DESOLAZIONE A TALVOLTA ABBANDONO A CAUSA
DELLA CRONICITÀ
Se la sensibilità fa ancora parte della specie umana,
ciascuno dovrebbe ravvedersi
ora per poter costruire il proprio futuro con il diritto
del rispetto e della dignità
di Ernesto Bodini
Trascorrono
gli anni e con essi si sommano i problemi di una società (la nostra, tanto per
non uscire dai nostri confini nazionali), sempre più distorta, disorientata,
avvilita, sofferente e alla mercè delle perpetue azioni dei loro stessi
componenti e della Natura che, par suo, sembra proprio non risparmiarci
nulla... Tra questi l’invecchiamento della popolazione la fa da padrone tra
fastidi, acciacchi, umiliazioni e qualche “ripensamento” se continuare ad
esistere o meno. Su quest’ultimo aspetto è bene soffermarci tutti (non è mai
troppo tardi) su cosa ci aspetterà una volta superata la soglia dei 65 anni-70
anni, e si può giungere alla conclusione che parte di noi andrà incontro a più
o meno seri problemi di senilità, specie se è la sfera mentale ad essere
colpita, e qui, si potrebbe fare un discreto elenco di morbosità che, a seconda
della gravità, renderanno a dir poco infelice la vita dei soggetti colpiti e
dei loro familiari. Da un po’ di tempo mi capità l’opportunità (ma in verità è
cosa voluta) di far visita a qualche anziano ricoverato in strutture per lungo
degenti, residenze pubbliche e/o private convenzionate dove il personale
qualificato e i cosiddetti Oss (Operatori socio-sanitari) non sono quasi mai
sufficienti (poco personale costa meno...!), e a volte poco inclini a prendersi
cura dell’assistito nei suoi minimi particolari proprio perché totalmente non
autosufficiente. A parte i casi più gravi citati dalla cronaca (deliberato
abbandono e maltrattamenti dei ricoverati), in altre realtà la situazione
appare più “vivibile” ma altrettanto priva
di alcuni (banali) accorgimenti che vanno dall’accudimento più costante della
persona al mero intrattenimento della stessa. Basterebbe trascorrere una mezza
giornata in alcune di queste strutture per assistere ad un clima di
desolazione, in cui si incontrano pazienti in carrozzina fissati alla bene
meglio alla stessa, dove il loro parlare è un continuo lamentio più o meno ad alta
voce; alcuni sono affetti da una forma di ecolalia come un ritornello
inconsapevole, altri ancora restano immobili con lo sguardo fisso al soffitto o
al pavimento quasi ad invocare un Santo che li venga a prendere. Quelli che
ancora connettono accennano a qualche breve dialogo, e invocano il ritorno a
casa propria supplicando sia i propri familiari che il personale di servizio.
Intanto, il tempo trascorre lento e inesorabile, scandito dall’andirivieni dei
presenti in struttura e da quella poca luce di solidarietà che pare essere
assente (o comunque molto modesta); come pure il sommarsi delle ore e dei
giorni contribuisce all’aggravamento delle condizioni patologiche di ogni
ospite, in carrozzina o nel letto, in attesa non di una guarigione (data la
cronicità delle stesse) ma di essere accolti in quel Giardino che si chiama
Eden, dove poter realmente riposare senza dover dire grazie a nessuno e dove
per l’ospitalità non è richiesta alcuna retta o un ticket di compartecipazione,
liberando operatori e Istituzioni dal “peso” dell’assistenza e della
responsabilità. Ora, è pur vero che vi sono realtà ospitanti gli anziani
affetti da una cronicità più vivibili e quindi lodevoli, ma è altrettanto vero
che cominciano ad essere troppi coloro che, ancora in piena salute, dichiarano
apertamente di non voler arrivare ad una condizione di precarietà esistenziale,
preferendo una soluzione che, eticamente, lascio interpretare al lettore. Anche
questa è una verità dei giorni nostri, una verità che non ha ora, è di tutti i
momenti in cui sembra inopportuna!
L'immagine è tratta da www.superando.it
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