GIORNATA INTERNAZIONALE DELLA POLIO
La malattia non è ancora “polio free”. Per
debellarla definitivamente sono
indispensabili la vaccinazione e la cooperazione
di tutti: istituzioni e privati cittadini
di Ernesto Bodini
Quello dei vaccini non
è e non vorrebbe essere un tema controverso, tanto meno un argomento ridondante
ad oltranza, ma più semplicemente un costante contributo alla corretta
informazione affinché un giorno non si possa dire: «Io non sapevo». Se come titola il libro del medico e ricercatore in
Immunologia Roberto Burioni “Il vaccino
non è un’opinione” (Ed.
Mondadori, pagg. 159), un
concreto contributo sulle vaccinazioni
spiegate a chi proprio non le vuole capire, lo deve essere però la discussione
aperta e l’approccio della comunità scientifica per colmare un vuoto di una
informazione sempre più affidabile e comprensibile a tutti, magari con degli
esempi e/o riferimenti storici: la storia è saggezza perché sapere e non sapere
fa sempre la differenza. Ma veniamo all’attualità. Il 24 ottobre ricorre la
Giornata internazionale contro la poliomielite, un’attenzione voluta dalla Global Polio Eradication Initiative
(GPEI), che comprende Rotary International, Unicef, Centri statunitensi per il
Controllo e la Prevenzione delle Malattie (CDC), Organizzazione Mondiale della
Sanità (OMS), Fondazione Bill & Melinda Gates e governi di tutto il mondo.
Sino ad oggi otre 2,5 miliardi di bambini sono stati immunizzati in 122 Paesi, una
imponente opera vaccinale che ha permesso di prevenire 5 milioni di paralisi
poliomielitica e 250 mila decessi provocati dal virus. Ciò nonostante lo
spettro del “the clipper” (lo “storpiatore” come ironicamente gli americani
definivano il virus della polio) sta riapparendo anche in Euopa (dichiarata
“polio free” nel 2002) per le scarse coperture vaccinali in molti Paesi, come è
stato affermato dal Commissario UE alla Salute e alla Sicurezza Alimentare
Vytenis Andriukaitis, nella recente riunione sui vaccini a Bruxelles. Nel 2010
il virus poliomielitico ha colpito 14 persone in Russia, e nel 2015 in Ucraina
l’infezione ha causato la paralisi di 2 bambini di 4 anni e di 10 mesi; mentre
l’ultimo caso verificatosi in America risale al 1979, e in Italia nel 1982. Dal
2012 alcuni anni focolai stanno interessando anche Afghanistan, Nigeria e Pakistan:
nel 2012 i casi sono stati, rispettivamente 37, 121, 58 e nel 2013, altrettanto
rispettivamente, 14, 53, 93.
UNA MALATTIA INFETTIVA... ANCORA
DA TEMERE
Alla luce di questi dati, credo che valga la pena ricordare, sia pur sinteticamente,
che cos’é la poliomielite. Per lungo tempo è stata nota come paralisi infantile
perché colpiva (e colpisce) soprattutto i bambini da 2 mesi a 6 anni. È
infettiva, acuta e contagiosa che nelle forme più gravi colpisce una porzione
del midollo spinale, causando all’insorgenza paralisi flaccida a carico di vari
gruppi muscolari degli arti, del tronco e della gabbia toracica; è causata da
un virus (nella foto un ingrandimento al
microscopio), ossia un piccolissimo microrganismo la cui esistenza fu
dimostrata per la prima volta nel 1908, in occasione di una epidemia scoppiata
a Vienna, dal biologo e fisiologo austriaco Karl Landsteiner (1868-1943), e dal
chirurgo-pediatra austriaco Erwin Popper (1879-1955). La malattia, dopo alcuni
giorni di incubazione, può manifestarsi in tre forme: abortiva, in cui il paziente presenta sintomi vaghi quali cefalea,
nausea, vomito, angina, etc. e che guarisce nel giro di qualche giorno; non paralitica, in cui oltre ai sintomi
già descritti, il paziente presenta dolori e rigidità della nuca e del dorso; paralitica, il cui quadro clinico è
dominato dalla paralisi flaccida. Un tempo, fino al 1940, si pensava che il
virus penetrasse attraverso la mucosa del rinofaringe; in seguito, per il fatto
che il virus è presente più spesso nell’intestino e si elimina con le feci, si
ritenne che la porta d’ingresso dovesse essere l’apparato gastrointestinale.
Nei Paesi sottosviluppati (sia ieri che oggi), nei quali i bambini vengono
lasciati spesso in promiscuità sin dalla più tenera infanzia, la poliomielite
assume carattere endemico, tanto che la quasi totalità della popolazione
infantile al di sotto dei cinque anni risulta infetta e con immunità
permanente. Nel corso delle epidemie che si sono verificate per molti decenni in
molti Paesi soprattutto dell’America, dell’Europa e dell’Africa, la
poliomielite è sempre stata prevalentemente a carattere stagionale, tant’è che
l’acme della curva della morbilità concideva con il periodo più caldo
dell’annata. Accadeva talvolta che l’estate fosse precoce o che vi fosse
un’estate tardiva supplementare, in quei casi la morbilità seguiva la curva
della temperatura ambiente. Inoltre, è stato rilevato il fatto che, durante una
epidemia, alcuni si ammalavano ed altri no, faceva pensare che avessero anche
importanza alcune cause predisponenti in quanto era difficile stabilire, anche
durante un’epidemia grave, vedere più di un ammalato in una stessa famiglia,
malgrado i continui contatti.
Purtroppo, oggi, non si può ancora parlare di polio free a fronte di questa manifestazione epidemica di ritorno e,
per non veder vanificati gli encomiabili contributi degli scienziati Joans Salk
(1914-1995) e Albert Sabin (1906-1993) – (insieme
nella foto) che, con la realizzazione dei rispettivi vaccini, hanno
contribuito a rendere immuni dalla poliomielite quegli oltre 2,5 miliardi di
bambini, è inevitabile ricorrere ai predisposti programmi vaccinali
contribuendo, da parte nostra, a diffondere l’informazione della cultura
attraverso la collaborazione con le figure professionali preposte, mettendo al
bando ogni pregiudizio e guardando in faccia la realtà. In caso contrario, è il
caso di ribadire quanto sosteneva lo scrittore inglese Aldous Huxley (1894-1963):
«Il fatto che gli uomini non imparino
molto dalla storia, è la lezione più importante che la storia ci insegna».
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