INVENZIONI POLITICHE...


GIOCHI DI POTERE ALL’INTERNO DI UNA INSTABILITÀ POLITICA SENZA FINE

Un Dicastero per la Disabilità? Una carrozza che andrebbe ad appesantire
il convoglio istituzionale sempre più fuori dalle sue sedi di percorrenza...

di Ernesto Bodini


La politica, si sa, basata su eterni “giochi di potere”, è un continuo rincorrersi con una sfrenata bramosia di raggiungere un determinato scranno dei 945, sedervisi, ottenere un ruolo più o meno rappresentativo e fruire i benefit previsti... Ma come sempre, quando si tratta di formare un Governo i disaccordi si intensificano, come pure le proposte per giungere ad una definizione parlamentare rappresentata da una serie di Dicasteri (con o senza portafoglio), magari aggiungendone qualcuno semmai servisse a completare il quadro istituzionale, oltre a far “risplendere” l’immagine del proprio partito e dello stesso designato alla sua conduzione. Da un quotidiano del 26 maggio si paventa l’ipotesi dell’istituzione del Ministero alla Disabilità, un obiettivo a mio avviso quanto meno azzardato che non tiene conto di una “violenta” azione di replay, inutile e dispersiva se non lesiva alla dignità dei cittadini disabili. E a questo proposito ricordo che nell’89 il deputato e parlamentare europeo Renato Massari (1920-2012) fu intervistato dal periodico Armonie di Anni Verdi (settembre 1989) relativamente alla sua proposta per creare un vero e proprio “Ministero per la Protezione Sociale”, adducendo il fatto che «... le leggi sull’handicap ci sono ma manca il necessario coordinamento e spesso questi provvedimenti vengono attuati in modo del tutto parziale. Disabili ed anziani sono cittadini con pienezza di diritti e di doveri come tutti gli altri, ed a loro lo Stato deve riconoscere la possibilità di avere tutto quello che hanno gli altri cittadini...». Ed è proprio qui che sta il nocciolo della questione in quanto avere un’attenzione per una fascia di cittadini con particolari problemi, basterebbe far rispettare sia gli articoli della Costituzione che le leggi già esistenti di loro riferimento, ma poiché ciò non avviene in modo sistematico, ecco che qualcuno avrebbe pensato di aggiungere un vagone al lungo convoglio dei Dicasteri (già infarciti di leggi, emendamenti ed altre “scartoffie” spesso di non facile interpretazione e di continui rimandi a norme precedenti), e chissà con quali caratteristiche e direttive per la sua conduzione e possibili... garanzie di riuscita nell’intento.


A tutela dei disabili, un termine che si alterna con handicappati, diversamente abili, invalidi, etc., a seconda del contesto sia culturale che interpretativo ed applicativo, vi sono alcune leggi importanti (per certi versi innovative) che all’atto pratico in molti casi non si riesce (o non si vuole) far rispettare. Ad esempio, la legge n. 68 del 12/3/1999 che dispone “Norme per il diritto al lavoro dei disabili”, ossia l’obbligo da parte di aziende private e pubbliche di assumere una quota di persone con handicap in proporzione al numero dei loro dipendenti; un provvedimento (preceduto dall’analoga legge n. 482/1968) che, nel concreto, non sempre ha trovato attuazione in quanto in caso di mancata assunzione il datore di lavoro supera l’ostacolo pagando una ammenda... per la verità non certo esosa! E che dire della legge n. 13 del 9/1/1989 che prevede la “Disposizione per favorire il superamento e l’eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privati”, e che di fatto gli interessati devono affrontare numerose difficoltà per il rispetto di tale legge? Ed ancora. La n. 104 del 5/2/1992 è la “Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate”; un provvedimento un po’ tardivo (meglio tardi che mai, sic!) che ha fatto un po’ di luce dal punto di vista assistenziale e dell’integrazione, ma anche in taluni casi tale provvedimento non sempre trova facile applicazione. A “conforto” di determinate ingiustizie e soprusi ecco che la legge n. 67 dell’1/3/2006 impone “Misure per la tutela giudiziaria delle persone con disabilità vittime di discriminazione”; una normativa che all’atto pratico per certi versi è “annullata” dalle disposizioni della “Riforma del titolo V della Costituzione”, la quale riconosce l’autonomia (in larga misura) alle Regioni, e ciò significa che i cittadini residenti in Regioni meno virtuose, a parità di esigenze di diritti, non ottengono il rispetto degli stessi.


Alla luce di questa sintetica esposizione di carattere politico-legislativo ritengo precisare che l’handicap è quasi sempre una condizione di svantaggio, ma è anche (se non soprattutto) una questione di cultura: è la società che ancora manca nell’approccio a queste persone le cui condizioni le fanno rientrare tra i “non desiderati”, quasi sempre un capro espiatorio dell’aggressività del gruppo sociale, con un ruolo socialmente svalutato, tale da renderle vittime dell’emarginazione... È la società che, in una certa misura, determina e definisce l’handicappato (nel senso più esteso del significato), ad esempio, nell’ambito della scuola, del lavoro e più estensivamente in tutti gli spazi dove esistono barriere fisiche e psicologiche da superare. Il disabile, proprio perché non di un’altra specie, costituisce sempre un caso a sé, unico e non standardizzabile. Questo concetto è essenziale perché la mancanza di rispetto per qualunque realtà individuabile, condurrà sempre a violenza ed emarginazione. Questa situazione, particolarmente pesante e difficile, è aggravata dalla cosiddetta “cultura dominante del bello e della produttività ad ogni costo”. Una nuova mitologia che crea continuamente nuovi soggetti handicappati. Una persona che non rientra nei canoni estetici di bellezza ed efficienza, in qualunque contesto sociale, viene emarginata. La condizione di handicap, quindi di svantaggio, è qualcosa che si evidenzia fra l’individuo e la società circostante, e proprio perché tale ambiente non è adatto alle necessità di tutti, è la società che dovrebbe adeguarsi e non il contrario... Intervistato da un collega, alla domanda come superare la condizione di handicap, rispondevo: «L’handicap può essere superato se la società attraverso l’apporto delle tecnologie e dell’organizzazione sociale riesce ad integrare la persona con disabilità nel normale circuito sociale, facendo leva sulle potenzialità e le capacità della stessa. E poiché la qualità della vita passa attraverso la qualità del diritto (ove è prevista giustizia equa per tutta la comunità, il diritto stabilisce garanzie per ciascun cittadino), a maggior ragione chi soffre il disagio dell’handicap necessita di una particolare tutela che ne impedisce l’emarginazione, garantita dalla certezza di regole che stabiliscono il principio di parità sociale».

La foto in basso è tratta dal sito www.change.org

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