UN DISCUTIBILE PROGRESSO


SEMPRE PIÙ IMPONENTE L’AUTOMAZIONE ROBOTICA

Nel mondo del lavoro soprattutto nei Paesi orientali e in Centro-Europa
 la presenza dei cosiddetti “umanoidi” esautora la genuinità dell’Uomo

di Ernesto Bodini



Sono trascorsi alcuni decenni dal perdurare della manodopera, ed ecco che siamo giunti alla concretezza della profezia di alcuni (molto modestamente anche mia). In tempi non sospetti (sia pur da profano) dissi che un giorno gran parte del lavoro svolto dall’uomo sarebbe stato sostituito dalla tecnologia robotica, e che al suo posto sarebbe bastato premere un pulsante, magari anche da casa, per svolgere una determinata attività. Ed è di questi giorni la notizia che i robot, prevalentemente di produzione giapponese, stanno sostituendo l’uomo nell’Europa orientale, in particolare in Slovenia nei Paesi del Gruppo di Visegrad. C’é da stupirsi? Certamente no, ma da preoccuparsi sì in quanto tale robotizzazione supplisce alla carenza di manodopera, con un tasso di rischio (secondo la previsione della Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo) nella misura del 62% (in Italia il 52%) per un lavoratore slovacco, di perdere il lavoro in un futuro non lontano proprio a causa dei robot...ormai tuttofare. E secondo le proiezioni della International Data Corporation  sarà di 4,2 miliardi di dollari la spesa per la robotizzazione nell’Europa centro-orientale nel 2020, mentre era di 2,5 miliardi nel 2016. In fatto di produzione, come riporta La Stampa del 13 dicembre, sono 137 i robot industriali impiegati ogni 10 mila occupati nel manifatturiero in Slovenia (16° posto al mondo); e la media globale è di 74 ogni 10 mila secondo i dati del 2016 della Federation of Robotics. Quindi, a fronte di questa realtà che comprende anche altri “espedienti” sostitutivi dell’umano, minori ma non meno significativi come ad esempio la creazione di call center, ed ancor peggio della telefonia preregistrata su disco invitando l’utente a digitare uno o più tasti senza avere un “umano interlocutore”, inevitabili sono la disoccupazione, il precariato e il prepensionamento proprio a causa della tecnologia: un robot in sostituzione di due o più operatori... Ma i nostri ben pensanti (che peraltro si credono degli illuminati sfornando titoli ed esperienze a desta e a manca) come pensano di favorire la ripresa dell’occupazione lavorativa se molte mansioni vengono sostituite dai cosiddetti umanoidi? Sono anni che esperti in varie discipline e politici dibattono anche su questo versante, ma a tutt’oggi la panacea resta ancora un miraggio! Io credo che si stia studiando poco (e con scarse obiettività e competenze), mentre si parla e si spende inutilmente troppo, un modus operandi che è fatto di retorica e di lotte intestine tra gli addetti per prevalere l’uno sull’altro. A riprova di ciò sarebbe suffciente seguire gli interminabili incontri di piazza e televisivi “da salotto” con tanto di invitati a parlare, ospiti ascoltatori e pure collegamenti in esterno, con al centro uno o più moderatori che, se dovessero dirigere un’orchestra anziché un dibattito, ogni pentagramma sui leggii  dell’orchestrale sbiadirebbe alla prima nota musicale... In buona sostanza, a mio modesto avviso, non c’é politico che tenga soprattutto quando non è l’umiltà a sorreggere il suo lavoro, per non parlare, ribadisco, delle sue in-competenze che in non pochi casi lasciano molto a desiderare; inoltre, non meno deleterie sono la cupidigia di alcuni e la presunzione (illusione) di molti ad imbonire i loro sudditi, con false promesse, speranze e risultati ancor più distanti dall’orizzonte. Nel frattempo il popolo, sempre più povero e disoccupato langue, perdendosi nei meandri del tutto di niente, oggi; ed ancor più domani poiché non avendo versato contributi in quanto disoccupato, non avrà pensione... grazie ai suddetti esperti di tutto del nulla. E a questi imbonitori ben si addice quanto sosteneva il filosofo francese Francois de la Rochefoucauld (1613-1680): «Possiamo sembrare grandi in una carica al di sotto del nostro merito, ma sembriamo spesso piccoli in una carica più grande di noi».


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