RICORDO DEL DOTTOR CARLO URBANI
A QUINDICI ANNI DALLA SCOMPARSA
Medico
impegnato sul fronte delle malattie infettive tropicali,
è stato esempio
di grande apporto umanitario, etica e umiltà
di Ernesto Bodini
Alcuni anni fa per un settimanale di Sanità pubblicai una inchiesta dal
titolo “Quando si ammala il medico”. E
nel sommario sintetizzavo: un insieme di alcune esperienze significative di
medici giovani e meno giovani che hanno smesso il camice per indossare il
pigiama, e affrontare il duro calvario della sofferenza, curati dai colleghi
talvolta poco inclini alla mera “complicità” che sembra favorire un decorso
più... umano e con meno difficoltà. Medici colti alla sprovvista ma non per
questo meno determinati nell’accettare la malattia non con rassegnazione, ma
con una maggiore volontà per uscire dal tunnel della sofferenza e del
compatimento. Ma anche lottando contro la burocrazia in sanità che, a volte,
non risparmia neppure gli stessi medici. Fra questi ritengo doveroso ricordare
il dottor Carlo Urbani (nella foto),
a tre lustri dalla sua scomparsa, che credo abbia lasciato in tutto il mondo (a
colleghi e non) il più grande esempio di umanità e umiltà, due modi d’essere
che hanno determinato la scelta di diventare medico, e soprattutto di dedicarsi
al prossimo oltre confine... Era nato a (Castelplanio
(An) nel 1956, e dopo la laurea in Medicina e Chirurgia si è specializzato in
infettivologia, virologia e parassitologia; divenendo poi consulente per
l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). È stato un uomo dotato di grande
carisma ed apporto umanitario: medico in prima linea per combattere le malattie
virali nei Paesi in via di sviluppo. A lui spetta il merito di aver individuato
e descritto (isolandone il virus) la Sars, ovvero la Sindrome Respiratoria
Acuta Severa, la terribile “strana” influenza asiatica. Dopo alcune
missioni in Asia e in Africa è diventato presidente nazionale di Médicins Sans
Frontières (MSF), e nel 1999 ha fatto parte delle Delegazione designata a
ritirare il premio Nobel per la Pace assegnato a MSF. L’anno successivo ha
ricevuto l’incarico dall’OMS di recarsi ad Hanoi (per tre anni) come
responsabile per la lotta alle malattie parassitarie soprattutto in
Vietnam, Laos e Cambogia. All’inizio del 2003, mentre si trovava a Bangkok per
un convegno, accusava tutti i sintomi della malattia. Ricoverato in ospedale ha
avvertito la moglie di far tornare in Italia i figli (Tommaso, Luca,
Maddalena): l’amore per il prossimo che lo ha accompagnato per tutta la vita,
lo ha fatto rinunciare anche all’ultimo abbraccio per evitare ogni possibilità
di contagio. La moglie (Giuliana Chiorrini) gli è rimasta vicina, ma nessun
altro incontro è stato possibile. Il dottor Urbani si è spento alle 11,40 del
29 marzo. Tre giorni prima ad Hanoi in una conferenza stampa venivano citati 59
casi di Sars, quattro dei quali deceduti: due medici e due infermieri. Avevano
lavorato a stretto contatto con i pazienti, proprio come il dottor Urbani; un
medico non stoico, non un eroe ma solo un Uomo con tanti ferventi ideali
umanitari e la capacità di portarli fino in fondo, con determinazione, a
qualunque costo e con senso di responsabilità e professionalità, ben oltre il
concetto dell’etica e del sacrificio.
Ma
il mio ricordo del medico marchigiano si estende alle diverse opere letterarie
a lui dedicate quali “Carlo Urbani. Il primo medico contro la Sars”,
di Lucia Bellaspiga (Ed. Áncora, 2004); “Il medico del mondo. Vita e
morte di Carlo Urbani”, di Jenner Meletti (Ed. Il Saggiatore, 2004); e
“Le malattie dimenticate. Poesia e lavoro di un medico in prima linea”
(Ed. Feltrinelli, 2004). Quest’ultima è una ricca documentazione del suo
operato che comprende, tra l’altro, il suo intervento nell’ambito della
celebrazione italiana del Premio per la Pace tenuto ad Oslo nel novembre 1999,
di cui riporto un passo toccante, incisivo e per certi versi accusatorio: «…abbiamo
assistito a fin troppi drammi cui la cosiddetta “politica internazionale” o
guardava impotente, o taceva, o interveniva alimentandoli, per non sentire il
dovere di continuare a richiamare i governi ai veri obiettivi di tutela della
dignità umana. Ma il silenzio su questi problemi ci sembra troppo spesso
imperare nelle pagine dei giornali e nelle televisioni qui in Italia. Non
nascondiamocelo: la nostra attenzione alla politica internazionale è spesso
strozzata fra interminabili dispute politiche interne o sport ed enalotto. Era
triste, a Oslo, non poter incontrare neanche un giornalista italiano, ed è
triste pensare che, finita la novità del Nobel, non appariranno più nemmeno
citate quelle catastrofi “dimenticate” in cui operiamo. Ma siamo ambiziosi… e
ci sentiamo, con l’autorità che il Nobel ci affida, di poter costituire una
sorta di piccola spina, un sassolino nella scarpa, che continuerà a ricordare e
a diffondere in questo paese le implorazioni di aiuto delle milioni di
“vittime” dalle nostre “sale di attesa”…».
L’ultima
pubblicazione, a mia conoscenza, porta il titolo “Il medico della Sars.
Carlo Urbani raccontato da quanti lo hanno conosciuto”, di Vincenzo
Varagona (Ed. Paoline, 2013). Una ricca e variegata raccolta di testimonianze
di amici, colleghi, pazienti, dirigenti di Organizzazioni internazionali
pubbliche e private, rappresentanti di Fondazioni umanitarie, giornalisti e
tanti altri che hanno voluto “immortalare” la sua figura di medico ma anche di
marito e padre, ma soprattutto di Uomo che nella sua seppur breve
esistenza ha dimostrato l’importanza e l’utilità senza confini di servire il
prossimo sofferente, con tenerezza e umiltà. A memoria e a perpetua continuità
umanitaria nel 2003 è stata fondata l’Associazione Italiana Carlo Urbani
(AICU), che ha sede a Castelplanio (Ancona) in piazza Mazzini 1, telef.
0731/813.048 – E-mail: info@aicu.it. Un doveroso impegno di tante persone che hanno
creduto e credono che sia indispensabile lasciare una impronta indelebile nella
storia del popolo italiano e di tutta l’umanità, nel rispetto degli ideali del
dottor Urbani, della sua famiglia e di tutte le Istituzioni umanitarie operanti
nel mondo. Questo “doveroso” tributo al nostro connazionale vuole essere anche
un incoraggiamento per tutti i medici che intendono estendere la loro opera in
Paesi dove povertà e abbandono, sono spesso la causa di molte malattie endemiche
di notevole impegno medico e assistenziale; ma anche per le future generazioni
di medici che, nell’incertezza di una scelta, sentano lo “stimolo” di
avvicinarsi in qualunque modo per alleviare le sofferenze umane.
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