Oltre un secolo fa nasceva la dottoressa
Olga Villa
Doveroso ricordo di un medico umile e dal forte carisma
umanitario al servizio dei più poveri e indifesi in Africa
di Ernesto Bodini
In un’epoca sempre più
contrastata in cui la donna è sempre più soccombente anche durante l’esercizio
della sua professione, ricordare un esempio di bontà e dedizione può essere in
qualche modo un conforto per i colleghi, soprattutto al femminile. La “convinzione”
di Ippocrate credo che sia stata ben appresa e messa in pratica dalla
dottoressa Olga Villa, fondatrice dell’ospedale nello Zambia che oggi porta il
suo nome. Dopo anni dedicati come medico al servizio del prossimo, sostenuta da
una innata generosità ma anche da quel pragmatismo che è tipico di chi vuol
proseguire un ideale ama misurarsi con i fatti: non per nulla è stata definita “Schweitzer
in gonnella”. Poco incline a “recepire” titoli onorifici come quello di Cavaliere della Repubblica conferitogli
dall’allora Presidente della repubblica Sandro Pertini (1896-1990), alla
dottoressa Villa stava più a cuore l’attività del suo ospedale fondato a Mwandi
(Livingston), nel sud dello Zambia, al confine con il Borswana (un dispensario
fondato nel 1875 da Lutangu Sipola e dal 1884 protetto dalla protestante
Mission Paris), con la preoccupazione della continuità di questa struttura
soprattutto al sopraggiungere della vecchiaia e della malaria che ne hanno
segnato il fisico tanto da dover rientrare in patria. Olga era una donna
particolarmente minuta, dallo sguardo acuto e una sensualità che ammalia e
mitiga le imperfezioni del suo fisico e della sua figura ossuta, a differenza
delle tre sorelle. Era nata a Torino nel 1916 da una famiglia colta e abbiente:
il padre era un violinista romagnolo, trasferitosi a Torino (divenuto secondo
violino sotto la guida di Arturo Toscanini (1867-1957); la madre, una colta
orfana svizzera-tedesca. È una donna che passa inosservata, quando vuole, e
questo le permette di divenire prima staffetta della Resistenza e in seguito
medico di una brigata garibaldi, la componente partigiana legata al partito
comunista.
Si laurea a Torino nel
1940 lavorando alla tesi con il nobel Rita Levi-Montalcini (1909-2012). Dopo il
conflitto viene assunta all’Olivetti per assistere i lavoratori nell’avveniristica
azienda piemontese. In seguito si trasferisce in Svizzera dove lavora in nun
ospedale psichiatrico (probabilmente perché attratta dalle teorie dello
psichiatra e psicoanalista austriaco Alfred Adler (1870-1937). Nel 1951 fa
ritorno a Torino. Fatica a trovare un lavoro che la soddisfi e accetta il ruolo
di medico della mututa in Barriera Nizza. «Quella
che vive in quegli anni – precisa la scrittrice Lorenza Salomon – non è la carriera di un medico di successo,
ne è costretta da particolari gratificazioni: non sente di appartenere alla
società borghese intellettuale torinese del tempo, ne a quel modo di vivere.
Pare che abbia sofferto per amore, ma a questo proposito non ci sono riscontri
certi, anche per via della sua estrema riservatezza». Si avvicina ancora
una volta al credo protestante e si rivolge all’associazione svizzera Mission
Paris che si occupa di smistare medici e infermieri in missioni dimenticate dal
mondo civile. Olga si rende disponibile a portare il suo aiuto in qualunque
destinazione purché di lingua francese. Inizialmente la sua candidatura è
ostacolata perchè donna, non più giovanissima e senza alcuna esperienza all’estero,
ne di organizzazione ospedaliera. Ma è determinata e nel 1965 ottiene un posto
nella missione di Mwandi. Dopo non poche difficoltà (come la non conoscenza
della lingua inglese e tanto meno del dialetto africano) raggiunge la
destinazione. Ed è così che si “inventa” e realizza un ospedale qualificato che,
per i primi vent’anni, manda avanti con l’unico sostegno di una infermiera
scozzese e personale del posto. Oltre a curare i malati (per i 120 posti letto)
si prodiga nel reperire fondi per l’acquisto di materiale sanitario e
apparecchiature elettromedicali. Pone le fondamenta di uno degli ospedali più
efficienti della regione, e dà vita al primo e unico reparto di maternità di
quell’area africana; inoltre riesce a formare alcuni infermieri fra i nativi.
Uno dei pochi obiettivi che riporta con fierezza è proprio la costituzione del
reparto maternità e, fra i primi compiti che si prefigge, c’è quello di
insegnare alle africane a non partorire in piedi: in quella posizione è
impossibile aiutare loro e i bambini, che spesso cadevano e morivano.
La vita al villaggio
Mwandi è scandita dalla povertà, dalla siccità, dalla fame e dalla malaria che
Olga contrae quasi subito, essendo molto fragile. Organizza l’ospedale
applicando la disciplina impartitale dalla madre svizzera, sia per quanto
riguarda l’igiene che la logistica e l’efficienza. «Fra le tante “insidie” che trova in Zambia – precisa ancora Salomon
– vi è la varietà dei credi religiosi che
faticano a convivere; pertanto decide che all’interno della Missione ogni
mattina si celebri un culto diverso, e lei partecipa a ognuno senza ostacolare
alcuno». Non è dato a sapere le difficoltà quotidiane che Olga deve
fronteggiare tanto da non confidare nemmeno durante i rimpatri (uno ogni tre
anni) a Torino; così come non si vanta dei successi ottenuti. Lavora con
discrezione e umiltà, fino al 1983 quando, in occasione di una visita della
sorella Isotta, ottantenne, si rompe un femore: Olga è l’unico medico della
missione, gli infermieri non sono in grado di assisterla, si organizza così il
viaggio di rientro in Italia. Arriva a Roma accompagnata dalla sorella, la
quale manifesta i primi sintomi della malattia di Alzheimer, peraltro non
ancora diagnosticata. Nel contempo è febbricitante, pesa 35 Kg., ha 78 anni.
Giunta a Torino la dottoressa Olga viene ricoverata al CTO e operata. E
stremata dalla fatica; lo Stato italiano non l’ha cautelata dei suoi diritti
(dall’Africa non riusciva a pagare alcun contributo e quindi era priva di
pensione) e Olga ha potuto contare solo sul sostegno della sua famiglia: per
non pesare sui loro equilibri, chiede asilo alla comunità romana di Sant’Egidio
dove viene accolta e assistita amorevolmente. L’elegante volto, sia pur segnato
dalle prime rughe, è ritratto da alcune foto scattate prima della partenza da
Torino per Roma. Si è spenta il 19 febbraio 2002 all’età di 86 anni. Nel 1985
ha ricevuto dal Presidente Pertini il Premio Minerva (dedicato alle donne che
si sono distinte); nel 1986 è stata nominata Cavaliere della repubblica da
Francesco Cossiga (evidentemente sarebbe stato uno sgarbo rifiutarlo per la
seconda volta...!, nda). La pubblicazione del 2004 di Francesco Bori: “Per
Olga Villa dottore in Africa. Le stelle dell’altro emisfero”, ne approfondisce
la vita dedicata ai più deboli e più poveri, e che descrive con grande
sensibilità.
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