L’ECCESSO DELLA PRODUZIONE LINGUISTICA NON SEMPRE È UTILE
Quando
l’ambizione-dovere di creare neologismi può sconfinare nell’assurdo:
ricchezza
per i “protagonisti ispiratori”, povertà del nostro bisogno di sapere
di
Ernesto Bodini
Nel
nostro Paese vi sono molte testimonianze di povertà materiale e spirituale, ma
nel contempo anche qualche ricchezza che personalmente in questo caso non
identifico in quella materiale, ma in quella meramente edonistica. E per
edonismo intendo, come precisa la Treccani: “Concezione filosofica che riconosce come fine dell’azione umana il
piacere, nella storia della filosofia è rappresentata soprattutto dalle
dottrine dei filosofi greci Aristippo di Cirene e Epicuro”. Tale termine
impreziosisce non solo lo stesso in quanto tale, ma anche la “maestosità”
dell’Enciclopedia (onore al merito per il nostro Dante) con l’arricchimento dei
termini e... moderni neologismi. Non ultimo (e qui a mio parere di modesto
purista-opinionista) vorrei disquisire su quanto pubblicato oggi (2 novembre)
dall’Ansa online che titola: “Tottilatria”
l’adorazione del capitano entra nella Treccani - Istituto inserisce il termine
fra i neologismi della settimana”, ed è noto che il suffisso “-latria”
indica l’adorazione “religiosa” di chissà quanti fan (ed esaltati) per il
numero 10 della Roma, passato nell’Olimpo del mondo degli Dei sportivi... in
già quel lontano 2006. Tale inserimento è stato così motivato dalla Treccani: «Un capitano c’é solo un capitano. Così
cantano i seguaci di Francesco Totti, mentre avanzano in corteo. Molti trovano
rassicurazione stringendo in mano il simbolo sacro nel quale si riconoscono: il
cucchiaio. Il suffisso “-latria” deriva dal greco “latréia” (servitù, culto) ed
è spesso usato come secondo elemento in parole composte, per indicare
adorazione pressoché religiosa. Nel caso di neologismi come “tottilatrìa”,
ovviamente, l’uso del termine è iperbolico». Nulla di personale nei
confronti della nota e valente Treccani, anzi; ma inserire un neologismo frutto
di un divo dalle sia pur ineguagliabili performance sportive, il cui sapere (mi
consta) essere più fisico-spettacolare che di buona dizione espressiva della
lingua italiana, mi sembra un insulto non solo alla Lingua italiana ma anche al
Dante la cui nobiltà linguistica da anni viene insegnata in vari Paesi oltre
oceano.
E c’é
ragione di dedurre che tra i molti fan del suddetto “principe” del calcio
internazionale, ve ne saranno non pochi appartenenti a quel 60% di italiani che
non leggono un libro all’anno (sic!). E come se non bastasse qualche
buontempone, non privo di fantasia, quando il calciatore “idolatrato” si è
congedato dall’attività sportiva, considerandolo un eroe dei nostri tempi, ha
pensato bene di ideare una targa posta in quei giorni nei Giardini di Maria
Liberatrice in Roma (vedi foto), con la dedica: “Piazza Francesco Totti VIII Re di Roma”. Un vero e proprio
delirio all’ennesima potenza che, per i puristi della lingua italiana e
dell’etica nell’ambito della sociologia comportamentale, io credo, potrebbero
intenderlo come una sorta di “blasfemia letteraria e antropologica”; inoltre è
noto che nessuna Biblioteca al mondo
sarà mai sufficientemente grande da poter contenere il volume della nostra ignoranza!
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