A Torino un ciclo
di conferenze sulla cultura della prevenzione
LE MALATTIE NEURODEGENERATIVE VISTE
SOTTO
LA LENTE DELLA MEDICINA
MULTIDISCIPLINARE
di Ernesto Bodini
Per
il quarto anno consecutivo sono ripresi i cicli di conferenze a cura della associazione
“Più Vita in Salute” presieduta dal dott. Roberto Rey, con il coordinamento
organizzativo di Giovanni Bresciani. Il pacchetto comprende 12 interventi (ogni
lunedì dal 6 novembre all’11 dicembre) di noti clinici esperti in diverse
discipline, con l’obiettivo di raggiungere il maggior numero della popolazione con
informazioni sulle basilari conoscenze della cultura della prevenzione delle
patologie, attraverso suggerimenti e consigli, che interessano ogni fascia di
età, e in particolare gli over 65. La prima relazione di lunedì 6 novembre è
stata tenuta dalla dott.ssa Daniela Leotta , direttore della S.C. di Neurologia
del Presidio ospedaliero Martini e Direzione S.S. Dipartimentale Rete
Alzheimer. La relatrice ha fatto il punto su quando la memoria non funziona
più... e sulla malattia di Parkinson: che cos’é e come si cura. Due argomenti
di notevole attualità che vanno perpetuandosi nel tempo chiamando in causa le
malattie neurodegenerative in genere, il cui esordio si manifesta con un
andamento progressivo compromettendo quod vitam (per ciò che riguarda la vita) e quod valetudinem (per ciò che
riguarda la salute). «Sono malattie –
ha spiegato la relatrice – che comportano
disabilità e difficoltà nel far fronte alle abitudini quotidiane, oltre ad una
dipendenza da altre persone: famigliari, caregiver, etc.». È certamente
insito in ognuno voler invecchiare, se non anche l’utopica ricerca dell’immortalità,
un mito che si protrae sin dalla notte dei tempi, ma il problema più realistico
consiste nell’invecchiare possibilmente bene e quindi in buona salute. «Invechiare
– ha precisato – significa avere più
probabilità di contrarre determinate malattie, e proprio per questo, non
bisogna confondere gli aspetti di una malattia con l’invecchiamento
fisiologico... Se talune non sono curabili in gran parte è possibile prevenirne
l’insorgnza e soprattutto il loro decorso». Ciò a fronte della puntuale statistica
che considera l’italia il Paese più longevo d’Europa con 13,4 milioni di ultra
sessantenni (il 22% della popolazione). Ma quali le cause? Secondo la neurologa
le ipotesi prendono in considerazione diversi fattori tra i quali gli stili di
vita, i fattori ambientali, la predisposizione genetica, etc. i quali possono
influire più o meno in modo determinante. Tuttavia, è bene adottare atti di
prevenzione sia pur in considerazione del fatto che l’invecchiamento è
soggettivo. Particolare riferimento è stato fatto alla malattia di Parkinson
(M. di P.), all’origine descritta da James Parkinson (1755-1824) “An Essay on
the Shaking Palsy”, ossia paralisi agitante, cui sessant’anni dopo il neurologo
francese Jean-Martin Charcot (1825-1893) diede l’eponimo di Malattia di
Parkinson. Ma spesso questa malattia viene confusa, per certi aspetti, con la
malattia di Alzheimer, mentre in realtà ambedue hanno caratteristiche ben
diverse. «La M. di P. – ha spiegato
la neurologa – presenta al suo esordio
dei movimenti involontari, talvolta con tremore, e difficoltà nel comunicare
anche a causa di un decadimento delle funzioni cognitive, per lo meno nel 30% dei
casi». La M. di P. è la seconda malattia degenerativa dopo la demenza
senile di Alzheimer (0,3% della popolazione generale) con maggior frequenza
negli uomini rispetto alle donne; raramente colpisce soggetti trentenni, mentre
in genere colpisce dai 50-60 anni in poi. «I
sintomi – ha sintetizzato la dott.ssa Leotta – sono diversi e comprendono difficoltà motorie (movimenti
involontari), tremore (da non confondere
con il tremore senile), variazione della mimica facciale (amimia), alterazione del tono muscolare (rigidità
e frequenti cadute), alterazione della scrittura (micrografia); inoltre, alterazione o perdita dell’olfatto
(anosmia), stipsi, disturbi del sonno
in fase Rem: rapid eye movement (movimento rapido degli occhi), ipotensione, depressione, eccessiva
produzione della saliva (scialorrea)
e disturbi urinari». Secondo uno studio dell’Istituto Superiore di Sanità i
casi affetti di M. di P. nel nostro Paese sono oltre 220.000, e si osserva una
significativa variabilità territoriale: nel periodo 1969-1987, ad esempio, si è
rilevato un tasso di incidenza progressivamente crescente in direzione est-ovest,
ossia dal Friuli Venezia Giulia al Piemonte.
La
seconda relazione, tenuta dal dott. Antonino Maria Cotroneo, neurologo e
presidente dell’Unità Valutativa Geriatrica (UVG) ex Asl To2, ha preso in
considerazione con particolare approfondimento la demenza e patologie
associate, stili di vita, fattori di rischio e prevenzione precisando che oltre
alla prevenzione è importante la diagnosi precoce del deterioramento cognitivo,
anche perché non tutti gli anziani invecchiano con tale disturbo o comunque con
più evidenza nella sua manifestazione. «La
demenza – ha sottolineato – è una
priorità di salute pubblica, e ciò comporta affrontare il ritardo della
diagnosi, insufficiente sostegno al caregiver, assenza di cure risolutive
adeguate, come pure la scarsità di accesso ai trattamenti, etc. Tra queste
demenze la fa da padrone la malattia di Alzheimer (M. di A.) che è sicuramente
la più diffusa, la cui diagnosi deve essere il più precoce possibile, per poi
impostare una cura che richiede una serie di interventi». Tra questi sono
ben noti e consigliati l’assunzione di una dieta mirata e razionale, corretti
stili di vita, esercizi fisici, vivere in ambienti di socializzazione e magari
favoriti da uno interscambio di reciproche esperienze, abolizione di fumo e
alcool, e riduzione dello stress. Nel loro insieme questi interventi portano a
comprendere che la demenza è un malattia non solo del soggetto che ne è affetto
ma anche della sua famiglia; ed è quindi una patologia a forte impatto emotivo
ed assistenziale, che però la si può aggredire (ma non guarire) con i farmaci
od altri accorgimenti comportamentali ed assistenziali, specie se a domicilio.
“L’evoluzione della domanda di salute in
campo psicogeriatrico e neuropsicogeriatrico – ha spiegato il neurologo – è mutata nel tempo, e ciò comporta progetti
ed obiettivi a maggior tutela degli anziani: curare e prendersi cura, un
“imput” volto a mantenere nel paziente una migliore qualità di vita”. Sono
molti i soggetti ultra 75enni ricoverati nelle RSA (51,6% in Piemonte), una
realtà numerica che però varia da una regione all’altra, e ciò implica in tutti
questi i casi un’assistenza di tipo continuativo e multidisciplinare, con il
particolare coinvolgimento del medico di famiglia. «In Geriatria – ha spiegato il dott. Cotroneo – si riscontrano pazienti con decadimento cognitivo cui seguono
comorbilità quali incontinenza, immobilità, instabilità, iatrogenicità ossia
interazioni farmacologiche che sovente sono causa di alterazione della terapia
nell’anziano, soprattutto con demenza. Se si riducono i fattori di rischio ed
alcune comorbilità come il diabete, l’ipertensiomne, la depressione, l’obesità
e il fumo, si potrebbe prevenirne l’incidenza». I segni premonitori si manifestano
con modificazioni del sonno, un comportamento generale inadeguato, il
dimenticare di prendere le medicine, il vestirsi in modo inappropriato, il calo
ponderale, etc. La M. di A. rappresenta un piccolo-grande pianeta che in Italia
è popolato da circa 600 mila pazienti, ossia il 47% di tutte le forme di
demenza. La prevenzione di questa patologia è certamente un obiettivo ambizioso
e gli accorgimenti sopra descritti lasciano spazio per una migliore qualità di
vita e, per quanto possibile, ad un ritardo della sua evoluzione a conforto del
paziente stesso, dei suoi famigliari e del caregiver.
Foto di Giovanni Bresciani: in alto la
dott.ssa D. Leotta, in basso il folto pubblico.
Commenti
Posta un commento