VERSO
L’OBLIO DEL SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE
Un percorso
verso la insostenibilità. Galeotti la Riforma del Titolo V e il
conseguente Federalismo in contraddizione con gli
artt. 3 e 32 della Costituzione
di Ernesto Bodini
Il nostro Servizio
Sanitario Nazionale (SSN), come è noto, è uno dei principali cardini della
solidarietà sociale, che poggia le basi essenzialmente sugli artt. 3 e 32 della
Costituzione, ed é in particolare dal 1978 con la Legge n. 833 che si sono
eliminate le mutue... che negli anni sono diventate Aziende (ASL), i cui
fruitori sono diventati pazienti-clienti. Ma purtroppo non tutto è andato a
buon fine perché le cure negate, le prestazioni che non sono le stesse sul
territorio nazionale, i diritti non rispettati degli assistiti e del personale,
sono realtà quotidiane e tutto ciò a causa, in gran parte, del contestato
federalismo (sanitario e fiscale). La legge statale stabilisce ogni anno il fabbisogno
sanitario, ossia devono essere rese disponibili tutte quelle risorse necessarie
del SSN al cui finanziamento concorre lo Stato. Le Regioni concorrono poi per
la loro parte in base a diversi criteri per garantire ai cittadini l’erogazione
delle prestazioni previste dai Livelli Essenziali di Assistenza (Lea). Ma cos’é il federalismo e cos’é che l’ha generato? Rievocando alcuni spunti storici si
può riassumere che in linea di massima per federalismo si intende quell’assetto
istituzionale per cui, a partire dalla fine del XVIII secolo, un ordinamento
giuridico si caratterizza per un riparto della potestà di potere tra un apparato di governo centrale
ed una pluralità di apparati di governo periferici. Sul piano
costituzionalistico una parte della dottrina ha affrontato il federalismo da un
punto di vista dogmatico (indiscutibile), contrapponendo lo Stato federale allo
Stato unitario, allo Stato regionale,
alla confederazione di Stati e alle unioni sovranazionali e sottolineando che,
mentre nello Stato federale le autorità centrali e quelle periferiche sarebbero
equiordinate, negli Stati regionali lo Stato sarebbe gerarchicamente
sovraordinato rispetto alle sue articolazioni periferiche. Le spinte
regionaliste ed autonomiste in alcuni Paesi ci riportano alla memoria la
riforma del federalismo in Germania nel 2006 o alla decentralizzazione francese
del 2002, od anche alla devolution (dovoluzione) della Gran Bretagna nel
biennio 1997-1999; per non parlare poi della Riforma del Titolo V della parte
II della nostra Costituzione (legge costituzionale n. 3/2001). Ed è con questa
Riforma che in italia si è voluto riconoscere la piena autonomia alle singole
Regioni, anche se tale legge non modifica lo Stato italiano in uno Stato
federale, ma comporta una ridistribuzione di competenze tra Stato, Regioni,
Città metropolitane, Province e Comuni. Ma va anche detto, ad onor del vero,
che la Riforma dello Stato in senso più espressamente federalista era prevista
dalla legge di Riforma della Costituzione approvata nel novembre 2005, ma
bocciata dal referendum confermativo tenutosi nel 2006.
Il progressivo
trasferimento di competenze dello Stato alle Regioni è un percorso iniziato con
il Dlgs 502/1992 con il quale sono stati fissati i primi capisaldi del processo
di federalismo in campo sanitario, in quanto le Regioni vennero investite di
nuovi poteri in materia di programmazione, finanziamento, organizzazione,
funzionamento e controllo delle attività, fino a quel momento direttamente in mano
allo Stato centrale, e anche di responsabilizzazione per i risultati finali
della gestione. In questo senso un passaggio importante è stata la Riforma del
meccanismo di finanziamento del sistema sanitario avvenuto con il Dlgs 56/2000,
che ha previsto progressivamente l’abolizione del vincolo di destinazione d’uso
delle risorse fiscali, vincolando però le Regioni al mantenimento di risorse
adeguate ai Lea da garantire a livello nazionale. E sempre a livello nazionale
vengono periodicamente individuati i Lea, ovvero le prestazioni che devono
essere riconosciute ai cittadini su tutto il territorio nazionale. Successivamente,
ogni Regione ha la facoltà di ampliare “l’offerta” inserendo ulteriori
prestazioni tra quelle garantite gratuitamente ai propri cittadini. Inoltre,
dal punto di vista organizzativo e della programmazione, le Regioni hanno piena
autonomia, ovvero hanno la facoltà di modificare la struttura dell’offerta
agendo, ad esempio, sulla chiusura/conversione degli ospedali, implementando o
meno le funzioni distrettuali, investendo sulla prevenzione, etc. Dal punto di
vista “fiscale”, possono reperire nuove risorse agendo sulle aliquote IRPEF
(addizionale regionale), sul bollo auto (il corrispettivo di oggi è la tassa di
proprietà), compartecipazione alle accise sul carburante, sulle aliquote IRAP
(imposta regionale sulle attività produttive), sui ticket sanitari e su altre
imposte e/o tasse minori.
Poiché il Sistema
Sanitario viene stabilito a livello nazionale, individuando periodicamente le risorse
da destinare alla sanità pubblica, contestualmente alla definizione di tali
somme, queste vengono ripartite alle singole Regioni in funzione di parametri
demografici e di mortalità, necessari al fine di tener conto delle
caratteristiche “sanitarie” delle varie Regioni. Queste possono successivamente
integrare autonomamente tali risorse attribuite dal livello centrale (Governo),
agendo sul livello dei ticket su prestazioni di specialistica, piuttosto che
sugli accessi al P.S. o sui farmaci, e/o sulle varie imposte e tasse regionali.
Ed è in ragione della Riforma del Titolo V e del conseguente federalismo di
fatto che, a seconda dell’area politica del momento di questa o quella Regione,
che le rispettive autonomie determinano il “destino” dei propri assistiti: le
Regioni più virtuose riconoscono più prestazioni sanitarie rispetto ad altre
politicamente “più deboli” ed economicamente più povere. Ecco che qui si insinua
la diseguaglianza fra cittadini, in netto contrasto con l’art. 3 della
Costituzione. È evidente che chi ha voluto la Riforma del Titolo V (politica
bipartisan, se ben ricordo) non ha considerato l’art. suddetto, e negli anni a
seguire, a più voci si è lamentato che il riparto delle competenze (Stato e Regioni)
ha alimentato una maggiore conflittualità per una serie di ragioni. Ecco che da
un po’ di tempo si va ripetendo che il nostro SSN non è più sostenibile, a
riprova anche del fatto che molti cittadini-pazienti in parte ricorrono alla
sanità privata e in parte rinunciano (loro malgrado) a fruire delle prestazioni
sanitarie... sia pur talvolta urgenti e di una certa importanza. Dove sta
quindi la coerenza e la serietà dei governanti? Ovvero dei politici che tanto
credono di essere competenti e innovativi per il bene comune, peccando di saccenza,
presunzione e di... strapotere?
Se si facesse una
attenta analisi dalla nascita del SSN del 23 dicembre 1978 con la legge n. 833, della Prima Riforma del SSN con la
legge n. 502 del 1992 e dell Riforma-Ter con la legge 229/1999 o Riforma Bindi,
sino alla Riforma del Titolo V del 2001, si potrebbe dedurre un quadro in
evoluzione che alla resa dei conti ha generato sempre più confusione tra gli
operatori sanitari e soprattutto disattese nei confronti dei cittadini-pazienti
(clienti), oggi sempre più esigenti non solo per la disponibilità di
strumentazioni diagnostiche avveniristiche e di farmaci più “risolutivi”, ma
anche per la differente appartenenza regionale... Inoltre, sempre più attuale è
il problema delle fatidiche liste di attesa, un’altra delle conseguenze che si
sta pagando a caro prezzo, sia perché in
parte “condizionano” il ruolo dei medici prescrittori (medici di famiglia in
primis) sia perché diventano per molti il ricorso alle prestazioni private e
per altri l’abbandono delle prestazioni stesse per indisponibilità economica.
Ma nemmeno va sottaciuto il capitolo delle malattie rare (MR) che sono circa
6.000/8.000, per la grandissima parte non riconosciute e quindi non inserite
nei Lea, a fronte di tutte le 55 mila malattie classificate nel mondo come si
evince dall’ultimo aggiornamento dall’undicesima edizione della International
Classification of Diseases (ICD11) pubblicata dall’Oms. I primi tentativi di
stilare una classificazione ragionata risalgono al 1893.
QUALI
POSSIBILI RIMEDI E QUALE FUTURO?
Pur non avendo voce in capitolo
in quanto privo di alcun potere politico-propositivo, mi limito ad osservazioni
e modesti suggerimenti. Ma prima è bene richiamare i concetti di dovere e
diritto (peraltro normati dalla legge). Per dovere
si intende l’obbligo, un comportamento imposto da una norma; ed esistono due
grandi distinzioni di dovere. Quello morale, o etico, e quello legale, o giuridico;
e può essere positivo quando il comportamento imposto dalla norma consiste in
un fare o dare, oppure negativo quando consiste in un non fare: nel primo caso
è detto anche comando, nel secondo caso divieto. Per diritto si intende la libertà che è attribuita al singolo, inteso
come persona, ma il termine esige il plurale in quanto include il diritto alla
vita, alla libertà individuale, all’autodeterminazione, ad un’esistenza
dignitosa, ad un giusto processo, alla libertà religiosa, oltre al diritto di
protezione dei propri dati personali. Si tratta di diritti definiti universali,
inviolabili, indisponibili e fondamentali. È evidente che al centro di questa
disamina oltre al rispetto della dignità dell’Essere si impone il diritto a mantenere la propria salute, e da
come vanno le cose, nel nostro Paese il rischio che venga compromessa è quasi
alle porte. In questo ultimo ventennio è stato dimostrato che in tutta Europa i
cittadini in condizioni di svantaggio sociale tendono ad ammalarsi di più, a
guarire di meno, a perdere autosufficienza, ad essere meno soddisfatti della
propria salute e a morire prima. Inoltre, non appena un Paese tende ad
arricchirsi, le prime malattie ad essere debellate sono quelle associate alla
povertà; mentre permangono le cosiddette “malattie dell’opulenza”. Problemi
diffusi nelle società dove persistono maggiori disparità socio-economiche come
Italia, Irlanda, Australia, Grecia, Nuova Zelanda, Gran Bretagna, Portogallo,
USA. «Uguaglianza – fa notare Felicia
Cuoco (studentessa al II anno del Corso di Laurea in Medicina e Chirurgia
all’università La Sapienza di Roma), rilevando una sua breve da internet il 30
maggio scorso – non significa essere
identici, ma ridurre le disparità dei tenori di vita dei membri della società.
Quanto maggiore è la disparità dei redditi, tanto più grandi sono le distanze
tra i membri della società e tanto più rilevanti sono la stratificazione
sociale e le distinzioni di classe, attorno alle quali cresce la disuguaglianza
sociale, in modo da uniformare la distribuzione della ricchezza e accrescere il
benessere sociale e psico-fisico delle popolazioni». Concetti
apparentemente scontati nella loro sintesi, ma che a mio avviso inducono a
rivedere anche nel nostro Paese, l’adozione di provvedimenti in materia di
occupazione e di ridistribuzione delle risorse. Per questa azione è necessaria
una politica intenzionale e pragmatica, seria e competente, individuando attori
di comprovata sensibilità e predisposizione per il comparto Salute e
Assistenza, rimuovendo nel contempo fragilità ed inefficienze all’interno del
sistema come, ad esempio, gli strapoteri gestionali allestiti per mera
compiacenza ed interessi di parte, oltre ad allontanare i dipendenti pubblici
incompetenti e... infedeli. Va da sé che trasparenza, appropriatezza ed etica
sono i princìpi cardine per la buona conduzione di un sistema, come quello
Sanitario e, a mio dire, solo l’individuazione di soggetti con determinate
caratteristiche può sortire qualche effetto; in caso contrario, la Sanità
italiana sarà destinata ad un quasi definitivo oblio: come dire che
sopravviverà chi se lo potrà permettere. Si tratta quindi di uscire da questa
palude in cui si sta sprofondando... Ma
dalla bocca degli attuali governanti il tema sanità-salute al momento pare non
essere prioritario..., e nel frattempo il rischio della insostenibilità del SSN
si fa sempre più imminente, e se questo traguardo (dell’assurdo) sarà raggiunto
posso dedurre che la pena che i buoni devono scontare per l’indifferenza della
cosa pubblica, è quella di essere governati da uomini alquanto discutibili...
anche di nuova generazione!
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