L’ISTITUZIONE DEL DIFENSORE CIVICO REGIONALE
Il
Piemonte fu tra le più virtuose a tutela del cittadino: la prima proposta risale
al 1974 seguita dalla legge istitutiva n. 50 del 9 dicembre 1981. A distanza di
cinque lustri ricordo di un simpatico colloquio ed utili suggerimenti per
affrontare il burocrate di turno...
di Ernesto Bodini
L’idea
di fornire ai cittadini uno strumento diretto per difendersi dagli errori (e
talvolta soprusi) delle pubbliche amministrazioni, è una realtà ormai in quasi
tutte le Regioni italiane. In Piemonte, ad esempio, la prima proposta di
istituire il Difensore Civico risale al 1974 da parte di alcuni liberali, la
quale, dopo più sollecitazioni venne accolta il 9 dicembre 1981, e l’allora
presidente della Giunta Regionale deliberò (con la legge n. 50) l’istituzione
del Difensore Civico. Nel luglio 1982 assunse l’incarico a Torino il
funzionario dell’Amministrazione civile dell’Interno (in pensione) Vittorio De
Martino e nel 1993, 69enne, lasciò il posto non per limiti di età ma perché la
legge imponeva la non rieleggibilità. Ricordo, quando lo conobbi nel 1993 poco
prima che lasciasse l’incarico, puntualmente anche per il 1992 l’ombudsman (il termine è di origine
svedese) regionale fece, con estrema scrupolosità e pazienza certosina, il
bilancio del suo lavoro (cosa che avviene ancora oggi da parte dei suoi
successori): ne emerse un ritratto di vero e proprio “rompiscatole” in difesa
dei più deboli. Dei 1.125 casi (ad esempio), ossia tutti quelli che richiesero
la consulenza, soltanto 156 rientravano nelle ristrette competenze assegnate
alla legge regionale, di cui 59 riguardavano il cattivo funzionamento della
macchina dell’Ente. «La maggior parte dei
disguidi e dei rapporti conflittuali fra cittadini e il settore pubblico –
mi spiegò De Martino – riguardano lo
Stato, gli Enti parastatali, le Ferrovie, la Sanità, Comuni e Province, la
Giustizia, che vanno al di là della mia giurisdizione. Ciò nonostante sono più
volte intervenuto “eludendo” le mie competenze, fornendo consulenza anche in
rapporti privatistici, commerciali, pensionistici, assicurativi e familiari».
Ma sotto il profilo pratico, ossia parlare con i funzionari o gli assessori,
anche per il difensore diventa una autentica impresa. «Sovente – mi precisò l’avvocato – al telefono risponde sempre una segretaria e raramente riesco a
contattare il funzionario preposto, al primo tentativo. A volte gli
appuntamenti con questi, richiesti alle rispettive segretarie, vengono fissati
a distanza di settimane per gli impegni precedentemente assunti e, non di rado
quando sono in attesa di essere ricevuto, l’audizione slitta perché nel
frattempo è arrivato un assessore o un amministratore di altro Ente locale».
Il difensore civico con le sue critiche non risparmiava neppure i politici che
ha molto ben conosciuto in virtù del suo passato di dipendente regionale, con
esperienza in più assessorati in diverse legislature. Senza citare epoca e
persone, mi raccontò un episodio alquanto significativo. «Al tempo in cui ero funzionario regionale avevo difficoltà ad essere
ricevuto dall’amministratore in carica, il quale facendo parte di organi di
partito, era costretto a ricevere soggetti di quell’apparato. Una richiesta di
conferire slittò anche perché l’amministratore fece entrare nel suo ufficio un
necroforo (individuato dalla divisa) che, quale portatore di voti in sezione,
rivestiva per l’amministratore più importanza rispetto al funzionario che
doveva riferire su “meschine” problematiche burocratiche». Ma come fece De
Martino a farsi ricevere dall’assessore? Scese in strada e gli telefonò da un
esercizio pubblico, facendogli notare che chiedendo di conferire dall’esterno,
avrebbe avuto più probabilità di essere ricevuto con la necessaria tempestività
richiesta dalle procedure.
Da
questo breve incontro ne ho tratto non solo un ricordo umano, oltre che
simpatico per l’originalità del “personaggio” dall’espressione schietta e
senza... contorni (in questo caso, vero e proprio esempio di “antiburocrate”),
ma soprattutto utili suggerimenti su come ci si deve (o dovrebbe) comportare
quando si è a colloquio con un rappresentante della P.A., ovvero con il
burocrate. Infatti, può capitare a chiunque di dover frugare tra paragrafi e
postille di leggi dimenticate, disapplicate, incomprensibili, di
interpretazione soggettiva o di impossibile soluzione (aporìa legislativa e/o
procedurale), o scrivere senza posa dettagliate e perentorie lettere (esposti,
denunce, querele, diffide, etc.). Ma anche far anticamera, bussare alle porte
più dure a schiudersi per essere ricevuti da questo o quel burocrate... di
turno, per “denunciare” il mancato rispetto dei propri e altrui diritti; il
più delle volte, però, senza ottenere un apprezzabile risultato perché non si
sa come porsi e quali procedure adottare. Per evitare di essere confinati in un
limbo senza speranza, sovente percorso da delusioni, è opportuno non fermarsi
davanti al muro di gommapiuma della burocrazia, senza aggirarlo per le italiche
vie traverse, tanto meno scendere a compromessi neppure quando ci fanno capire,
strizzando l’occhio che, suvvia, una mano lava l’altra e che tutto si può
“arrangiare” (il compromesso è un ottimo ombrello, ma un pessimo tetto!). È
noto che in fatto di diritti civili l’Italia non è tra i Paesi più brillanti, e
ciò è imputabile ai mali antichi della P.A. (oggi più che mai!), oltre ad una
serie di leggi che in parte andrebbero alienate e in parte rivedute, e a mio
avviso anche alcuni artt. del C.C. e del C.P.), della giustizia, mal costumi
generalizzati (clientelismi, nepotismi, raccomandazioni, rapporti di potere a
diversi livelli, corsie preferenziali, etc.); come pure la scarsa sensibilità
sull’argomento della cultura giuridica e non, ed infine, le innumerevoli
evoluzioni in materia giurisprudenziale. La garanzia del riconoscimento dei
propri diritti dipende (a mio parere) soprattutto dal comportamento e dal grado
di civiltà (e onestà) di ciascuno; come pure dalla capacità individuale di
agire in difesa di quelli che ripetutamente definiamo “diritti”, nei confronti
dei quali ognuno di noi agisce come può, come sa o come quanto crede di
sapere... Ma spesso si perde di vista il fatto che per ottenere il rispetto di
un proprio diritto, bisogna battersi con costanza e coerenza attraverso la
conoscenza del problema che si vuol risolvere, con un continuo aggiornamento
(le fonti non mancano) e “allenamento” sulla interpretazione delle leggi e
delle disposizioni per far fronte al nostro interlocutore, sia esso burocrate o
rappresentante di ente privato.
Un manuale pratico di “autodifesa” civile potrebbe
essere considerato una sorta di preparazione e messa a disposizione di chiunque
(basta acquistarlo), ossia uno strumento di conoscenza delle possibilità di
godere dei diritti specie quando si è in una condizione di svantaggio sociale:
tutti possono aver bisogno dei servizi erogabili dalla P.A. e di dover superare
ostacoli burocratici (indifferenza, ignoranza, prepotenza, clientelismo,
nepotismo, etc.) ma la categoria, come avviene in ogni settore, è composta
anche da pessimi funzionari, che non muovono un dito anche se c’é la
immancabile circolare interpretativa, o addirittura rifiutano di ricevere il
cittadino. Ed è forse per queste ragioni che c’é chi sostiene che «il miglior burocrate è colui che, partendo
da una soluzione, riesce a trovare il maggior numero di problemi...».
Tuttavia, dovrebbe essere un diritto del cittadino essere ricevuto, e un dovere
di questo o quel burocrate riceverlo (ad eccezione delle figure apicali:
ministro, prefetto, sindaco, assessore, etc. che demandano o dovrebbero
demandare ai loro sottoposti dirigenti o funzionari) nel rispetto reciproco del
proprio tempo (in alcune situazioni anche in tempi brevi). Ma non è insolito
per il cittadino comune dover bussare alle porte della P.A. più dure a
schiudersi per essere ricevuto e ascoltato dal burocrate di turno (sovente previo
appuntamento), talvolta assente tal’altra sostituito da un collega non preposto
a quel servizio, o in comoda posizione di “riposo” per sentirsi dire una serie
di lapidarie affermazioni o giustificazioni, spesso banali. Ma per non ricorrere
ad un vero e proprio manuale, può essere sufficiente osservare questo semplice
vademecum comportamentale in previsione di un colloquio con un burocrate, sia esso semplice impiegato, dirigente e/o
funzionario responsabile.
Presentarsi sempre in modo chiaro (nome e cognome e
ruolo...). Non è necessario esibire un documento d’identità, che potrebbe essere
però richiesto nel caso si debba parlare per conto di terza persona con sua
delega e fotocopia di documento di identità dell’interessato.
Quando l’esigenza lo richiede fissare l’appuntamento
con l’interlocutore che si vuole avvicinare (alcuni burocrati gradiscono, e
talvolta pretendono di essere preavvisati...); talvolta può essere utile (ed è
lecito) farsi rappresentare da persona o Ente privato (associazione) di propria
fiducia.
Esporre in modo completo ma sintetico il problema in
questione (la dispersione dei concetti spesso spazientisce l’interlocutore...
che non ha tempo da perdere), specie se in presenza di terze persone.
Dimostrare di essere a conoscenza (specie se
circostanziata) dei fatti che si intende esporre.
Essere coerenti e non dispersivi (incertezze e
imprecisioni favoriscono la conclusione affrettata del colloquio).
Essere a conoscenza delle destinazioni degli Enti e
possibilmente delle competenze dei rispettivi responsabili (farsi ripetere più
volte ruoli e destinazioni può “indisporre” l’interlocutore).
Essere educati e rispettosi, ma non servili (un
comportamento civile e riguardoso invoca stima e considerazione... anche se di
rado).
Essere tolleranti (spazientirsi è controproducente:
non bisogna dimenticare che siamo sempre noi “cittadini-utenti” ad aver bisogno
del burocrate...).
Essere dotati di un minimo di diplomazia (quando è il
caso è utile riconoscere i meriti e “gratificare” quel tanto che basta senza
incensare nessuno).
Ringraziare (senza ossequiare) sempre chi si presta
per noi, soprattutto se questi non è tenuto a soddisfare le nostre richieste.
Mai fare nomi di persone od Enti se non è strettamente
necessario (anche se giustificatamemte richiesto) in quanto riferimenti o
citazioni inopportune, specie se di fatti o persone assenti, possono indurre
l’interlocutore a giudizi e
considerazioni negative nei nostri confronti.
Annotare con “discrezione”, durante o dopo i colloqui,
i dati che interessano, compreso il nome del nostro interlocutore (ciò può
essere utile per il futuro).
Rilasciando documenti originali (soprattutto se
firmati) all’Ente o al burocrate, “pretendere” sempre una fotocopia o copia
conforme all’originale. Quando è il caso, con data e firma per ricevuta.
Ma
purtroppo molte
persone, ancora oggi, non osservano questi preziosi consigli e, piuttosto che
assumere un atteggiamento di difesa dei propri diritti (pur avendo espletato i
propri doveri), il più delle volte vi rinunciano passivamente e, per questo,
vale ancora quanto sosteneva Alessandro Manzoni (1785-1873): «Noi uomini siamo fatti così: ci rivoltiamo
sdegnati contro i mali mezzani, e ci curviamo in silenzio sotto gli estremi».
Inoltre, in molte occasioni delle nostre relazioni sociali, interpersonali o
istituzionali, spesso si sente dire: «Quando
nessuno sa che cosa bisogna fare tutti dicono che bisogna fare qualcosa»,
ma poi nessuno fa nulla! Constatazioni che rispecchiano la realtà quotidiana, e
questo vale nei Paesi liberi (come il nostro, per certi versi fin troppo...),
dove la libertà è il diritto di fare, non ciò che si vuole, ma ciò che le leggi
permettono...; e poiché anche la conoscenza è potere, nessuno conosce le
proprie possibilità finché non le mette alla prova. Non di rado ci capita di
subire torti, ingiustizie, soprusi, violazioni e quant’altro sia nei rapporti
con il privato che con il pubblico; ed è saggio rigettare ogni pensiero di
“vendetta” e tendere al perdono... Non si perdona qualcuno perché lo si
accetta: si perdona chi ha commesso un torto inaccettabile... Quando si perdona
qualcuno non è necessario tollerare ciò che ha fatto perché lo si può perdonare
anche rifiutando di tollerare le sue azioni. Ma non per questo dobbiamo rinunciare
a quanto ci è dovuto: per diritto di legge e per rispetto della propria
dignità. Ma oggi, almeno in Piemonte, le procedure sono cambiate: per tentare
di aver un colloquio con un assessore, o figura analoga, è necessario fare
domanda scritta (per e-mail o per fax) evidenziando le ragioni di tali
richiesta; poi, con comodo, l’interlocutore convocherà ... se vorrà convocare. E
questo vale anche per la corrispondenza epistolare: pare non vi sia alcun
obbligo di dare riscontro al cittadino che, nel frattempo, attende senza sapere
di che morte deve morire...! E per quello che mi riguarda, dicasi altrettanto
da parte dei Ministeri. Quindi, è il caso di dire: un passo avanti e due indietro! È evidente che la trasparenza non è nemmeno un optional
del sistema pubblico, ma addirittura un fatto di mera discrezionalità di questo
o quel burocrate: provare per credere! Da quel semplice colloquio ho acquisito
un po’ di saggezza per perseguire il giusto e nel giusto, e col passare degli
anni, ad avvalermi di
quanto sosteneva Bertolt Brecht (1898-1956), ossia: "Quando l'ingiustizia diventa legge, la resistenza diventa dovere”.
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