INTERVISTA AL DOTTOR MARCO
DOLFIN, MEDICO
ALL’OSPEDALE SAN GIOVANNI BOSCO
DI TORINO
Paraplegico dal
2011 a causa di un incidente stradale, oggi 37enne, è un affermato chirurgo
ortopedico, ma con un passo in più: è anche un promettente sportivo nella
disciplina del nuoto. Una passione che lo ha già coronato di alcuni successi
come la chiamata in azzurro per gli Europei di Funchal del maggio scorso, la
partecipazione a quattro finali continentali nei 200 misti, 100 rana e 50
farfalla, sino alla conquista della medaglia d’argento ai Campionati Europei che
si sono svolti a Dublino dal 13 al 18 agosto. Sposato con una infermiera, e
padre di due gemellini, oggi il dott. Dolfin ha ripreso una vita “normale”
dimostrando che la disabilità il più delle volte non pone limiti per continuare
ciò che si era cominciato, e per ciò che si vuole ottenere.
di Ernesto Bodini
Dott.
Dolfin, chirurgo ortopedico dal 2005, e oggi anche disabile per via di un
incidente stradale occorso nel 2011. Può tracciare un primo “bilancio” di
questa esperienza?
“È difficile essere e
fare il paziente. Sin dagli inizi delle cure non ero in grado di fare
determinate scelte, rimettendomi totalmente alle decisioni dei colleghi
curanti. Quando si è poi trattato di impostare un programma riabilitativo ci
siamo sempre confrontati, anche per il fatto che ci conoscevamo da tempo...
Poi, con il tempo, il processo di adattamento è diventato via via progressivo
sino a concepire il concetto di una “nuova” vita, sia professionale che
familiare”
Che
cosa ha determinato, dopo l’incidente, il dedicarsi allo sport agonistico, al
nuoto in particolare?
“La passione per lo
sport, soprattutto praticato a livello agonistico, era preesistente in quanto
lo praticavo già da tempo. Poi si è trattato di perseguire la disciplina in cui
avrei potuto dare il meglio di me. All’inizio mi sono dedicato all’hit ball,
uno sport noto soprattutto in Piemonte, e in seguito dedicandomi al nuoto con la
voglia di competizione, tanto che lo spiritto competitivo mi è rimasto... se
non rafforzato”
Per
continuare a fare il chirurgo ortopedico le è venuto incontro la tecnologia.
Come è nata l’idea, e su che basi, di farsi costruire una attrezzatura
(ausilio) idonea alle sue necessità operative?
“Avevo ben chiaro
quali fossero i miei obiettivi per continuare a fare il chirurgo ortopedico, ma
dovevo capire con quali mezzi e difficoltà... Una valutazione che ho cominciato
a fare quando ero ancora ricoverato in Unità Spinale per la riabilitazione,
ossia quale posizione assumere per una buona stabilità e un adeguato controllo
del corpo, sino ad affinare i diversi tentativi, provando e riprovando diversi
modelli di ausilii: una carrozzina per scopi riabilitativi adatta ad ottenere
anche una posizione eretta. Quindi, sino alla completa realizzazione per
poterla utilizzare con sicurezza e affidabilità accanto al tavolo operatorio”
L’essere
“imbragato” in questa carrozzina verticalizzata ipertecnologica, definita
esoscheletro, comporta particolari precauzioni prima e durante un intervento?
“Non necessariamente,
ma ciò che cambia sono i tempi della mia preparazione per essere stabilizzato
su di essa, al fine di non “condizionare” l’approccio al paziente sul tavolo
operatorio, e ciò anche in termini di risultato finale”
Qual
è l’atteggiamento dei pazienti che sanno di essere operati da un chirurgo
“imbragato” sull’esoscheletro?
“Le reazioni sono
state finora varie, e ciò dipende dall’aver conosciuto il paziente prima dell’intervento,
o dopo, dal passa parola tra pazienti in relazione alle mie condizioni e
particolari necessità operative; in altri casi tale mia condizione non ha
suscitato e solitamente non suscita particolare interesse, quindi è vista ed
accolta con uno spirito di normalità”
Come
si svolge abitualmente la sua giornata tipo?
“Generalmente inizia
molto presto, ossia prima di uscire di casa. Quando posso approfitto per fare
un po’ di allenamento prima di recarmi in ospedale, dove visito in ambulatorio
o in corsia, per proseguire in sala operatoria nei giorni prestabiliti. Il
pomeriggio ancora visite ambulatoriali ed eventuali interventi, anche in
urgenza. Verso sera il rientro in famiglia, dove mi attendono la moglie (che è
anche infermiera) e due gemellini, con tutto il da fare che comporta una
famiglia unita ed impegnata su tutti i fronti”
E
come concilia lavoro, sport e famiglia?
“Decisamente
importante e impegnativo è il ruolo di mia moglie che mi supporta per le
particolari esigenze, di conseguenza riesco ad affrontare gli impegni di lavoro
e quelli dello sport, e naturalmente la dedizione alla famiglia senza risentire
una particolare fatica... Le giornate sono decisamente lunghe e impegnative per
tutti il cui svolgimento è quasi con sincronia, rispettando le priorità sia in
ambito lavorativo che famigliare, anche se a volte la preparazione atletica
“predomina” grazie ai risultati che riesco ad ottenere”
Quali
obiettivi per il futuro in ambito sportivo?
“Sono certamente
ambiziosi e sono rappresentati dalle prossime Paralimpiadi che si terranno a
Tokio nel 2020, alle quali intendo partecipare da protagonista, magari
accompagnato dalla mia famiglia. Quindi, ancora due anni di intenso allenamento
per poter raggiungere un traguardo lontano ma al tempo stesso anche vicino”
Nella foto in alto il dott.
Dolfin “imbragato” nell’esoscheletro prima di un intervento; in basso al termine
di una competizione alle Paralimpiadi europee di Dublino.
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