PROGRESSI SCIENTIFICI ED UMANI


EVOLUZIONE DELLA TRAPIANTOLOGIA UMANA:
UN PERCORSO SEMPRE PIÚ IN SALITA

L’incalzante progresso e la “temerarietà” del corpus medico, come pure il forte attaccamento alla vita, contribuiscono a dare valore non solo all’esistenza ma anche a consolidare il rapporto medico-paziente

di Ernesto Bodini


L’evoluzione trapiantologica di arti e tessuti a scopo terapeutico da tempo non ha più confini e segreti: si trapianta di tutto e di più, purché ci siano donatori e soggetti compatibili dal punto di vista immunologico, psicologico e ... culturale. È di questi giorni il primo trapianto di faccia in Italia ad opera dell’équipe del prof. Fabio Santanelli Pompeo che, all’ospedale Sant’Andrea di Roma (nella foto l’ingresso, che fa parte dell’Università la Sapienza), in collaborazione con il collega Benedetto Longo e un team di specialistico di Zurigo, ha potuto “ridare” un volto nuovo ad una donna di 49 anni (adeguatamente preparata dal punto di vista psicologico) affetta da una neurofibromatosi di tipo 1, una patologia neurodegenerativa del sistema nervoso periferico che deturpa il viso. E ciò si è potuto realizzare grazie al consenso dei familiari della donatrice, una giovane di 21 anni deceduta in un incidente stradale. Un intervento-maratona durato ben 27 ore che ha visto all’opera vari specialisti e un piccolo esercito di infermieri e tecnici. L’intervento è tecnicamente riuscito e la paziente, ancora in terapia intensiva, apre una nuova frontiera per il nostro Paese, che va a sommarsi ai circa 50 interventi di faccia effettuati sin’ora in tutto il mondo. Purtroppo però, dopo tre giorni, come riferiscono le cronache questo trapianto è fallito a causa del rigetto: il volto della paziente non era irrorato dal sangue dei vasi e, seppur in condizioni generali non preoccupanti, la paziente dovrà essere sottoposta ad un altro trapianto e quindi in attesa di un’altra donatrice. Il rigore storico ci porta a ricordare che un caso analogo riguarda Jerom Hamon, un uomo di 43 anni affetto dalla stessa patologia (divenuto noto come “l’uomo dai tre volti”), operato nel novembre 2017 dall’équipe del prof. Laurent Lantieri all’Hôpital Européen Georges Pompidou di Parigi. A quell’evento fece parte l’italiano il chirurgo plastico Francesco Saverio Wirz, e relativamente “all’insuccesso” italiano, a La Stampa del 25 settembre ha dichiarato: «Non conosco la vicenda italiana, parlo di ciò che conosco. Nel caso di Hamon il rigetto il rigetto si è manifestato dopo otto anni, e dopo la ricostruzione temporanea abbiamo aspettato tre mesi per avere una nuova donazione. In quel periodo, il paziente è stato tenuto in rianimazione, sottoposto ad una adeguata terapia antibiotica per evitare infezioni... Il secondo trapianto presenta comunque complessità maggiori: la parte interessata è più infiammata, c’è molta fibrosi; i nervi sono stati utilizzati, a partire da quello facciale, i tessuti già trattati, la motilità del viso è ridotta...  Jerome è stato forte, adesso è a casa. Per capire come com’è andata bisogna ancora attendere».


Ma facciamo un po’ di cronistoria. Un primo passo in questo ambito (che potrebbe essere considerato pionieristico) riguarda Walter Ernest O’Neil Yeo (1890-1960), un marinaio inglese arruolatosi nella Royal Navy, che subì il primo intervento di chirurgia plastica ricostruttiva della  storia a causa di gravi lesioni riportate nel 1916 nella battaglia dello Jutland (31 maggio-1 giugno). Riportò ustioni di 3° grado sul 90 per cento del corpo che non si rimarginavano. Trascorse sei mesi prima all’ospedale di Plymouth e successivamente  al Mary’s Hospital a Sidcup, nel Kent (Londra), dove nel 1917 ad opera del medico chirurgo Harold Gillies che ideò  e eseguì su di lui il primo trapianto (innesto) di tessuto facciale. Lento ma sorprendente il risultato (come si nota dalle foto), nonostante le ricorrenti infezioni, le particolari difficoltà nella sutura (con grossi e grossolani punti), e nel collegare al sistema sanguigno la parte epidermica asportata dai glutei. Poiché gli occhi del paziente si erano fusi in un liquido gelatinoso, vennero impiegati occhi di vetro che simulavano l’umidità di una normale cornea. Si ritiene che Walter Yeo sia stato uno dei primi pazienti ad essere trattato con la tecnica chiamata “lembo peduncolo tubolare”, tanto che il chirurgo Gillies passò alla storia come il “padre della chirurgia moderna”. Nel 1919 il sottoufficile della Marina Yeo fu “riconfermato” idoneo per il servizio attivo, anche se nel 1921 dovette subire un ulteriore intervento dopo il quale il suo deturpamento fu registrato come “migliorato”. Nel 1938 fu sottoposto ad ulteriore trattamento per un’ulcera corneale. Si sposò nel 1914 ed ebbe due figli. Morì nella sua città natale (Plymouth) nel 1960 a settant’anni.


Se Yeo è stato il “precursore” nell’aver beneficiato di questo tipo di intervento ricostruttivo della faccia con esito soddisfacente, bisogna attendere alcuni decenni prima venire a conoscenza di altri ragguardevoli  traguardi. Nel 2005 la francese Isabelle Dinoire (nella foto dopo l’intervento), che aveva 36 anni, in seguito alle ferite causate dal suo cane che le deturpò gran parte della faccia, nell’ospedale di Amiens fu sottoposta ad una vera e propria ricostruzione parziale del viso (un triangolo di tessuto di una donatrice, comprendente naso e bocca). Ad un anno dall’intervento l’équipe, coordinata dai proff. Bernard Devauchelle e Jean-Michel Dubernard, che effettuò l’intervento, annunciò i progressi ottenuti, compresa la capacità della paziente di muovere le labbra la quale, in seguito, dichiarò di aver faticato ad abituarsi  ad una faccia diversa dalla sua, ma in compenso di aver recuperato buona parte della sensibilità al viso e capacità di movimento. Storiche alcune sue affermazioni riportate dai mass media, come ad esempio quella non priva di entusiasmo e riconoscenza: «Mi sono guardata allo specchio. Mi hanno restituito la mia faccia. Hanno fatto un lavoro magnifico», e alludendo alla donatrice: «Ringrazio dal profondo del cuore la sua famiglia, che ha dato il permesso di quest’operazione». Nel corso degli anni ebbe qualche episodio di rigetto sia pur in forma parziale, controllato con i farmaci, i cui trattamenti hanno portato all’insorgenza di due tumori, tant’è che la paziente nel settembre 2016 è deceduta.

Nel 2008, in seguito ad un incidente elettrico, la faccia dell’americano l’allora 23enne Dallas Wiens di Fort Worth (Texas), fu deturpata tanto che risultava praticamente “un uomo senza volto”, oltre ad una grave lesione del midollo spinale. Non perse mai la speranza grazie alla sua straordinaria volontà di riprendersi, e alla fine fu sottoposto al trapianto facciale completo negli Stati Uniti. Nonostante non avesse più naso, labbra, sopracciglia e occhi (quindi completamente cieco), imparò a parlare senza usare labbra e denti. Fece sensibili progressi lasciando l’ospedale nel 2009, tant’è che nel 2010 iniziò a camminare; ma desiderava essere in grado di sentire di nuovo i baci di sua figlia sul viso, ed è anche per questa ragione che accettò di sottoporsi al trapianto facciale completo. Intervento che fu effettuato al Brigham and Women’s Hospital nel 2011 da un team di oltre 30 medici e personale ospedaliero, coordinati dal dott. Bohdan Pomahac, e durò 17 ore. A parte la vista il paziente riacquistò parte dei sensi facciali, oltre al recupero della capacità di respirare e il senso dell’olfatto. «Sapere che potevo sentire l’odore di una rosa, o di un qualcosa di simile – ha detto – mi ha colpito molto». Un appagamento che è stato completato dalla conoscenza di Jamie Nash (anche lei ustionata in un incidente stradale, perdendo parzialmente l’uso degli arti), che ha spostato nell’aprile del 1913 e oggi hanno anche tre figli. Una famiglia in ascesa che la sofferenza ha fatto incontrare, creando una storia di speranza, di veri sopravvissuti, che stanno vivendo consapevoli che tutti hanno una storia da raccontare e da vivere.


«Preferirei essere morto piuttosto che vivere come me», così si esprimeva Patrick Hardison (nella foto prima e dopo), il vigile del fuoco americano di 41 anni, mentre lavorava come volontario nel Missisipi nel settembre 2011. Nel tentativo di salvare una donna da un incendio, fu gravemente ustionato e lesionate gravemente le sue orecchie e le sue palpebre, tanto che dovette subire parecchi interventi chirurgici, e nell’agosto del 2015 al Langone Medical Center della New York University, fu sottoposto ad un trapianto di faccia (durato circa 26 ore), presentato dai medici dall’équipe diretta dal dottor Eduardo Rodriguez come il più esteso eseguito fino a quel momento nel mondo. Donatore David Rodebaugh, un meccanico 26enne morto in un incidente ciclistico. A 90 giorni dall’intervento il dottor Rodriguez precisò: «Il quantitativo di tessuto trapiantato al paziente non è mai stato impiantato prima, tuttavia sta progredendo bene, anche se siamo a tre mesi dall’intervento». Nel dettaglio l’intervento è consistito nel trapianto dei canali auricolari e delle orecchie, di parti delle guance e del mento, di tutto il naso e di meccanismi intermittenti e delle palpebre; ciò ha comportato una terapia fisica orientata alla forza costruttiva, un periodo di riabilitazione per la funzionalità della deglutizione, un percorso di logopedia e terapia occupazionale. Hardison, nell’esprimere la sua gratitudine per i donatori di organi che permettono ai malati sopravvissuti di avere una nuova prospettiva di vita, in una conferenza stampa precisò: «Non si può immaginare la generosità dei donatori e delle loro famiglie, a cui si deve gratitudine, personalmente non posso dire che grazie: il trapianto  è fantastico, mi è stato dato un volto nuovo, una nuova vita!».


Ma altri casi si sono verificati. Nel maggio del 2015 Rebekah Aversano, una donna del Maryland (USA), durante un incontro particolarmente emozionante, ha rivisto faccia a faccia il fratello morto in un incidente stradale tre anni prima. Il volto di suo fratello fu trapiantato su quello di Richard Norris, orribilmente sfigurato (senza naso, mandibola, zigomi, lingua, denti, labbra) a causa di un colpo di fucile avvenuto nel 1997. Dopo 18 anni vissuti tra interventi riparativi, ma con scarsi risultati, e periodi di depressione sino a rasentare l’idea del suicidio, nel 2012 Norris si sottopose ad un intervento (che durò 36 ore) e che impegnò ben 150 operatori sanitari e tecnici guidati dal dottor Eduardo Rodriguez. Un trapianto particolarmente esteso, complicato e costoso. Altri ne seguirono (attualmente nel mondo ne sono stati fatti circa 40), come quello effettuato a Katie Stubblefield, una 18 enne americana, gravemente deturpata avendo tentato il suicidio (nel maggio 2014) con un colpo di pistola. Un atto dettato da problemi di salute, famigliari e sentimentali. Il caso destò una vasta eco tanto che nel numero di settembre di quest’anno la prestigiosa rivista scientifica National Geographic del numero di settembre le ha dedicato la copertina (nella foto: prima e dopo l'evento) e un dettagliato reportage. La ferita le aveva distrutto naso, fronte, mascella procurandole lesioni cerebrali e danni estesi agli occhi: il trapianto, preceduto da 22 interventi ricostruttivi della durata di 31 ore, avvenne il 4 maggio 2017 alla Cliveland Clinic; la donatrice Andrea Schneider, una donna di 31 anni morta per overdose. Oggi Katie ha 22 anni e risulta essere la più giovane destinataria di un trapianto di faccia degli USA i cui esiti, sfogliando le pagine del National Geographic, dimostrano sensibili progressi sia dal punto di vista tecnico che estetico. Insieme ai suoi genitori Robb e Alesia, che le sono sempre rimasti accanto nonostante alcune difficoltà logistiche ed economiche, la giovane Katie sta facendo sensibili progressi, grazie a ripetuti interventi correttivi e finalmente il trapianto totale di faccia avvenuto ad opera dei chirurghi della Cleveland Clinic dell’Ohio, scrivendo così una delle storie più commoventi sia dal punto di vista dei sentimenti umani, che da quello della temeraria scienza chirurgica. All’inizio di questo percorso in salita, per Katie l’intervento “risolutivo” sembrava essere un miraggio, ma quando le condizioni di salute si stabilizzarono l’operazione rappresentò un traguardo, e anche se oggi non lo ha ancora raggiunto, il tempo e la storia parleranno per lei.



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