Il quotidiano di una città dove c’è
posto per tutti e per nessuno…
Una visione che non
lascia spazio alle incertezze per negare una realtà di tutti i
giorni. E intanto il degrado umano e di vita
sembra scorrere senza una fine...
di Ernesto Bodini
È sempre più desolante
“inciampare” per le vie cittadine in esseri umani, seduti o sdraiati sui
marciapiedi accanto al loro misero giaciglio, qualche residuo di cibo, e
nemmeno di che dissetarsi, oltre a quella misera ciotola o scatola di cartone
se non addirittura un residuo di bicchiere di plastica per “ospitare” una
misera moneta per garantirsi un boccone, magari l’unico in tutta la giornata. È
la figura del clochard, ovvero l’uomo che vive e dorme in strada… chissà
per quali recondite ragioni; in taluni casi in compagnia del proprio cane,
fedele amico che con altrettanta umiltà occupa lo stesso spazio senza mai
sconfinare, mentre i suoi occhi roteano un po’ qua e un po’ là quasi a voler
capire se cadrà la monetina nella piccola ciotola legata al suo collare. Due
esseri in simbiosi con la stessa dignità e lo stesso diritto di esistere, ma
non sono pochissimi coloro vedendoli tirano dritto volgendo lo sguardo altrove,
come se provassero pietà se non addirittura vergogna… Queste scene
metropolitane sono ormai una quotidianità e un po’ ovunque nel mondo, ma
volendo restare nella mia città di residenza (Torino), che in questi decenni ha
subito numerose metamorfosi estetiche e comportamentali anche a causa della
costante promiscuità, non è meno “responsabile” di un tale degrado sociale,
peraltro in netto contrasto con la cultura storica di remota memoria, fruibile
soltanto a chi non vive sui marciapiedi ma non per questo privi di appartenenza
anche a loro… Già, perché la città è di tutti, anche dei clochard, che certamente
non la disprezzano e magari la amano di più… forse perché si sentono tollerati.
Ma qual è il limite di
questa tolleranza? E in che misura? Sono anch’essi esseri umani che come tutti
hanno avuto una storia, un vissuto che nessuno di noi può e deve giudicare, non
solo perché non lo conosciamo ma anche perché, se non soprattutto, come
sosteneva Albert Schweitzer (1875-1965): «Non si ha il diritto di indagare
nell’intimo degli altri. Il voler analizzare i sentimenti del prossimo è
indelicato. Non c’è solo un pudore del corpo, esiste anche quello dell’animo
che bisogna rispettare. Anche l’animo ha i suoi veli, dei quali non ci si deve
liberare». Ciò è saggezza che rientra in quell’etica che tanto decantiamo
ma che spesso sulla quale sorvoliamo, per poi girarci dall’altra parte dove non
vediamo colui (o colei) che in silenzio ci tende la misera ciotolina, spesso ad
occhi bassi non per vedere se dentro vi cade la monetina, ma più semplicemente
(e quasi sempre) per non vedere l’indifferenza e l’egoismo che camminano con
passo pesante sullo stesso marciapiede. A tutti, oltre che a me stesso, vorrei
ricordare che la dignità è la nobiltà che l’uomo ha per sua natura, per i suoi
meriti; rispetto che, per tali ragioni, ha di sè stesso ed esige dagli altri.
In questo caso, da tutti noi per loro… anime silenziose che non sanno piangere!
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