CONDIZIONE UMANA IN CONTINUO DECLINO


IL MISTERIOSO LABIRINTO DELLA PSICHE UMANA

Non si placa il fenomeno del femminicidio ma anche quelli del figlicidio e neonaticidio, nonostante studi e programmi di informazione e prevenzione. Oltre ai motivi riconducibili alla relazione di coppia, per quanto riguarda le madri sempre più ricorrente tra le cause è anche la cosiddetta “depressione post partum”, condizione patologica solitamente prevenibile e curabile.

di Ernesto Bodini



È di questi giorni l’ultimo efferato delitto di Cisterna Latina (LT), che ha visto soccombere due sorelline di 7 e 13 anni per mano del loro papà, come reazione (pare) ai dissapori con il proprio coniuge, tentando di sopprimere anche lei ferendola gravemente. Ultimo in ordine cronologico ma capofila di una lunga serie: non c’è dubbio che ormai la società è destinata ad assistere impassibile, se non addirittura a subire l’interminabile escalation di reati contro la Persona che determinano la malvagità di molti soggetti, accanendosi contro le donne e i minori in particolare. Nel primo caso si tratta dei cosiddetti femminicidi, una vera e propria “persecuzione” contro il genere femminile che solo nel 2016 in Italia sono stati 120 (128 nel 2015), ossia uno ogni due giorni una donna viene uccisa dal compagno. Ma la stirpe umana, per buona parte, va oltre se si considera che tra i delitti in famiglia vengono commessi figlicidi e infanticidi; un fenomeno che riguarda madri e padri che sopprimo la loro creatura in tenera età. Tutte storie di dolore e sofferenza indicibili alle quali la società, a mio avviso, è ancora ben lontana (e in gran parte non è in grado) dal farvi fronte, e questo, nonostante diversi siano gli esperti in varie discipline per studiare cause, effetti e possibili programmi di prevenzione e cura. Approfondire questo argomento, specie se si è profani, è come addentrarsi nel buio tentando di avvicinarsi al più possibile alla mente sconvolta di giovani madri (l’età media non supera i 30-35 anni) che, in un momento particolare della loro esistenza in preda al delirio o a particolari momenti di sconforto (come nel caso della cosiddetta “depressione post partum”), o chissà per quali altre difficilmente sondabili ragioni, hanno ucciso le loro creature. Dal punto di vista giuridico, in base all’art. 578 del Codice Penale, si parla di infanticidio quando l’uccisione  del feto avviene durante o dopo il parto,  in condizioni di abbandono materiale e morale. «La criminologia, rispetto alla giurisprudenza – mi spiegava tempo fa la psicologa Maura Crivellenti – fa una distinzione sulla base dell’età della vittima. L’uccisione entro le 24 ore dalla nascita è chiamata neonaticidio, l’infanticidio va dal primo anno di età, mentre il termine figlicidio si utilizza per i bambini uccisi dal primo anno di vita in poi. Quest’ultimo può essere ulteriormente suddiviso in una prima tipologia chiamata “figlicidio precoce”, ossia quando la morte sopraggiunge entro i 12 anni, ed una tipologia definita “figlicidio tardivo” quando include i bambini dai 13 anni in poi».
Una interessante ricerca di alcuni anni fa, anche se un po’ datata ma ugualmente esplicativa (“Fare e disfare... dall’amore alla distruttività. Il figlicidio materno”, Ed. Aracne), a cura della psicologa e criminologa Alessandra Bramante, ha messo in evidenza 50 anni (dal 1958 al 2007) di neonaticidi e figlicidi perpetrati in Italia da 814 madri e 626 padri, la cui responsabilità include sia gli uni che le altre, in età diverse, con modalità difformi e con motivazioni differenti. In questo studio l’autrice prende in esame sia la prospettiva storica che quella culturale per giungere a formulare ipotesi e teorie, senza trascurare gli inevitabili e notevoli risvolti giuridici. Ma cosa spinge, è lecito chiedersi, una mamma a compiere un gesto così estremo e contro natura? «Sono molteplici – spiega Bramante – le motivazioni che portano una madre a commettere figlicidio. Le più frequenti sono la presenza di una grave patologia psichiatrica, la “Sindrome di Munchausen per procura” e la “Sindrome di Medea”. Ma anche la depressione post partum sembra essere responsabile ed è caratterizzata da sintomi riconoscibili come tristezza, perdita di interesse, isolamento sociale, senso di inadeguatezza, disturbi dell’alimentazione e trascuratezza di sè». Da questa ricerca emerge inoltre  come le madri abbiano molti precedenti psichiatrici e pochi precedenti penali, mentre i padri al contrario hanno numerosi precedenti penali e pochi precedenti psichiatrici. In particolare gli infanticidi d’interesse psichiatrico-forense riguardano (oltre alle sindromi di Munchausen e di Medea, e alla depressione post partum) soprattutto quadri di schizofrenia con deliri e allucinazioni che coinvolgono il bambino, depressione maggiore con idee di rovina determinanti suicidi allargati “altruisti”, pedofilia sadica, incuria da situazioni di gravissimo abuso cronico e acuto di sostanze alcooliche della madre o di entrambi i genitori, follia indotta o multipla. Va rilevato inoltre che la tipologia psicologica nelle madri neonaticide ha fatto constatare soprattutto personalità immature o deboli di mente, disarmonie evolutive con scarso livello etico-affettivo, ma anche un contesto socio-culturale modesto, meccanismi mentali primitivi, una scissione tra sessualità e maternità, il fallimento del “lavoro” per diventare madre, la manifestazione di fantasie di tipo psicotico.



Ma tornando alla depressione post partum, il fenomeno è riscontrato in circa il 10% delle donne che hanno appena partorito, con un incremento del 30% se sono state colpite dalla stessa depressione, in occasione di un parto precedente, e la percentuale sale sensibilmente in presenza di donne che hanno già manifestato in passato disturbi mentali di varia natura, è difficilmente riconosciuta dalle donne. «E questo perché – spiega la dott.ssa Bramante – è un aspetto negativo dell’essere mamma: piange, non dorme la notte, si sente insicura e crede che non sarà mai una buona madre per il suo bambino. La depressione post partum è una sorta di “ladro che ruba la maternità”, che fa paura..., ma se si prende coscienza del fatto che anche la mente si può ammalare senza vergogna, e si accetta di essere aiutati, è possibile uscirne e godere appieno della propria maternità». È una patologia che se individuata in tempo è curabile, per cui è importante intervenire precocemente soprattutto perché vi sono fattori di rischio già presenti durante la gravidanza come la familiarità psichiatrica, una gravidanza indesiderata, la vicinanza tra due gravidanze, la presenza della sindrome premestruale, oppure un rapporto conflittuale di coppia. Ma va anche detto, ad onor del vero, che la società non è meno “responsabile” di fronte a questi eventi, come lo stare accanto alla donna che si appresta a diventare madre... Rimangono tuttavia da sfatare quei miti sulla maternità che la società ci propone sotto diversi aspetti, come ad esempio il fatto che avere una bambino sia esclusivamente fonte di gioia, quando si sa che non sempre è così e che esistono fattori che possono impedire alla donna di vivere serenamente la maternità. Ma nella società sono da includere anche i mass media, nel dare notizia di questi eventi, rendendosi talvolta “responsabili” con l’informare ripetutamente l’opinione pubblica tanto da creare quell’impatto mediatico che potrebbe, in alcuni casi, compromettere il rispetto della privacy e della dignità della persona. A questo riguardo mi sembra doverosa la precisazione della psicologa Bramante: «Se una madre è innocente la sua immagine sarà infangata e, al contrario se colpevole, il suo atto deve riguardare la giustizia e la medicina, e senza alcun dubbio sarebbe necessario spegnere i riflettori su di essa lasciando, a lei e alla famiglia, il tempo e lo spazio per elaborare il loro dolore». Questa realtà, sommate a tante altre, non fanno che impoverire sempre più la società che non ha modo di rialzarsi affinché ciascun individuo si rispecchi l’un l’altro e, a mio modesto parere, ben poco servono gli studi sulla psiche umana se prima non si pone un “freno” alla libertà dei costumi, dell’azione, delle pretese (sempre più assurde), alla rincorsa del benessere superfluo che crea enormi  disparità e diseguaglianze, e alla rincorsa del potere come alla cultura del meglio e del bello, poiché il già solo apparire per differenziarsi equivale a selezionare il genere umano in numerosi “scomparti”. Una tendenza premonitrice quasi a rievocare quanto affermava il filosofo e teologo Albert Schweitzer (1875-1965): «Per l’uomo veramente etico ogni vita è sacra inclusa quella dal punto di vista umano che sembra di essere di ordine inferiore. Il dolore è un tiranno dell’umanità più terribile della morte stessa. Sono vita che vuole vivere, in mezzo a vita che vuole vivere. Possederemo ancora gli ideali che abbiano potere sulla realtà? Questo è il problema di fronte al quale oggi ci troviamo».

Immagini tratte da ANSA, e da SoS Emozioni

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