Per la Settimana Mondiale della Tiroide
UNA GHIANDOLA
“FARFALLONA” CHE PUÓ ALTERARSI NELLA SUA FUNZIONE,
MA ANCHE SENZA LA QUALE
SI PUÓ VIVERE CON UNA ADEGUATA TERAPIA
di Ernesto Bodini
Particolarmente
partecipativo l’incontro sul tema “Tiroide
è energia”, tenutosi nei giorni scorsi nella sede dell’Asl torinese di via
San Secondo, presentato dal direttore generale Valerio Fabio Alberti, e
coordinato dalla dott.ssa Enrica Ciccarelli del Servizio di Endocrinologia
dell’ospedale Martini. Dopo una breve analisi sui disturbi determinati da
malattie tiroidee della endocrinologa Micaela Pellegrino dell’ospedale S. Croce
e Carle di Cuneo, è intervenuta la dott.ssa Cristina Gottero del reparto
di
Endocrinologia e Diabetologia dell’ospedale torinese Maria Vittoria,
soffermandosi su alcuni effetti metabolici della ghiandola come la regolazione
degli zuccheri, dei grassi e delle proteine tanto che la tiroide (la cui forma
ci ricorda una farfalla) contribuisce a far si che i nostri tessuti abbiano dei
substrati energetici per la costruzione degli stessi. «La tiroide – ha spiegato – può
essere iper o ipofunzionante dando origine a situazioni cliniche opposte. Nel caso di
iperfunzione si possono manifestare effetti metabolici come la riduzione dei
livelli di colesterolo, intolleranza agli zuccheri e il calo di peso; nel caso
di ipofunzione i disturbi sono più difficili da interpretare come l’aumento dei
valori del colesterolo e l’aumento di peso; inoltre, diverse possono essere le
forme di disfunzione come quelle dette conclamate e con più sintomi, oppure
subcliniche, più subdole». Sui disturbi della
tiroide nella donna, soprattutto in gravidanza, è intervenuta la dott.ssa
Manuela Puopolo del reparto di Ginecologia all’ospedale torinese Martini, spiegando
che nelle donne le irregolarità mestruali possono essere causate da una
alterazione tiroidea, e se intendono pianificare una gravidanza è bene
ricorrere al consulto del ginecologo. «In
caso di gravidanza – ha precisato – non è sempre facile fare una diagnosi di ipotiroidismo la cui
sintomatologia è spesso sfumata, tanto che bisogna considerare la familiarità,
eventuali pregressi disturbi della tiroide come l’evidenza di uno struma
tiroideo; in caso di ipofunzione della ghiandola in gravidanza l’azione degli
ormoni tiroidei interferisce con lo sviluppo della placenta e dell’embrione.
Inoltre l’ipotiroidismo in questi casi può essere causa o concausa di aborto
spontaneo nelle prime settimane di gestazione, pertanto è utile la conoscenza
del dosaggio degli ormoni tiroidei, meglio noti con le sigle TSH, T4 e T3».
L’eccesso di tali ormoni (tireotossicosi) o la carenza in corso di gravidanza
richiedono una diagnosi precoce in quanto, se non trattati tempestivamente ed
in modo adeguato, possono indurre aumento del rischio di aborto spontaneo,
ipertensione, parto prematuro, ridotta crescita del feto, eventuali
malformazioni dello stesso, etc. Per gli aspetti cardiologici è intervenuta la
cardiologa dello stesso ospedale Alessandra Chinaglia, la quale ha ricordato
che nei casi di ipertiroidismo si verifica un aumento della frequenza cardiaca
e della contrattilità per un eccesso degli ormoni tiroidei; quindi un aumento
del consumo d'ossigeno provocando uno scompenso cardiaco con angina pectoris. «Ulteriori conseguenze – ha precisato – riguardano la fibrillazione atriale, soprattutto oltre una certa età e
nel 20% della popolazione, rappresentata dall’irregolare battito cardiaco con
conseguente esigenza di una terapia anticoagulante ed altri accorgimenti
diagnostico-terapeutici. I sintomi dell’ipertiroideo, oltre alla tachicardia,
sono la presenza di palpitazioni, ansia, ipertensione, dolori al torace; ma
tutte queste manifestazioni regrediscono con il trattamento dopo una accurata
diagnosi e conferma di ipertiroidismo, mentre più lievi invece sono i sintomi
nel soggetto ipotiroideo».
La
dott.ssa Monica Suppo del Servizio di Chirurgia ha illustrato quando e come vi
è la necessità di asportazione totale o parziale della ghiandola, ricordando che
in Italia si effettuano ogni anno circa 40 mila interventi sulla tiroide, di
cui l’80% riguarda pazienti donne. La emitiroidectomia si riferisce
all’asportazione parziale della ghiandola (solitamente un lobo della stessa),
ma più frequentemente l’asportazione è totale nel caso di un gozzo più o meno
voluminoso o di una forma tumorale, e del
morbo di Basedow (grave forma di ipertiroidismo) non rispondente alla terapia
clinica. «La decisione di un intervento
chirurgico – ha precisato – avviene
in modo multidisciplinare (consulto collettivo), ed è importante l’informazione
completa e dettagliata al paziente il quale spesso chiede se si possa vivere
senza tiroide... È una chirurgia delicata e non priva di complicanze come
l’emorragia intra e/o post operatoria, la lesione dei nervi ricorrenti (che
controllano il tono della voce), la rimozione involontaria delle paratiroidi (utili
alla produzione del calcio all’organismo)
e infezioni della ferita chirurgica». È stato anche sottolineato come sia
necessario rivolgersi a centri con ampia esperienza di chirurgia tiroidea. La
ripresa del post intervento è pressoché immediata e si può vivere bene anche
senza tiroide con una mirata terapia sostituiva a base di ormoni tiroidei. Ma
quali gli aspetti “energici” dal punto di vista spirituale? Un aspetto, questo,
trattato da Don Ruggero Marini, esperto in psicologia della comunicazione, le
cui riflessioni hanno sottolineato che credere in modo spirituale può essere un
conforto, ed è noto che il modo con cui si affronta la malattia, il più delle
volte può condizionare il senso favorevole del percorso della stessa. Ma
davvero chi prega può vedersi lenito il dolore? «Alcuni studi in America – ha ricordato il prelato – hanno dimostrato che se i malati hanno
qualcuno che prega per loro essi stanno meglio..., altri invece dissentono;
mentre ulteriori studi europei hanno dimostrato che chi prega vive di più. In
sostanza la malattia può essere un’esperienza di umanità (Giobbe), e può essere
una prova che permette di conoscere meglio se stessi individuando quali sono i
valori che orientano e ispirano la propria esistenza». Secondo il sacerdote
al malato è chiesto di saper sopportare e vivere “al meglio” la sconfitta
(diagnosi e terapia), di attraversare situazioni di dipendenza dagli altri,
restando però libero di verificare se il valore della propria vita è legato a
ciò che facciamo, oppure se abbiamo dentro di noi quella sufficiente energia...
«La malattia – ha concluso il
sacerdote – può essere fedeltà a noi
stessi e ai nostri valori, indipendentemente dall’essere credenti o meno, ed è
tempo per l’apprendimento degli atteggiamenti che la vita di ogni giorno ci
chiede... La malattia ci ricorda che nell’esistenza umana vi sono dei limiti
invalicabili legati alla nostra natura, e la tiroide che funziona bene è come
la preghiera che procura quell’alito interiore, e quell’equilibrio tra
desiderio e paura da ricomporre, che contagia il nostro corpo...».
Anche
la terapia farmacologica ha richiesto uno spazio di aggiornamento per il quale
la dirigente farmacista dell’ospedale Maria Vittoria, Anna Leggeri, ha
ricordato alcune novità nell’ambito della somministrazione orale o in soluzione
diversa come la Levotiroxina, peraltro nota sin dagli anni ’60. «Le nuove formulazioni in commercio – ha precisato
– sono un valore aggiunto, soprattutto per i soggetti disfasici (con
difficoltà di deglutizione), in pazienti
pediatrici, per gli intolleranti agli incipienti e per coloro che sono
alimentati con il sondino nasogastrico; per questi ultimi la soluzione in gocce
è certamente un notevole vantaggio. Inoltre per questi pazienti notevole è la
disponibilità di integratori alimentari, in quanto stimolano la funzione
ipertiroidea attraverso sostanze come lo iodio, il selenio e la tirosina».
Ha sottolineato come le informazioni corrette derivino da medici specialisti e
farmacisti esperti, mentre su internet spesso vengono riportate informazioni
non controllate con conseguenti informazioni terapeutiche che mettono a rischio
la salute (es. tiroide porcina con contenuto di T4 e T3 non corretto per
l'uomo). La voce del volontario è stato un ulteriore contributo all’incontro,
un complemento di esperienza e di umanità dove la sofferenza si “impone” tanto
da condizionare non solo il malato ma anche i suoi famigliari, i volontari in
assistenza e gli operatori sanitari stessi. Questo contributo è emerso
dall’esperienza di Luciana Navone, una delle decane dell’A.V.O. torinese
all’ospedale San Giovanni Antica Sede (accorpato all’ospedale Molinette di
Torino), la quale ha voluto sottolineare che nell’accogliere i pazienti si
apprende che la malattia si è fatta loro “ospite” e, insediandosi nel loro
corpo, ne consegue una determinata reazione come un profondo disorientamento
iniziale. «Nel corso della terapia –
ha spiegato – i malati prendono maggior
conoscenza del loro stato e, una volta stabilito il programma terapeutico,
appaiono più collaboranti, più inclini all’accettazione alla ricerca di quella
necessaria energia per continuare a resistere, a vivere... Ma se accanto a loro
c’è una presenza amica, oltre all’umanità del medico, si sentono ancor meglio».
Ma è lecito pensare che le risposte a tale esperienza sono molto soggettive in
base alle proprie capacità di accettazione e di reagire alla diagnosi e alla
terapia (spesso particolarmente impegnativa) e, anche se alcuni pazienti
rifiutano la presenza di volontari, tale intendimento non è da intendersi
negativo, ma una decisione da rispettare in quanto legata al proprio momento di
sofferenza e di smarrimento... E quale invece la voce di pazienti e
dell’informazione? Invitato personalmente ad intervenire, il mio modesto
contributo ha inteso evidenziare che, anche se le esperienze sono soggettive
(come alcuni casi citati, oltre al mio stesso), una maggior conoscenza del
proprio corpo ed una maggior cultura di quello che può condizionare la nostra
salute, può aiutarci ad essere più coscienti e determinati nell’affrontare una
diagnosi e una terapia. E questo, lo si può ricavare da quell’energia che si
chiama volontà di sapere, volontà di guarire, volontà di vivere!
Nella foto in alto la presentazione del
dott. Alberti, in basso il pubblico
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