SI STAVA MEGLIO QUANDO SI STAVA PEGGIO

PREOCCUPANTE EVOLUZIONE DEI TEMPI. UNO SCOTTO DA PAGARE

L’assenza di obiettività, razionalità e di comuni intese non può che
favorire l’impoverimento di un Paese... senza confronti. E non c’è politica
in grado di risanare la situazione: “si stava meglio quando si stava peggio”

di Ernesto Bodini



Mi si lasci dire che ritengo sia assurdo “accanirsi” sul mantenimento dell’età pensionabile per il 2019 a 67 anni (a 70 anni entro il 2050) sia per l’uomo che per la donna (anche se di qualche mese in meno per quest’ultima), pur considerando parametri politici e socio-economici cui devono attenersi l’Inps e i Dicasteri del Lavoro e dell’Economia, che comprenderebbero qualche nota attenuativa inserita nella manovra di bilancio in fase di approvazione. Ma queste “Entità valutative” si sono confrontate con i demografi e gli statistici nell’ambito della Medicina generale e del Lavoro? Ora, se l’età media per l’uomo e per la donna è rispettivamente di circa 79 anni e 84,5 anni, bisogna considerare le patologie cui sono maggiormente soggette le persone (e quindi anche i lavoratori)  e agli infortuni sia sul lavoro che di varia natura, e che tali possono manifestarsi con maggiori probabilità soprattutto oltre la soglia dei 60 anni. Inoltre, parte dei lavoratori sono (o saranno) candidati a svolgere il ruolo di caregiver per assistere i loro familiari anziani affetti da pregresse pluripatologie. Ebbene, io credo che dedicare 40 anni della propria vita al lavoro sia più che sufficiente (salute permettendo), e magari ancor meno anni per chi ha svolto determinati lavori considerati usuranti (oltre che notturni) e/o di particolare rischio per la salute e per la vita. Ciò richiama alla memoria lo scandalo delle cosiddette “Baby pensioni” del 1973, riconosciute ad oltre 500 mila lavoratori mandati in pensione prematuramente: con soli 25 e 19 anni di anzianità rispettivamente per i dipendenti statali e degli enti locali. Un’eredità che ricade negativamente ancora oggi sui lavoratori giovani, e che sino al 2012 è costata all’erario 150 miliardi di euro, oltre ad aver “favorito” molte opportunità di un altro lavoro (in nero). A parte questo breve “riepilogo” storico, e tornando alla questione attuale, vorrei dunque spezzare una lancia in favore di alcune categorie di lavoratori, cui si dovrebbero particolari accorgimenti e agevolazioni (quindi anche di sollievo), come ad esempio i manutentori delle strade, gli addetti all’edilizia, gli operai delle fonderie e raffinerie, i conduttori di veicoli pesanti, i palombari, gli operai addetti alla catena produttiva, quelli addetti alla rimozione dell’amianto, tutti coloro che lavorano nelle cave e nelle miniere, etc. Probabilmente parte di questi ed altri lavoratori, sono già all’attenzione di chi deve tutelarli, ma il continuo dibattere, ripensare, modificare e rimettere in discussione ciò che deve essere legiferato, credo faccia perdere di vista la tempestività nelle decisioni e soprattutto la razionalità delle stesse. Ma al di là delle competenze che spettano agli addetti e ai politici, nel frattempo assistiamo ad una costante disoccupazione oltre a fare i conti con il debito pubblico (più di 2.600 miliardi di euro), nel contesto del quale va rilevato che nel 2016 circa 2,3 miliardi di euro comprendevano sprechi e cattiva gestione della P.A., nonchè truffe ai finanziamenti pubblici;  per non parlare degli eventi lesivi ”generosamente donati” da madre Natura (inondazioni, alluvioni, siccità, terremoti, etc.), cui vanno ad aggiungersi le considerevoli spese per gestire l’intera e sempre più crescente “flotta” dell’immigrazione. Ma non basta. Il nostro Paese versa tuttora in costante degrado: edifici pubblici a rischio incolumità, strade dissestate, ed altro ancora, il cui ripristino e/o manutenzione darebbe lavoro a tutti i disoccupati per un bel po’ di anni.



E, a questo riguardo, è inutile sfornare laureati se poi la necessaria manovalanza non viene motivata ed attivata. Da sempre si sa che investire in mano d’opera implica guadagno e i relativi corrispettivi di tasse e spese tali da far “girare” il denaro che, a sua volta, può essere reinvestito sotto varie forme... pensioni comprese. Ma mettere d’accordo decine di fazioni politiche che tutte insieme costituiscono 950 decisori tra deputati e senatori, è quanto meno utopia e da qui, provvedimenti spesso non ottimali e quasi mai risolutivi. Un piccolo paradosso. In quasi tutte le città italiane molti stranieri hanno aperto nel nostro Paese attività lavorative in proprio (più o meno lecite e controllate nella regolarità), e gran parte di essi hanno una abitazione, se non anche sussidi pubblici per coloro che sono indigenti (?), mentre i nostri connazionali onesti in gran parte boccheggiano e sono costretti ad arrangiarsi..., un verbo che talvolta rasenta l’illegalità. Inoltre, il fonomeno delle badanti, ormai quasi tutte di origine straniera, occupano una porzione lavorativa più o meno decorosa...; ma prima di questo “insediamento” chi assisteva i propri familiari indigenti? Una delle conseguenze di tutte queste problematiche la si ravvisa nei 5-6 milioni di poveri reali, ma al tempo stesso anche di tutte quelle forme di emarginazione che sono poi causa anche di crimini d’ogni sorta: evasione fiscale, corruzione, proliferazione di falsi invalidi, sfruttamento del lavoro in nero (capolarato), delitti contro la persona e il patrimonio di vario genere, clientelismi e nepotismi a pie sospinto, etc. Dunque, quali considerazioni poter fare? Ricordiamo tutti che sino alla metà degli anni ’70 il nostro Paese era più più vivibile, favorito naturalmente dal benessere generale, ma è logico dedurre che il progresso in senso lato, l’imponente libertà dei costumi, la libertà di trasgressione, come pure la non certezza della pena a partire dal Riforma del Codice di Procedura Penale del 1989 (che un noto penalista definì “una Riforma tradita”), a mio avviso sta portando l’Italia al collasso, un baratro che a breve vi cadrà anche il sistema sanitario, destinato alla più o meno totale privatizzazione... con immaginabili conseguenze. Vorrei concludere con un altro appunto. A differenza di altri Paesi come ad esempio quelli anglosassoni, l’Italia non ha mai considerato il valore della meritocrazia in qualunque settore lavorativo, sia pubblico che privato, la cui conseguenza la si riscontra, ad esempio, nella cosiddetta “fuga dei cervelli”; inoltre, le Istituzioni si sono sempre adagiate sul volontariato (libera azione sociale compensativa del Welfare, sic!); due pecche che stiamo pagando a caro prezzo e solo gli “eletti”, davvero pochissimi e quindi rari, potranno considerarsi fortunati... ma non certo fieri di un Paese che dicasi civile,  moderno e degno d’Europa. Ma la civiltà che cos’è? E i princìpi della Costituzione che valore hanno ai fini interpretativi e soprattutto applicativi, come l’elusione in particolare dell’art. 3? È evidente che se tutti avessimo opinioni chiare e reali capacità interpretative, non esisterebbero né dubbi né conversazione.

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