IL DOVERE DI RICORDARE CHI SI È PRODIGATO
PER IL PROSSIMO E SE NE È ANDATO IN SILENZIO...
Due medici che, con
dedizione e umiltà, hanno contribuito a far crescere
la cultura
medico-scientifica e i valori umani nell’ambito del sociale
di Ernesto Bodini
Le persone che per
scelta e con determinazione si dedicano agli altri, qualunque sia il loro
impegno, solitamente per loro conta l’essere e non l’apparire, anche se poi la
“notorietà” talvolta è inevitabile per via di un loro ruolo operativo
all’interno di una associazione di volontariato a cui fanno capo. Un modo di
agire e di esserci che in ogni caso non è privo di umiltà, oltre che di
professionalità, come i due medici che ritengo doveroso ricordare soprattutto
perché non sono più tra noi. Sulla figura del dottor Luciano Bussi (nella foto), torinese, scomparso oltre
dodici anni fa, ci sarebbero molte cose da dire per ricordarlo in tutto il suo
contesto esistenziale, con il quale ho avuto diversi contatti come giornalista
per la sensibilizzazione e la divulgazione dei problemi che investono le
persone disabili. A parte qualche intervista e la mia presenza durante alcuni
convegni scientifici e socio-culturali da lui presieduti, ho avuto modo di
apprezzare la sua grande umanità non solo perché lui stesso era affetto dalla
distrofia muscolare (per anni è stato presidente per la sezione piemontese della
Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare – Uildm), ma soprattutto per il
suo animo sensibile che per anni lo ha sostenuto nel seguire in particolare i
diritti e i bisogni dei malati di distrofia muscolare e in generale di tutte le
persone con handicap. Ricordo che è stato un ottimo chirurgo e che la malattia
lo ha privato troppo presto dell’esercizio di questa nobile professione;
tuttavia la sua profonda cultura umanistica e scientifica, la penna toccante,
puntuale ed elegante, come pure i suoi eloquenti e dotti interventi in ambiti
congressuali e associativi, hanno reso altrettanto beneficio a tutti i pazienti
affetti da distrofia e ai loro famigliari proprio come se avesse dovuto curarli
con il bisturi.
Molte sono state le
sue pubblicazioni e gli articoli (oltre alle molteplici interviste rilasciate)
sia per argomenti medico-scientifici che culturali e di aggregazione sociale.
Tra queste, che ancora conservo ed ho recensito, porta il titolo “Il disabile ieri e oggi” (Ed. Minerva
Medica, 1989, per il Comitato Regionale Piemontese della Uildm, sezione di
Torino), con lo scopo di ricordare il problema della disabilità, e
dell’handicap che spesso ne consegue poiché molti non prestano sufficiente
attenzione ai complessi risvolti che una minorazione motoria, psichica o
sensoriale, determina sulla vita di una “persona”... «Troppo spesso o per viltà – precisava ancora nell’introduzione –, il problema viene aggirato o valutato in
modo errato». Constatazioni di allora che valgono ancora oggi tanto da
richiamare alla memoria la sua figura di grande esperto. Per tutte queste
ragioni il breve ritratto non vuole essere un’evoluzione di complimenti od encomi, ma più
semplicemente ed obiettivamente la “completa” testimonianza di un uomo saggio
che resterà nel ricordo di molti. Mettere in pratica i suoi insegnamenti
significa valorizzarlo al meglio e non rendere vani i suoi esempi di una vita
vissuta con quella dignità che tutti noi dovremmo fare nostra.
Ho frequentato per
anni la professoressa Irene Mathis (Torino 1938-2011, nella foto), medico di famiglia, specialista in Cardiologia e Metodologia
Clinica, libera docente in Patologia Speciale Medica. I miei incontri e
collaborazioni sono stati in relazione al mio ruolo di giornalista avendo
seguito e recensito diversi convegni medico-scientifici da lei organizzati e a
volte presieduti, spesso sotto l’egida dell’Associazione Medici Cattolici
Italiani (AMCI) di cui lei era presidente per la sezione torinese; ma anche nel
mio ruolo di biografo per aver divulgato in conferenze le figure di Albert
Schweitzer, Albert B. Sabin e Don Carlo Gnocchi. Ha esercitato la professione
per circa cinquant’anni ponendosi sempre con umiltà e con toni pacati, e allo
stesso modo nell’organizzare conferenze
e convegni sempre molto frequentati, sia per la disponibilità di eccellenti
relatori che per l’importanza culturale, oltre che pratico-clinica, degli
argomenti. Il suo entusiasmo e la sua intraprendenza hanno caratterizzato non
poco il suo percorso di medico e di umanista, tanto da trascinare ogni volta un
uditorio sempre più soddisfatto di ogni aspettativa... «Nella sua sensibilità a tutte le dimensioni della persona malata –
ricorda la dottoressa Elena Vergani sul periodico Torino Medica del settembre
2011 –, si è radicato l’interesse per le
questioni bioetiche e l’impegno sia nell’AMCI che nella Associazione Bioetica
& Persona. Significativo il suo contributo all’Ordine dei Medici, ove ha
ricoperto per molti anni il ruolo di componente della Commissione su Etica e
Deontologia». Della professoressa Mathis conservo ancora alcune sue
attestazioni scritte sia dal tono personale che professionale, a ricordo e
testimonianza dei suoi insegnamenti, della sua saggezza e della sua cristiana
bontà.
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