IL MEDICO CHE SCONFISSE LA POLIO


Un doveroso ricordo a venticinque anni dalla scomparsa

ALBERT B. SABIN: UN UOMO, UNO SCIENZIATO,
UN FILANTROPO PER L’INFANZIA SOFFERENTE

di Ernesto Bodini


Il tempo, si sa, trascorre inesorabilmente per tutti, ma non tutti sono propensi nel ricordare chi ha dedicato la propria esistenza all’umanità, con spirito di sacrificio e con grande dedizione come i ricercatori nell’ambito delle scienze mediche. Tra questi ritengo doveroso ricordare il prof. Albert Bruce Sabin a cinque lustri dalla sua scomparsa, che personalmente ho conosciuto a Torino nel 1986 per seguire i suoi lavori di presidente di congresso (come anche alcuni anni dopo), e per ringraziarlo idealmente a nome dell’Umanità. È stato pediatra e virologo polacco, poi naturalizzato statunitense, famoso per aver sviluppato il più diffuso ed efficace vaccino contro la poliomielite. L’umanità deve a lui, umile ed appassionato ricercatore, la scomparsa della “polio” (anche se attualmente alcuni focolai del virus si sono ripresentati in Afghanistan, Pakistan e Nigeria), autentico flagello causa di milioni di morti e paralisi in italia e nel mondo nel secolo scorso. Sabin sperimentò coraggiosamente su se stesso, sulle figlie e sui diretti collaboratori il nuovo vaccino, realizzato con virus vivi, ma attenuati, e somministrabile per via orale, sciolto su una zolletta di zucchero. Non brevettò l’invenzione, rinunciando allo sfruttamento commerciale, per garantire la più vasta diffusione della cura. Un lavoro che neppure gli valse il premio Nobel.


Ebreo polacco emigrato negli USA – Albert Sabin era nato il 26 agosto 1906 nel ghetto di Bialystock, nella Polonia ancora sotto il dominio russo, da una famiglia ebrea. Dell’infanzia non conservava buoni ricordi: “Quando avevo cinque o sei anni – raccontò più volte –, mentre passavo davanti a una chiesa insieme con un amico, anche lui ebreo, alcuni ragazzi ci urlarono: “Avete ucciso il nostro Dio!”. E ci presero a sassate. Ero troppo piccino per capire; un sasso appuntito mi colpì a pochi millimetri dall’occhio sinistro”. Poiché era nato non vedente dall’occhio destro, sfiorò la cecità. Emigrato con la famiglia negli Stati Uniti agli inizi degli anni ’20, studiò Medicina a New York, dove si laureò nel 1931, specializzandosi poi in Microbiologia e Virologia. Alla fine del secondo conflitto mondiale, che lo vide arruolato (anche in italia) come ufficiale medico, iniziò ad occuparsi di malattie virali: polmonite, encefalite, toxoplasmosi, meningite e poliomielite. Quest’ultima, causa di una infiammazione del midollo spinale, con paralisi irreversibile di alcuni muscoli, attirò in particolare la sua attenzione. In quegli anni veniva utilizzato il vaccino scoperto da Jonas E. Salk (New York 1914-1995), che preveniva molte complicazioni della malattia, ma non era in grado di evitare il contagio iniziale. Era costituito da virus inattivati (uccisi) e doveva essere somministrato tramite iniezione.


In Italia nel 1963 la prima vaccinazione – Il “vaccino Sabin” contro la poliomielite fu sperimentato per la prima volta nel 1954, ma ebbe diffusione mondiale solo a partire dal 1960. In Italia la prima vaccinazione di massa venne effettuata nel 1963; l’obbligatorietà fu introdotta nel febbraio 1966 (anno in cui si verificarono 148 casi), per effetto della famosa legge 51. Tale ritardo fu causa di quasi 10 mila casi di polio, che provocarono più di mille decessi e oltre ottomila paralisi. Per cinque anni consecutivi (dal 1985 al 1989) Albert Sabin ha fatto visita a Torino (città che nel 1986 lo ha insignito della Cittadinanza Onoraria) per partecipare ad una serie di incontri internazionali e multidisciplinari sullo sviluppo e sulla alimentazione. La mancata assegnazione del nobel non lo angustiava: «Si vede che altri lo meritavano più di me. Del resto ho avuto altri riconoscimenti prestigiosi negli Stati Uniti...». E ricordava quella frase letta dal maestro in classe, quand’era poco più che un bambino: «Non cercate altro premio o una grande ricompensa su questa terra, se non la gioia spirituale che possiede solo chi sa donare». E sul rifiuto di brevettare il vaccino si schermiva: «Era il solo modo per produrlo e somministrarlo su vasta scala, al costo di uno-due centesimi a dose e metterlo a disposizione di chiunque...».


“Il senso della vita è aiutare i più bisognosi” – «Mi sento religioso – confidò una volta – perché so di trovarmi nell’insieme del Creato. Quando considero il miracolo che è la vita, le specie diverse esistenti, il fatto che tutto funzioni alla perfezione anche se io non capisco come, e l’accetto, allora mi sento profondamente religioso». E ai giovani spiegava che «non basta lavorare per migliorare se stessi, bisogna essere in grado di farlo anche per aiutare gli altri, specialmente coloro che ne hanno più bisogno». Morì a Washington il 3 marzo 1993. Negli ultimi anni, si era dedicato allo studio dei tumori e della leucemia. Nel tempo libero, curava con passione il proprio giardino: «I fiori – ripeteva – mi ricordano i bambini per cui ho speso tutta la mia vita». Per tutte queste ragioni l’uomo scienziato e filantropo ritengo che non solo va ricordato, ma riproposto nelle sedi accademiche come faro per le nuove generazioni di medici, e anche in ogni dove per illuminare le molte menti che si oppongono ai valori di una scienza per la profilassi della poliomielite e di tutte le malattie infettive.

Nella foto in basso A. Sabin con l'autore dell'articolo

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