OLTRE A BOLOGNA ANCHE A TORINO UN INCONTRO
PER LA GIORNATA MONDIALE DELLA FIBROMIALGIA
In
Italia sono quasi un milione e mezzo i malati che attendono di essere
riconosciuti per avere cure più “appropriate” e maggiore assistenza
di Ernesto Bodini
Con
grande spirito di partecipazione anche a Torino nei giorni scorsi si è voluta
richiamare l’attenzione sulla fibromialgia (d’ora in poi FM), una malattia
invalidante (ma non ancora riconosciuta come tale dalle Istituzioni preposte)
che colpisce prevalentemente il sesso femminile. L’incontro a livello locale si
è tenuto sabato 12 maggio nella della Circoscrizione 1 (via Dego 6), coordinato
dalla referente regionale Daniela Maria Acino (nella foto la prima a destra),
per porre in evidenza aspetti clinici e socio-assistenziali dei pazienti che da
anni attendono una legge che li tuteli integralmente, riconoscendo in primis la
loro condizione di invalidità cronica. È una patologia multifattoriale e, sin
dalle sue origini, è stata considerata in differenti modi. Infatti, nel 1843 fu
l’anatomista tedesco Robert F. Froriep (1804-1861) che classificò la
sintomatologia pertinente all’odierna FM, con forme diffuse e dolorose di
carattere reumatologico. In seguito, nel 1904, il neurologo inglese William R.
Gowers (1845-1915) coniò il termine “fibrosite” per indicare fenomeni di
lombalgia riscontrata in giovani adulti attribuiti ad una infiammazione del
tessuto fibroso delle masse muscolari.
Nei
primi anni del ‘900 vennero introdotte le definizioni di “dolore fasciale”, e
di “Trigger Points” (siti di iper-irritabilità). «Esclusa la presenza di un’infiammazione – come ha ricordato la
reumatologa Maria Bruzzone (nella foto) – la
malattia venne considerata una patologia su base esclusivamente psicologica fino
al 1976, quando il reumatologo statunitense Philip Kahler Hench (1930-2009)
coniò il termine “fibromialgia” ed identificò la malattia con una natura di
matrice reumatologica, ma non infiammatoria. Ed è dal 1978 che si considera il
moderno concetto di FM e di “Tender Points”; dal 1990 sono stati messi a punto
i criteri diagnostici per la malattia e, nel 1994, con la Dichiarazione di
Copenhagen la diagnosi di FM venne accettata a livello internazionale». Significativi,
oltre alla predisposizione su base genetica, sono la varietà dei sintomi come
stanchezza, i disturbi cognitivi e soprattutto i dolori diffusi che, nel loro
insieme, richiedono particolare attenzione per una corretta diagnosi clinica;
mentre la terapia richiede un approccio prevalentemente farmacologico e
riabilitativo, oltre che psicoterapeutico.
Sul
versante della farmacoterapia è intervenuta l’anestesista e algologa Elisabetta
Fanzago (nella foto) precisando che, essendo la FM è una patologia molto
individuale, a maggior ragione è importante stabilire un colloquio per
impostare una adeguata terapia, in particolare per il controllo del dolore
cronico (benigno) con l’avvertenza di avere particolare cautela nel somministrare
gli oppiacei, soprattutto nel caso di pazienti in gravidanza e quindi durante
il parto e l’allattamento: basse dosi di farmaci, minori effetti collaterali.
Altrettanto importanti sono da considerare i risvolti psicopatologici
evidenziati dalla psichiatra e psicoterapeuta Manuela Giraudo, spiegando che il
ricorso a questo specialista è l’ultima “ratio” il cui contributo terapeutico
rientra nella terapia integrata, in cui vengono stabiliti alcuni aspetti come
l’accettazione della malattia, la conferma che la prognosi non è infausta, il
potere dell’autogestione e la valutazione del vissuto angoscioso nel pieno
contesto di un approccio integrato. Anche un’adeguata alimentazione pare avere
un ruolo di “sostegno” per questi malati, tant’é che si può parlare anche di
terapie dietetiche. «Ma a riguardo non
esistono – secondo la nutrizionista Elisa Rosso – delle vere e proprie linee guida. In effetti sono poche le evidenze
sulla dieta, ed accorgimenti in merito si possono riscontrare quasi sempre con
la perdita di peso, controllando il proprio indice di massa corporea (dato biometrico,
espresso come rapporto tra peso e quadrato dell'altezza di un individuo ed è utilizzato
come un indicatore dello
stato di peso forma,
nda), correlato con la sintomatologia; e al tempo stesso affidarsi ai
protocolli dietetici. Mentre per quanto riguarda gli integratori gli stessi
devono essere personalizzati, ponendo nel contempo cautela all’interazione con
i farmaci».
Invitato personalmente ad esporre qualche
suggerimento sugli aspetti socio-assistenziali e culturali, ho rammentato che dal
punto di vista dell’informazione sono certamente aumentate le conoscenze sul
problema della FM, e che sarebbe auspicabile il suo inserimento nell’ambito
delle cosiddette sindromi da sensibilizzazione centrale, in quanto rappresentano
un insieme di patologie caratterizzate dal dolore cronico. Per contro, questa
patologia nella sua specificità non è ancora conosciuta da tutti i medici e,
permane tuttora, il mancato riconoscimento ed inserimento nei LEA probabilmente
perchè ancora insufficienti sono i corretti parametri necessari per definire i
livelli di invalidità. Ma in sostanza, la FM è una malattia sociale? A mio
avviso non credo si possa sostenere tale tesi, visto il non eccessivo numero di
questi pazienti, anche se nel concreto il loro trattamento presenta costi
sociali diretti e indiretti. Tuttavia vi sono ancora alcuni pregiudizi da
superare e, per questo, oltre a sostenere la petizione popolare nazionale per il
riconoscimento promossa dall’associazione “CFU-Italia”, ciascun paziente
dovrebbe avvalersi di tutte quelle norme che stabiliscono doveri e diritti
contemplati nel Servizio Sanitario Nazionale (SSN) e nel Servizio Socio
Sanitario Regionale (SSSR).
Foto di Alberto Mazzucato
Foto di Alberto Mazzucato
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