A COLLOQUIO CON LO STAFF DELL’ISTITUTO WATSON
Psicologia e
psicoterapia una vera e propria “simbiosi” terapeutica a sostegno di pazienti (adolescenti
e adulti) con problemi esistenziali: professionali, relazionali
ed affettivi di varia natura. Oltre a mirati
interventi per la formazione aziendale
di Ernesto Bodini
La
nostra esistenza, si sa, è sempre più frenetica e convulsa per la moltitudine
di problemi che ci affliggono, ormai quotidianamente, “sollecitati” da impegni
di lavoro, relazioni sociali dalle infinite sfumature, e interpretative e
comportamentali; ma anche da pubblicità stillicidio, doveri e diritti in
continuo contrasto con noi stessi e con il prossimo. A causa di tutto ciò è
quasi inevitabile per molte persone ricorrere a quella figura (quasi
carismatica) che è lo psicologo. Per saperne di più ho fatto visita
all’Istituto Watson di Torino, un Centro specializzato in Psicoterapia Cognitivo
Comportamentale fondato e diretto dal dottor Enrico Rolla, professionista di lungo corso e dalla notevole
esperienza (ormai di otto lustri) che, con il suo staff, interviene su pazienti
adolescenti e adulti affetti dalle più varie problematiche socio-esistenziali,
professionali ed affettive. Cristina Monti ha fatto il suo ingresso come tirocinante specializzanda
post-laurea, percorso per accedere all’esame di Stato e successivamente
all’iscrizione all’Albo professionale. «Le
mie motivazioni – spiega – sono state
la curiosità e la speranza di poter conoscere “da vicino” questa professione,
in quanto all’università la formazione è molto teorica...; una formazione che
di fatto diventa poi pratica appagando il mio orientamento iniziale, ossia
dallo studio della materia all’attività vera e propria a contatto e beneficio
dei pazienti». Un inizio certamente di buon auspicio che va consolidandosi
con incarichi di affiancamento e di osservazione delle “strategie” per
intervenire sulle reazioni dei pazienti, e quindi di appagamento, come lascia
ad intendere, soprattutto dal punto di vista umano. «Tra i primi pazienti – continua – ho avuto modo di trattare in team e in forma intensiva il caso di una
giovane donna affetta da una particolare forma di fobia...». E quali le
prime reazioni a questa sua prima esperienza? «Molta soddisfazione per aver avuto tale opportunità, gestendo un primo
caso che per certi versi si presentava “delicato”, affrontato con ansia ma allo
stesso tempo cercando di non farla trasparire al paziente, instaurando con lui
un apporto empatico tanto da favorire la soluzione del suo problema... sia pur con
più sedute». Il prossimo anno, che concluderà il suo corso di
Specializzazione in Psicoterapia Cognitivo Comportamentale sempre all’interno
dell’Istituto, cosa si propone per il futuro? «Al termine della specializzazione – conclude – seguiranno
approfondimenti ed ulteriori
conoscenze come la lettura dei
protocolli per i trattamenti, le supervisioni dei casi, e magari ulteriori
opportunità formative, peraltro previste dal nostro Ordine professionale». Rosanna Tremamondo è psicologa e
psicoterapeuta strutturata da circa un decennio, ed ha iniziato la sua attività
come psicologa facendo valutazioni per progredire sino ad acquisire la pratica
di psicoterapia. Ha trattato anche casi “importanti” riguardanti i disturbi di
personalità soprattutto “borderline” (DPB) aspetto, questo, caratterizzato da
instabilità delle relazioni interpersonali, dell’immagine di sé e dell’umore,
come pure da una marcata impulsività e difficoltà ad organizzare in modo
coerente i propri pensieri. «Dal punto
di vista terapeutico – spiega – c’é un coinvolgimento che il paziente riversa in quelle che sono le difficoltà emotive
ed affettive incontrate nel suo percorso di vita. Ed è difficile lavorare con
questi pazienti perché si crea una serie di dinamiche che bisogna in qualche
modo equilibrare...». Per questi pazienti quante sedute sono necessarie? «Proprio perché l’esperienza dimostra che la
terapia cognitivo comportamentale è utile nel trattamento di questi disturbi
– precisa – il programma terapeutico
richiede un percorso più protratto nel tempo, e pur lavorando per obiettivi,
sia a breve che a medio-lungo termine, ciò impegna non poco tanto che la sola
prima seduta richiede un’impostazione mirata del trattamento. Si tratta di
pazienti la cui età media è di circa 30-40 anni, ed in prevalenza donne; il
ceto socio-culturale e professionale è generalmente medio-alto, e quando
giungono a noi generalmente sono già abbastanza consapevoli del loro problema».
Di altrettanta decennale
esperienza è la psicologa e psicoterapeuta Sonja
Sabbatino, che ha scelto di lavorare in questo Istituto per acquisire una
formazione rispondente ai suoi “ideali” ed esigenze professionali, attraverso
la pratica della terapia cognitivo comportamentale. «I casi più “significativi” dal punto di vista umano – spiega – lo sono un po’ tutti; dal punto di vista
prettamente emotivo riguardano tutti quei soggetti che necessitano continue
sedute di psicoterapia, per la maggior parte protratte per molto tempo. Tra i
disturbi ricorrenti vi sono anche la depressione (maggiore e minore), anche se
nel nostro studio non si presentano molti casi, in quanto tendenzialmente sono
orientati ad ottenere un trattamento di maggior pertinenza clinico-psichiatrica.
Altri tipi di pazienti che giungono alla nostra osservazione sono affetti da
bulimia (più raramente da anoressia), ma anche da disturbi della sfera
sessuale, in genere di coppia». Quanto è difficile, e in quali contesti,
esercitare questa professione? «Il nostro
lavoro – spiega – tende ad
“autonomizzare” il paziente soprattutto se ha problemi di autostima e scarsa
fiducia in se stesso, e ciò incide non poco sul nostro intervento tanto che
rappresenta uno dei primi obiettivi del nostro modus operandi». Francesca Sardella, giovanissima, è una
new entry. Tirocinante da poco più di un mese, ha scelto la professione di
psicologa avendo maturato l’idea anni prima, sui banchi dell’università, con
orientamento per la terapia cognitivo comportamentale, che potrà incominciare a
praticare dopo aver terminato il tirocinio (nei sei mesi precedenti ha fatto
pratica in ospedale nell’ambito della Nurologia, ma senza acquisire specifiche
nozioni di psicologia). Essendo approdata all’Istituto Watson, cosa si aspetta
da questa professione? «Azitutto – sintetizza – conoscere e capire meglio prima me
stessa, imparare la professione nella esatta impostazione operativa e quindi
come poter agire di volta in volta... sin dove il paziente si lascia
“coinvolgere”, nel rispetto delle sue motivazioni e dei suoi bisogni».
Brevi colloqui ma sufficienti per comprendere discipline il cui contributo
scientifico e culturale rappresenta, non solo una “riscoperta” dello scibile umano,
umanistico ed esperenziale, ma anche le concrete potenzialità terapeutiche per il
trattamento (e la “sdrammatizzazione”) delle vicende umane in tutte le loro
manifestazioni.
Lo staff: da sinistra Michela Arru, Sonja
Sabbatino, Stefania Durando, Enrico Rolla, Cristina Monti, Rosanna Tremamondo
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