UN PO' DI FILOSOFIA AIUTA... (2)


Lo stato d’animo e le sue pratiche implicazioni sociali
nel vissuto del filosofo danese

Incombenti nubi si addensano ogni giorno condizionando le nostre scelte,
come la futilità che contraddistingue le cose terrene nel mondo moderno

Ernesto Bodini


È da un po’ di tempo che non si legge e non si sente parlare di Söeren Kierkegaard (Copenaghen, 1813-1855), del quale si “invocherebbe” un ritorno del suo pensiero che, per certi versi a mio avviso, potrebbe essere utile per una riflessione su come si evolve la società d’oggi. È noto a tutti (o quasi) come un autore complesso, talvolta ermetico e di non facile lettura... tal’altra socratico, che impegna contemporaneamente l’animo e la mente di chi intende avvicinarlo con la lettura (e la conoscenza) delle sue Opere. Anche i migliori traduttori, del resto, nel ricercare ed approfondire con studi e cenacoli le opere del filosofo danese, spesso si sono trovati di fronte a serie “difficoltà” interpretative. Tra queste, ad esempio, “Il concetto di ironia con costante riferimento a Socrate” del 1841, “Una cosa o l’altra” e “Timore e tremore” del 1843, “Il concetto di angoscia” del 1844, e “Momenti sul cammino della vita” del 1845. Questi studi sono l’espressione della sua lotta continua e aspra contro la logicità del “sistema” hegeliano in nome della vita interiore del soggetto individuale. Infatti, affrontò il problema dell’esistenza trattando del peccato e dell’angoscia, della disperazione e della fede. Come sappiamo, ebbe vita tormentata e visse intensamente il dramma della sua anima e nell’eccezionalità della della sua esperienza spirituale vide la forma esasperata e tipica di quel paradosso che è la vita. Per lui l’esistenza è una ferita che nella fede trova la sua cicatrizzazione. Ma da qual si voglia lato lo si analizzi emerge la complessità delle sue stesse opere ed offre una profonda analisi di problemi mistici ed esistenziali, tanto coinvolgenti quanto profondi. Con queste mie riflessioni, sia pur dettate dalla mia modestissima conoscenza, che offro a chi mi vuol leggere, intendo fare un lieve cenno allo stato d’animo per il quale l’autore cita come esempio il sacrificio di Isacco; esempio che attualizzato ai giorni nostri ed applicato alle vicende che quotidianamente impegnano le nostre azioni, resta palese, io credo, che i singoli stati d’animo contribuiscono idealmente uniti a formare movimenti, sia essi di carattere prettamente filosofico, politico o più estensivamente esistenziale.


La serenità di Abramo, nel salire alla meta che il Signore Iddio gli aveva indicato, non si frapponeva a limiti che ne rendessero e ne frenassero la sua marcia verso la sommità del monte dove senza ulteriori tentannamenti, seppur con gesto stentoreo, adagiava il capo del figliolo sul ceppo sacrificale. La fede aveva influito in modo determinante sull’ubbidienza di Abramo. Ma quale il suo stato d’animo reale? Non certo di esaltazione, ne tanto meno di gioia, ma un tumultuoso patema per il quale venivano messi a dura prova i suoi più encomiabili sentimenti di padre verso il proprio figlio e di uomo nei confronti della inviolabile esistenza dell’Essere. La futilità che contraddistingue le cose terrene nel mondo moderno obbligano a chiarezze ed a verità leali, le quali devono ottemperare ad una linea di prolissità filosofica che inglobi lo stato d’animo dell’essere umano. Non di meno è l’esempio, per quanto semplice, del poeta che se per anni incompreso o poco conosciuto, soffre un particolare stato d’animo per la lunga attesa e speranza, peraltro senza certezza, di far conoscere i suoi versi, siano essi dettati da pura ispirazione o da sentimento ambizioso. Ma anche se esistesse la certezza dei risvolti della nostra esistenza, ogni singolo individuo è ugualmente condizionato dall’inevitabile stato d’animo in cui si verrebbe a trovare, poiché troppo alto e determinante è il fattore dell’evolversi dei fatti e delle esperienze, le quali sono condizionate dalla sfrenata ambizione, dall’egoismo e dalla superficialità. Anche la madre, nell’occultare il capezzolo al bimbo vorace, prova ansietà non disgiunta ma misurata dall’assillo atroce cui è sottoposta. Ed ancora, la mancanza della possibilità da parte del figlio adulto, di rannicchiarsi nei momenti di stanchezza su quel seno che gli ha dato la vita. Conseguenza imprescindibile delle considerazioni, seppur estemporanee, diventano nell’arco della nostra vita stati d’animo che se non variati, fossilizzano il nostro modo di pensare e di agire. Cariche ed incombenti nubi si addensano sempre più (e questo non è pessimismo, ma una cocente realtà...) sulle scelte che l’umanità giorno per giorno si appresta a fare. Deduciamone dunque che non solo lo stato d’animo delle masse determina l’evoluzione storica ed umanistica dell’uomo, bensì le menti che guidano le suddette hanno il dovere e la responsabilità di controllare, di smussare e rendere il più possibile agevole l’espletamento dei quotidiani doveri delle quali sono investite. Ferrea come la scelta di Abramo, ma ponderata nella sua più intima essenza, deve risultare la nostra perseveranza, non creando in noi facili ed illusorie conquiste socio-filosofiche che possono minimamente turbare il nostro pensiero ed il nostro modo di esistere.                                    


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