspettativa di vita di un malato trattato con
l’immunoterapia? «... su alcuni tipi di
tumore – precisa il prof. Maio – abbiamo
ormai già disponibili dati dell’incremento della sopravvivenza a cinque e a
dieci anni, e questo solo perché le sperimentazioni cliniche con i nuovi
farmaci immunoterapici sono iniziate prima in questi tipi di tumori rispetto ad
altri. Dati iniziali in pazienti affetti da cancro del polmone che avevano
fallito trattamenti precedenti, dimostrano che abbiamo quadruplicato la loro
sopravvivenza a cinque anni; risultato molto incoraggiante dal momento che in
questa patologia è cambiato assai poco nell’efficacia sulla sopravvivenza dei
trattamenti chemioterapici negli ultimi trent’anni. Inoltre, nel melanoma
sappiamo che, grazie ai primi farmaci immunoterapici sperimentati in questi
pazienti, ne abbiamo quadruplicato la sopravvivenza a dieci anni, un arco
temporale davvero molto lungo, portandola dal 5% al 20%». Risultanti
confortanti ma che non escludono i casi che non hanno risposto alle
sollecitazioni dell’immunoterapia; per contro ci sono informazioni che
permettono di comprendere quali sono i pazienti che risultano essere i migliori
candidati all’immunoterapia e, a questo riguardo, il clinico precisa: «In futuro è auspicabile che la selezione e
la terapia dei pazienti non sarà basata tanto sul tipo di tumore da cui essi sono
affetti, come avviene per la chemioterapia, ma piuttosto sempre più su
specifiche caratteristiche molecolari della malattia». E questo perché esistono alterazioni molecolari delle cellule neoplastiche che possono essere
condivise tra tumori completamente diversi tra loro. E in merito alla
popolazione che invecchia sempre di più, la domanda del giornalista è: ai
malati che possano ammalarsi di tumore l’immunoterapia è preclusa? «Abbiamo evidenze crescenti, basate anche su
ampi numeri di pazienti – afferma il prof. Maio –, che dimostrano che se
analizziamo i soggetti al di sopra o al di sotto dei 70 anni, trattati con
l’immunoterapia per differenti tipi di tumore, non c’é alcuna differenza in
termini di efficacia del trattamento in base all’età maggiore o minore di
questo limite. Inoltre, anche dall’esperienza diretta che abbiamo maturato con
la pratica quotidiana negli anni, adesso sappiamo che anche pazienti molto
anziani possono rispondere molto bene all’immunoterapia». Quindi, quale il
futuro? Secondo il prof. Maio siamo certamente di fronte a una rivoluzione
epocale, come lo è stato per lo sviluppo clinico della chemioterapia
antitumorale agli inizi degli anni ’60. «Se
dovessi immaginare il futuro della ricerca sull’immunoterapia del cancro –
conclude – vedrei quest’ultima come un
enorme iceberg del quale al momento stiamo iniziando a conoscere solo la
sommità, mentre alla base abbiamo un mondo ancora tutto da esplorare e che ci
riserverà scoperte entusiasmanti già nei prossimi due-tre anni». Un
ottimismo confortante, come del resto evidenziano i risultati di alcune
testimonianze di pazienti (in trattamento pregresso ed attuale) raccontate nel
libro: un’opera di speranza, fruibile da chiunque e che merita una maggiore
diffusione.
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