IL
SISTEMA SANITARIO NAZIONALE SOTTO LA LENTE DI INGRANDIMENTO
Più controllo
della spesa pubblica e maggior appropriatezza nella
erogazione
di beni e servizi per la continua sostenibilità del SSN
di Ernesto Bodini
L’evoluzione dei tempi
rincorre anche la Sanità tra spesa,
gestione ed erogazione di beni e servizi ad una popolazione sempre più
“esigente”, a fronte di innovazioni tecnologiche e terapeutiche incalzanti,
tanto da giustificare un incontro sul tema “Sanità: diritto alla salute e
sostenibilità dei costi”. Se ne è parlato nei giorni scorsi all’Accademia di Medicina
di Torino, con interventi di Vladimiro
Zagrebelsky, magistrato e già giudice alla Corte europea dei Diritti
dell’Uomo, e del dott. Vittorio
Demicheli, epidemiologo ed esperto in statistica in Sanità pubblica ed
ospedaliera; moderati dal prof. Adriano
Chiò, neurofisiologo e responsabile del Centro per la Sclerosi Laterale Amiotrofica con
sede all’ospedale Molinette. Si tratta di un diritto molto particolare in
quanto fondamentale e riconosciuto dalla nostra Costituzione, il cui
approfondimento evidenzia che c’è sempre competizione tra diritti e necessità,
ovvero diritto alla salute e la possibilità economica che hanno una indicazione
ben precisa nell’art. 81, in quanto si impone all’amministratore di prevedere
una copertura economica di tutte le spese sia pur, consapevolmente, che non
sempre è possibile.
Introducendo il suo tema-interlocutorio “Il diritto
alla salute è ancora tale?”, Zagrebelsky
ha citato l’art. 2 della Costituzione ovvero i diritti inviolabili
dell’uomo, soprattutto relativi alla salute e alla vita; ma anche l’art. 32 che
nella fattispecie presenta due aspetti: da un lato l’individuo che deve essere
“accompagnato” dallo Stato per ottenere il maggior livello possibile di salute
fisica e mentale, e dall’altro quello inerente la tutela della collettività,
come ad esempio attraverso programmi di prevenzione. «Secondo il testo originale
della Costituzione – ha spiegato – la cura gratuita sarebbe garantita solo ai poveri, ma in realtà la
Corte Costituzionale ha in seguito sviluppato il concetto di “indigenza medica”, ossia come
individui si può essere in grado di pagare le cure finché le stesse non
diventano eccessivamente costose; per cui si può essere indigenti e coperti da
questa norma costituzionale in relazione al tipo di cure. In ogni caso con il
SSN e le sue varie
regionalizzazioni, questo limite dell’indigenza è largamente superato nella
prassi, in quanto si è andati oltre il minimo garantito dalla Costituzione
stessa». È noto che ci sono Costituzioni, come quella americana, che non
coprono il diritto alla salute (previa assicurazione privata) come è previsto
da quella italiana; mentre altre sono più vicine alla nostra come quelle
francese, tedesca e svizzera anche se queste non menzionano espressamente il
concetto il diritto alla salute. Ma poiché tale diritto rientra in quelli
fondamentali della persona, in tutti i sistemi europei nelle loro Costituzioni
è comunque garantito nel rispetto della sua dignità. In questa materia gli
obblighi dello Stato italiano vanno ben oltre: già nella legge istitutiva del
SSN (n. 833 del 23/12/1978) si parla non soltanto della salute come cura
rispetto ad una malattia, ma anche di prevenzione, diagnosi, salubrità, igiene
dell’ambiente e degli alimenti, contrasto all’inquinamento, formazione
permanente del personale sanitario, sicurezza sul lavoro, ed altro ancora. «Tutti
aspetti – ha sottolineato il relatore – che hanno un costo:
quando si parla del problema rapporto risorse economiche disponibili e diritto
alla salute, bisogna vedere se tutti hanno l’accessibilità all’acqua potabile,
ad una abitazione confortevole, etc.; e tutto ciò rientra nei determinanti
sociali in tema di salute. All’interno di questo esteso campo ci sono anche i Livelli Essenziali di Assistenza (LEA),
ossia le prestazioni e i servizi che il SSN è tenuto a fornire a tutti i
cittadini, gratuitamente o dietro pagamento di una quota di partecipazione
(ticket); non solo per sostenere il minimo garantito, ma anche per imporre su
tutto il territorio nazionale che ciò sia assicurato attraverso la
regionalizzazione» (il riferimento è alla Riforma del Titolo V della
Costituzione). La limitatezza
delle risorse economiche, soprattutto di questi ultimi anni è un aspetto
del tema generale rispetto ad una situazione in cui vi è, da un lato l’aumento
dei costi (vedasi ad esempio il
notevole costo del farmaco per l’epatite C); ed è molto significativo
osservare il “conflitto” in ospedale e il senso deontologico dei medici in
rapporto con i malati e gli amministratori, con la continua prescrizione dei
farmaci nonostante si sappia della non disponibilità degli stessi. «La
limitatezza delle risorse, indipendentemente dalla crisi economica –
ha sottolineato il magistrato – implica
l’obbligo nei vari livelli decisionali nelle scelte di priorità. A riguardo,
ritengo che sia più onesto aprire un dibattito non tanto sulla priorità quanto
invece sulla posteriorità, e in materia di salute è notevole l’effetto di una
decisione di curarsene dopo; e ciò vale anche nell’ambito della Giustizia. In
materia di salute priorità e posteriorità sono scelte politiche nel rispetto
delle esigenze e dei valori». Relativamente ancora al conflitto tra medici
e amministratori in tema di farmaci il relatore, facendo riferimento ad una
Sentenza della Corte Costituzionale ha spiegato che in ogni caso spetta al medico la scelta della terapia per ogni
singolo caso, e ciò nel senso più ampio nell’interesse del paziente. In
effetti, quando si fanno delle scelte di priorità in ambito sanitario,
indipendentemente dall’aver superato o meno il budget previsto, è dovere
deontologico valutare le necessità terapeutiche del singolo malato, e singola è
la relativa responsabilità del medico, sia pur in evidenza di problematiche di
bilancio. E in caso di controversia c’è sempre la possibilità di rivolgersi ad
un giudice deputato a decidere in merito. Un’altra considerazione fatta dal
relatore ha riguardato il divieto di discriminazione, come quella alla non
facilità di accesso alle strutture sanitarie a cominciare, ad esempio, dalle
barriere architettoniche; ma più significativa è la discriminazione di carattere
economico, ancor peggio se riguarda i meno abbienti che non possono permettersi
la medicina integrativa (pratica che unisce terapie convenzionali e terapie
alternative di cui sono state dimostrate la sicurezza e l’efficacia), specie se
il SSN pubblico non dispone della stessa. Per quanto riguarda le liste di attesa secondo il relatore non sono un
segnale di disfunzione automatico e patologico, ma non c’é dubbio che
per alcune prestazioni tali liste sono troppo lunghe e “spingono” i pazienti a
rivolgersi al servizio sanitario privato che, normalmente, ha costi più
elevati, e il fatto che alcuni possano permetterselo e altri non significa,
appunto, discriminazione… «La
regolarizzazione del SSN – ha concluso Zagrebelsky – implica differenze che dovrebbero essere oggetto di commenti,
discussioni e scelte politiche diverse da una regione all’altra e al tempo
stesso di vicinanza alla popolazione. Dal punto di vista dell’equità se il
sistema funzionasse i Lea dovrebbero garantire l’inesistenza delle differenze,
ma così non è in quanto ci sono delle Regioni che non forniscono i Lea, e ciò è
deplorevole che sia tollerato…». Per quanto riguarda invece la medicina
difensiva (aspetto molto temuto dai medici) il relatore ha ricordato che
chiunque ha diritto a rivolgersi ad un giudice, pur dovendo far fronte a
determinati costi e alla “caduta” di immagine… A questo riguardo lungimirante è
l’esempio di altri sistemi europei, come in Francia, dove l’aspetto giuridico
funziona meglio proprio perché più razionale: sotto una certa soglia di danno
il cittadino leso viene risarcito senza dover affrontare alcun processo grazie
ad un predisposto fondo nazionale.
Ampiamente affrontato dal dott. Demicheli il tema “Prestazioni sanitarie: un graduale
ritiro dal SSN”, il cui concetto è relativo alla sostenibilità soprattutto
in questi ultimi anni, ossia l’idea che lo stesso non sia più sostenibile in
senso di garanzia a titolo gratuito, a parte le dovute compartecipazioni
(ticket) da parte del cittadino-paziente. Ciò ha avuto sinora un’accezione del
tutto qualificativa l’espressione “si spende troppo e non ce lo possiamo
permettere”, ma tale affermazione-convinzione deve essere un invito a
riflettere se quello che si sta spendendo può essere mantenuto nel tempo, e non
tanto quanto si spende ma di come si sta spendendo. Un esempio è la gestione
degli ospedali e dei sistemi informatici nel comparto sanitario. Facendo
riferimento alle aspettative di vita e di possibilità economiche, il relatore
ha posto l’attenzione sul fatto che nel nostro sistema la prevenzione ha
certamente un ritorno di investimento: poco denaro miglior investimento per
cure mirate, al contrario molto denaro produce poca salute. «Un
direttore generale d’Azienda – ha spiegato – interviene decurtando dove gli è possibile: prestazioni e risorse
giacché non può ridurre il personale medico e infermieristico. Quindi, la
sostenibilità è fattibile se si allocano risorse verso i consumi essenziali, e
il nostro SSN non è all’altezza per
far fronte nel modo dovuto alle cronicità, peraltro evitabili almeno in
parte attuando programmi di prevenzione e suggerendo diversi stili di vita,
oltre ad una più adeguata appropriatezza: ad esempio, il Piemonte consuma di più rispetto alla Toscana in diagnostica e specialistica. Ma soprattutto
si tratta di orientarsi maggiormente sull’appropriatezza organizzativa».
La spesa sanitaria cresce
per fattori demografici, l’avvento di nuove tecnologie, nuovi e
costosi farmaci, cui seguono il riconoscimento delle professionalità nel più oggettivo
concepimento del concetto di salute. La spesa maggiore sembra essere comunque
il comparto delle apparecchiature tecnologiche, sempre più sofisticate e al
passo coi tempi, quindi più costose, che peraltro non sostituiscono quelle
superate come la diagnostica per immagini. Piuttosto sul concetto di salute,
secondo l’epidemiologo piemontese, bisognerebbe sfruttare meglio il
mantenimento della stessa, residua, prevenendo per quanto possibile eventi che
possono peggiorare lo stato in essere con conseguenti costi elevati; e la spesa pubblica non “affonderà” certo per
colpa della Sanità ma della Previdenza… «Tuttavia – ha precisato il relatore – l’aspetto più importante sono le appropriatezze dei vari aspetti
organizzativi, e va detto che la spesa pubblica non sta crescendo da alcuni
anni; il sistema è monitorato
soprattutto dalle Regioni in piano di rientro, bloccando il tournover del
personale e mettendo dei tetti alla spesa; rilevando nel contempo che
non si è fatto nulla per investire e tanto meno per attivare politiche di
sviluppo». Nel frattempo cresce la spesa privata, ossia è in salita la
spesa “out of pocket” (direttamente dalle tasche del cittadino-paziente); ossia
circa 31 milioni di italiani che
hanno avuto urgente bisogno di almeno una prestazione sanitaria, e a
causa di liste di attesa troppo lunghe nel pubblico, si sono rivolti al
privato; contemporaneamente oltre 12 milioni di persone lo scorso anno hanno
rinviato o rinunciato a prestazioni sanitarie. «In effetti – ha concluso Demicheli
– si spende di più per il privato nelle
Regioni dove il sistema sanitario funziona meglio; ma la convinzione che si
debba spendere di più laddove il SSN non fa il suo dovere, non corrisponde al
vero. Quindi, il presunto fenomeno che
il sistema pubblico “affondi” non è così scontato… Si tratta piuttosto
non di consumare poco ma in modo più appropriato, di non esaurire le riserve e
di preoccuparsi meglio del futuro per garantirci la continua sostenibilità».
Nelle foto: dall’alto il prof. A. Chiò, il prof. V. Zagrebelsky e il dott. V. Demicheli
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