CARCERAZIONE PREVENTIVA SENZA GARANZIA


QUANDO L’INGIUSTIZIA DIVENTA SINONIMO DI LIBERO ARBITRIO

Vite vissute all’interno di un inferno dantesco per aver “peccato” di onestà. Pene spesso indescrivibili superate grazie al supporto della fede e dei propri famigliari, ma soprattutto
per non aver perso la propria dignità, che un magistrato non può mai togliere ad alcuno.

di Ernesto Bodini


Mi fa pensare, e non poco, il fatto che gli attuali governanti nel prendere in considerazione il sovraffollamento delle carceri, non sia alla loro attenzione il perdurante fenomeno dei detenuti innocenti che, dal 2015, risultano essere 24 mila. E non c’é Salvini o Di Maio che tenga (con al seguito i relativi referenti di competenza) per intravedere lo “sblocco” di una situazione che grida allo scandalo per lesione alla dignità umana di tanti loro connazionali; ben sapendo che nel 2008 l’Italia  è stata condannata dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo in merito ai tempi eccessivamente lunghi dell’iter processuale. Esempio eclatante é quello di un 36 enne siracusano che ha dovuto aspettare 16 mesi dalla sua incarcerazione per ottenere gli arresti domiciliari, riconoscendogli 4 mila euro di danni morali e 2.500 euro per le spese legali. In effetti il nostro Paese, che tanto si fregia, ad ogni ricorrenza, con la denominazione di Italia unita e quindi tra gli Stati più civili e democratici (avvalendosi di una Costituzione al passo coi tempi), ha violato il comma 4 dell’art. 5 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, secondo cui chiunque sia detenuto ha diritto a presentare un ricorso a un tribunale, affinché decida entro breve termine sulla legittimità della sua carcerazione. Ma neppure tale condanna sembra aver scalfito la responsabilità dei governanti di allora, ma anche degli attuali che non hanno alla loro primaria attenzione né il tema salute-sanità-assistenza, né il tema errori giudiziari e detenzioni inappropriate. Tale é l’ “indifferenza”, o comunque la poca attenzione, dei nostri emergenti governanti che tra un selfie e l’altro, e tra un bagno di folla e l’altro, contribuisce, sia pur indirettamente, a far languire in celle sempre più anguste (a seconda dei penitenziari) esseri umani che a causa della privata libertà senza aver commesso alcun reato, non solo hanno subito l’onta del disprezzo e della indignazione dei loro simili, ma hanno patito la pena più atroce, ovvero l’immane lesione alla loro dignità con l’inevitabile coinvolgimento dei loro famigliari.


Un quadro di tale aberrante situazione ce lo ha proposto in questi ultimi due anni il programma di RAI 3 “Sono innocente”, condotto dal giornalista Alberto Matano; due ore in prima serata per raccontare  gli errori giudiziari e la traversie delle persone che sono state coinvolte: dall’arresto alla detenzione; e questo proprio grazie a quel sistema giudiziario che presenta sempre più lacune in fatto di obiettività e rispetto dell’essere umano. Il giornalista, che ha conosciuto ed ospitato in trasmissione diversi protagonisti di queste odissee, a dir poco di matrice kafkiana, ha voluto porre maggior accento raggruppando la storia di alcuni di loro nel volume “Innocenti – Vite segnate dall’ingiustizia” (Ed. Eri /Rai, pagg. 287, € 18,00). Esperienze inquietanti che rasentano talvolta il paradosso e tal’altra la massima espressione dell’inquisizione, proprio per le modalità con cui gli inquirenti si sono posti di fronte al “presunto” inquisito, in taluni casi all’interrogatorio di garanzia ha preso il posto un vero e proprio atto inquisitorio, incutendo timore e senso di responsabilità all’interrogato. In alcuni casi i protagonisti di queste vicende hanno trovato solidarietà di altri detenuti durante la carcerazione preventiva, in altri si sono manifestati episodi di intolleranza, di astio e avversione rendendo loro ulteriormente penosa la convivenza in cella. Ma ledere la dignità umana non è solo questo, oltre all’ingiusta privazione della libertà personale anche quel denigrante iter che consiste, all’ingresso all’atto della immatricolazione (etichettato con la definizione “nuovo arrivato”) nella ispezione corporale (sia per gli uomini che per le donne) che, seppur rientrante nella procedura d’obbligo, rimane pur sempre un atto altamente lesivo alla dignità umana.


Dei casi citati dall’autore, non meno impressione può riscuotere nel lettore il caso del giovane Aldo Scardella di Cagliari, accusato ingiustamente per omicidio a scopo di rapina, il quale nonostante il lungo iter di detenzione preventiva, non è riuscito a dimostrare la sua innocenza: il 2 luglio 1986 si è tolto la vita con un cappio al collo. Un gesto forte dettato dalla grande disperazione, e nella convinzione della propria innocenza tanto da lasciare ai posteri un biglietto sul tavolino della cella con su scritto: «Vi chiedo perdono. Se mi trovo in questa situazione lo devo solo a me stesso. Ho deciso di farla finita. Perdonatemi per i guai che ho causato. Muoio innocente. Ai miei familiari. Aldo». Tra i suoi effetti personali vengono trovati, come ricorda Matano, alcuni libri dalla bibliografia non forse in linea con il profilo borderline di Scardella (come è stato etichettato sin dall’inizio), ma sicuramente di grande impegno letterario e messaggistico-esistenziale come quello molto vicino a  Sant’Agostino: «Inquietum est cor nostrum, donec requiscant in Te Domine» (“Inquieto è il nostro cuore, Signore finché non trova riposo in Te…”). Una sorta di profezia e di esortazione favorite da una troppo azzardata “inquisizione” il cui termine, a mio avviso, se non ridimensionato nella pratica rispecchia non quella vescovile o legantina o pontificia, ma quella più attuale e “moderna” che si rifà al nuovo codice di procedura penale del 1989; “una riforma tradita”, come è stata battezzata da un noto ed arguto penalista (oggi scomparso) del quale conservo i suoi lavori letterari giurisprudenziali... a memoria ed insegnamento perpetuo. Secondo gli ultimi dati del 2017 si è registrato un incremento di casi di ingiusta detenzione: ben 1.013 contro i 989 del 2016, spalmati su 36 milioni di euro di risarcimenti che lo Stato ha dovuto erogare. Il maggior numero di casi lo si registra a Catanzaro con 158 segnalazioni; seguono Roma con 137 e Napoli con 113. Dei 36 milioni di euro sborsati dallo Stato per le persone detenute ingiustamente, ben 2.870.000 euro sono finiti sul conto corrente dei napoletani, reduci di storie di malagiustizia. Ma non è certo il denaro, od altra forma materiale, che può sanare la dignità lesa a queste persone, e tanto meno ridare la vita a chi se l’è tolta prematuramente a causa della subita... inquisizione senza appello!

L’ultima immagine è tratta dal sito: www.iusintinere.it

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