PARLARE, PARLARE, PARLARE...

LA COMUNICAZIONE VERBALE IN REGRESSO

La verbosità da un lato, e l’incomunicabilità dall’altro, tra i mali dell’era moderna


di Ernesto Bodini



Se è vero che il buon Dio ha concesso il dono della parola (e quindi dell’udito) al genere umano, sono molti (a parte le rare eccezioni rappresentate dagli eremiti e dal clero di clausura) a sfruttarlo al massimo. Tra questi, tutte quelle persone che comunicano verbalmente per lavoro, ma in particolare i politici in senso lato e i parlamentari in senso stretto i quali spendono ore (anche di sonno) della propria vita a comunicare, tra di loro. E a qual fine? Probabilmente non è mai stata fatta una ricerca in proposito, ma è facile supporre che due terzi della propria esistenza sono vissuti parlando, parlando, parlando... un continuo ripetersi di verbi, aggettivi per proposte, contestazioni, azioni di rivalsa, offese ed altro ancora. Per avere un’idea di quante parole scorrono inutilmente come un fiume in piena tra i “detentori” della parola interminabile, sarebbe sufficiente seguire per qualche giorno i dibattimenti quotidiani in Aula parlamentare ed altri attraverso talk show televisivi e di piazza; il tutto condito da resoconti ripetitivi e spesso inutili, mentre molto meno attivi sono i doni dell’ascolto, della comprensione, della razionalità e del... perdono. Ma tant’è. Sin dalla notte dei tempi la stirpe umana (mi piacerebbe scrivere la parola “uomini”, ma non ce la faccio) ha potuto progredire grazie alla comunicazione, e nello stesso tempo ha potuto anche ledere la dignità dei propri simili e ciò, nonostante le moltissime lingue e gli infiniti idiomi che hanno avvicinato gli uni agli altri. Anche se ogni cultura è rappresentata da un proprio modo di intendere e di parlare, non sempre la stessa corrisponde alla diretta (o indiretta) comprensione, ecco che il genere umano tende a differenziarsi sempre più e quindi ad allontanarsi. Io credo che con l’avvento della tecnologia nell’ambito della comunicazione (mezzi di trasporto compresi) il saper comunicare ha subìto una radicale inflessione: oggi non si scrive più una cartolina, non si scrive più un testo di condoglianze, non si scrive più una lettera d’amore (magari accompagnata da un fiore profumato), e soprattutto spesso ci si avvicina esprimendoci a monosillabi, a sottintesi, a gratuite sentenze per non parlare del lessico che definirlo impudico è mero eufemismo.


Va anche detto, e questa è una “sottigliezza” non da poco, che da quando esistono i cellulari per le comunicazioni private si tende a non rendere più disponibile il proprio numero telefonico di rete fissa; ma l’assurdo è che, con l’avvento di questi modernissimi e sosfisticati mezzi di telefonia, molte persone li usano con eccessiva libertà comunicando ad alta voce, anche in luoghi pubblici e sui mezzi di trasporto, ed ancor peggio durante la guida. Ecco che la privacy per molti non sussiste, creando disagi ed imbarazzi anche in chi si trova nelle vicinanze “costretto” a sentire cose altrui... peraltro anche molto delicate. Tutto questo rientra nell’evidente eccessiva e spasmodica loquacità (soprattutto via cavo), in taluni casi con conseguenze davvero spiacevoli! Ma è tutta colpa del progresso, della liberalizzazione degli usi e costumi, del diritto al non divieto, ed altro ancora? Non è certo facile rispondere, credo nemmeno da parte di un sociologo o figura analoga; ma a mio modesto avviso, sarebbe bene fare la seguente considerazione: se nei secoli scorsi l’umanità in varie epoche doveva soppesare quanto doveva comunicare, oggi la stessa, proprio perché si è evoluta, dovrebbe soppesare che l’eccessivo diritto di parola può rappresentare, sia pur all’inverso, l’incapacità di comunicare razionalmente in quanto non meno lesiva dei tempi trascorsi. Dilungarsi su queste riflessioni è forse inutile, ma mi pare significativo quanto affermava il filosofo greco Epitteto (50-125 d.C.): «Dio ci ha dato due orecchie, ma soltanto una bocca, proprio per ascoltare il doppio e parlare la metà». Una saggezza che, se rispettata, contribuirebbe, perlomeno, a ridurre il ricorso agli otorinolaringoiatri e probabilmente anche agli psicologi e agli psichiatri.





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