L’INAPPROPRIATO “EROISMO”
ALLA RIBALTA TRA I RICONOSCIMENTI ISTITUZIONALI
Il “vero” portamento umano nella sua quotidianità
dovrebbe restare
nella penombra e rifuggire da solenni ed... inutili encomi
di
Ernesto Bodini
È
inutile: un Paese che va alla deriva ogni anno individua un certo numero di
“eroi”, come a voler “contrastare” fatti e misfatti che quotidianamente (dalla
politica alla vita comune di tutti) turbano la serenità e la voglia di crescere
della brava gente. Anche quest’anno sono 33 i cittadini italiani, di cui alcuni
stranieri (residenti), ai quali è stata riconosciuta dal Capo dello Stato un’onorificenza
che va dall’Ufficiale dell’Ordine al
Merito della Repubblica al Cavaliere o Commendatore dell’Ordine al Merito della
Repubblica. Nulla da obiettare sull’operato di questi protagonisti del
buon agire a favore della collettività quale esempio del vivere civile, ma per
una sorta di rigore etico-filosofico, ritengo che tali loro azioni non andrebbero
intese quali atti di mero “eroismo” come hanno titolato i mass media; più
semplicemente, invece, come “semplice” esempio di comportamento. Se si vuole
essere razionali ed obiettivi bisogna considerare che potenzialmente siamo
tutti degli “eroi”, in quanto sono molte le persone che quotidianamente agiscono
per il bene del prossimo, e gran parte di queste non sono individuate da
nessuno e, anche se lo fossero, con quale criterio vengono segnalate al Capo
dello Stato per la riconoscenza del titolo onorifico? A questo riguardo mi
permetto di richiamare alla memoria l’umiltà e la sobrietà del grande Albert
Schweitzer (1875-1965), il quale ha lavorato nascosto per decenni: la sua fama
è stata lenta ma sicura come la sua opera di medico missionario. Nel 1945 fu
Albert Einstein (1879-1955) a far sapere alla radio americana che in Africa
viveva uno dei più grandi uomini dei tempi moderni. E sino a quel momento nessun
giornale importante si occupò di quell’uomo, ma solo gli opuscoli dei
missionari riportavano spesso il suo nome e le sue opere.
Ed è
solo da allora (dopo oltre un trentennio, ossia dal 1913) che la gente ne venne
a conoscenza e prese ad amarlo... nonostante vivesse lontano migliaia di
chilometri. Le polemiche non mancarono tanto che ancora oggi ci possiamo
chiedere: era carità o filantropia quella del medico volontariamente
“confinato” (con la moglie Hélène Bresslau, infermiera) a Lambarènè? Dato il
rigore che ha contraddistinto il filosofo e medico alsaziano (nella foto) e del cui operato umanitario
ed etico esiste una ricchissima documentazione (in buona parte ne posseggo
personalmente, compreso il suo “Testamento
spirituale” inciso su un 33 giri nel 1962), non ci si può estraniare da
quelli che sono stati i suoi veri intenti filantropici, e significativa era la
sua convinzione: «Non esiste l’eroe
dell’azione, ma della rinuncia e del sacrificio»; un aforisma tanto
lapidario e severo quanto rispondente a quella eticità che a pochi uomini si può
attribuire. Ma tornando ai giorni nostri e alla nostra realtà, un Paese come
l’Italia non ha poi così bisogno di riconoscimenti ufficiali per far conoscere
l’operato di alcuni nostri concittadini; il palcoscenico dei riflettori è fin
troppo abitato per offrire visibilità e i mass media televisivi ne sono i
principali produttori, oltre ai più svariati social network. A mio avviso, per
far parte di quella schiera votata al bene della collettività, è sufficiente
prendere esempio di ogni buona azione di cui si viene a conoscenza, o
rinverdire le pagine storiche di saggi ed umili le cui gesta sono divenute note
ai posteri alla loro morte, quindi in vita non sono stati onorati con encomi e
tanto meno con medaglie. E, a questo proposito, credo sia sempre più vero che i
cosiddetti simboli della condizione sociale sono medaglie che ci si compra.
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