SAPERE PER PREVENIRE IN PROPRIA DIFESA


SCARSA CULTURA PER IL NOSTRO SISTEMA GIUDIZIARIO

La collettività tende a commentare misfatti e soprusi, ma disattende l’importanza di avere un minimo di cultura politico-giuridica, necessaria per essere in grado di contestare le ingiustizie che sono altrettanto quotidiane e, purtroppo, la legge non è uguale per tutti... e non ammette ignoranza.

di Ernesto Bodini


Alla luce degli eventi di cronaca nera (e giudiziaria) che avvengono tutti i giorni, cui siamo soggetti passivamente a subire nonostante le “timide” azioni preventive da parte delle Forze dell’Ordine, le quali per la verità sono preposte più alla repressione che alla prevenzione di un reato, viene da chiederci quanto sia garantista per il cittadino il nostro Sistema Giudiziario in base ai relativi Codice Penale (C.P.) e Codice di Procedura Penale (C.P.P.). Sta di fatto che secondo gli “orientamenti” politici, non certo privi di ideologie (da non confondere con gli ideali), la gestione del comportamento umano teso a delinquere implica provvedimenti (più o meno severi) attraverso la Giurisprudenza fatta appunto da Codici Civili e Penali in cui sono indicate l’entità delle pene e le relative modalità. Ma sarebbe utile sapere con quale criterio e limiti vengono stabilite tali pene, sia detentive che pecuniarie, considerando che in più occasioni si riscontrano differenze che rasentano l’irrazionalità, ovvero in taluni casi vi è una certa “tolleranza”, in altri il massimo della pena sproporzionata al reato commesso. Si sa che le leggi le fanno gli uomini, e sono gli uomini ad applicarle, come sono gli uomini stessi a subirle... non di rado anche ingiustamente. Da tempo, ormai memorabile, si discute sulla responsabilità dei magistrati, e da altrettanto tempo  restano divise le fazioni: pro e contro. Questo dilemma, che non ha solo valenza politica, come si può facilmente intuire, disorienta ulteriormente non solo gli addetti ai lavori giudicanti e “responsabili” di un esito punitivo (assenza o mitezza dello stesso), ma anche il cittadino comune, inerme e sprovveduto che mai immaginerebbe di incorrere nelle maglie della Giustizia... soprattutto se innocente! Quindi, a mio avviso, c’é da preoccuparsi non poco, non solo perché in caso di un reato palese si può incorrere in una pena eccessivamente severa, ma anche in quello che si può definire “exitus maximum” che è la detenzione ingiusta per non aver commesso alcuna violazione di legge. Per non parlare poi dell’ergastolo ostativo.


A monte di tutto ciò sono preposte figure istituzionali altolocate di provata esperienza giuridico-costituzionale, dalle quali vorrei sapere se considerando la saggezza della storia, che spesso si chiama a sostegno, si fa riferimento (e in che modo) alla saggezza della famosissima ed intelligente opera “Dei Delitti e delle pene (pubblicata nel 1764) di Cesare Beccaria Bonesana (1738-1794), marchese di Gauldrasco e di Villareggio. È pur vero che il giurista, filosofo, economista e letterato italiano, considerato tra i massimi esponenti dell'Illuminismo italiano, con tale lavoro letterario-giursprudenziale ha mostrato riluttanza per la pena di morte (che nel nostro Paese è abolita dal 1945), ma è altrettanto vero ed importante il punto di vista illuministico nella sua espressione: «Non vi è libertà ogni qual volta le leggi permettono che in alcuni eventi l'uomo cessi di essere persona e diventi cosa». E su questo concetto vorrei porre ulteriore attenzione in quanto il continuo evolversi di fatti e misfatti che mettono a repentaglio (quotidianamente) la libertà e la vita dell’individuo, lo stesso è alla mercé di un sistema sempre meno garantista, nonostante la tanto e sempre più decantata Costituzione: una Carta perfetta, ma non in sintonia con gli eventi degli ultimi decenni. Mi riferisco in particolare agli artt. 13: “La libertà è personale é inviolabile”, e 24: “Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi. La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento. Sono assicurati ai non abbienti, con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione. La legge determina le condizioni e i modi per la riparazione degli errori giudiziari”. Ed è su questo ultimo articolo che vorrei soffermarmi con particolare approfondimento di opinione, rammentando che per avere diritto al gratuito patrocinio in sede penale, il cittadino ricorrente lo può richiedere se non supera un reddito annuo di 11.369,24 euro. Ciò significa che praticamente tutti lo superano (ad eccezione ovviamente dei perenni disoccupati, nullatenenti, falsi prestanome, e dei poveri in assoluto); pertanto, il cittadino in questione è costretto a ricorrere privatamente ad un legale, magari indebitandosi o addirittura rinunciando alla propria difesa. Un assurdo anche se si tratta di contestare legalmente un torto subìto da una P.A., poiché il cittadino deve necessariamente rivolgersi al Tribunale Amministrativo Regionale (T.A.R.), con le conseguenze economiche del caso per l’assunzione di un legale privato, oltre ai tempi non brevi per l’eventuale definizione del contendere.

Nel contempo mi rendo conto che questo mio esporre “tranchant” non ha una certa autorevolezza, in quanto non competente in senso stretto in materie giuridiche; ma di certo, quale cittadino fruitore della Costituzione ed assolvendo i doveri in essa contenuti, oltre che giornalista opinionista, ritengo di poter lamentare comunque (idealmente anche a nome della collettività) quanto su espresso, rendendomi disponibile a confronti con chicchessia (purché dotati di razionale buon senso ed obiettività), al fine di poter intravedere un barlume di miglioria. Ma mi rendo altrettanto conto che non essendo persona “autorevole” e non disponibile ad alcun compromesso sia materiale che ideale, tale orizzonte non sarà facilmente raggiungibile e lo scotto da pagare, unitamente ai miei concittadini, sarà quello di subire le “vessazioni” di un sistema che è a dir poco coercitivo... ben lungi dagli onesti e saggi propositi dei Padri della Costituente. Se la Giustizia facesse il suo corso, come dovrebbe fare sempre a tutela dei più deboli e indifesi, in particolare, non ci sarebbe bisogno di istituire associazioni preposte in tal senso cui far riferimento sia pur per problemi più marginali... Da tempo nella mia libreria è ben in evidenza e all’occorrenza fruibile, una piccola (ma corposa) pubblicazione intitolata “Un bel tacer non fu mai scrittoManuale di autodifesa politico-legale”, a cura del Comitato promotore della “Campagna contro l’art. 270 del C.P. e contro tutti i reati associativi”. Anche se datata 2005, ritengo che dalla stessa si possono ricavare (citando la sintesi dal sommario) alcuni spunti utili quali che sono gli organi inquirenti e le norme di procedura penale, analisi dei reati che più comunemente vengono contestati a chi svolge attività politica, quando sull’orizzonte si chiudono le sbarre. Naturalmente ciò non basta, specie se chi consulta e si avvale di questo manuale non ha un minimo di dimestichezza con il lessico giuridico e legale; tuttavia, va da sé che sapere e non sapere fa sempre la diffrenza! Quindi il senso della reale giustizia dove sta? E chi determina tale intendimento a conforto e beneficio del cittadino inerme e sprovveduto che suo malgrado può incorrere nelle spesse maglie di un sistema giudiziario sempre più discutibile? È pur vero che le ingiustizie inseguono l’essere umano sin dalla sua comparsa terrena, ma va anche ricordato che le origini comportamentali sono dettate dal fatto che dietro ogni premeditata realtà negativa c’é sempre qualcosa di tragico: l’insicurezza propria che tende a destabilizzare quella altrui.

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