Etica dell’informazione tra professione e
attività non-profit
Alla
riscoperta e al mantenimento dei valori socio-culturali
di Ernesto Bodini
È noto che chi si
occupa di informazione sa (o dovrebbe sapere) che il ruolo della divulgazione è
da considerare un diritto-dovere, un serio impegno che garantisca la crescita
culturale, sociale e civile. Ma chi si occupa di informazione? Verrebbe da dire
solo i mass media, ossia i giornalisti (peraltro sempre più “bersagliati” e
oggetto di critica… a torto o a ragione), addetti alle pubbliche relazioni
(P.R.), addetti stampa (che non sempre sono giornalisti, specie nell’ambito
della Pubblica Amministrazione), organizzatori di congressi, e naturalmente
scrittori. Ma in realtà chiunque, attraverso i vari mezzi di comunicazione, può
informare, divulgare, erudire e persino consigliare (vedi ad esempio le
numerose rubriche tenute da esperti e opinionisti). A questo proposito è sempre
utile ricordare che informazione è fornire una notizia, o una serie di
notizie; comunicazione è farla pervenire a destinazione in modo
comprensibile. Ma con quale etica si informa e si intende raggiungere
l’opinione pubblica? E soprattutto cos’è l’Etica? Tutte le volte che
pronunciamo questa parola sarebbe bene conoscerne l’etimologia, ma anche
rispettarne il significato: l’etica è la disciplina filosofica che si occupa
del problema morale, ossia del comportamento (dal greco êthos) dell’uomo
in relazione ai mezzi, ai fini e ai moventi. L’etica si divide in due branche
principali: la teoria del valore e la teoria
dell’obbligazione. La prima indica lo studio del significato dei
termini valutativi (buono, cattivo, desiderabile, etc.) e la natura del bene;
la seconda il significato dei termini che esprimono obblighi (giusto, ingiusto,
onesto, etc.).
Poiché l’informazione e
la comunicazione sono ruoli molto delicati, soprattutto se gli argomenti in
questione hanno risvolti sociali per il coinvolgimento diretto o indiretto
delle persone, verrebbe da chiederci: è necessario un “codice etico”
che garantisca correttezza, obiettività, rispetto della privacy nei confronti
del fruitore? Oggi, rispetto a non molti anni fa, esistono codici etici per
tutte (o quasi) le discipline professionali: medici, avvocati, notai,
infermieri, giornalisti, assistenti sociali, etc. Ma è proprio necessario,
possiamo ancora chiederci, stilare un “codice etico” per garantire il buon
esercizio di una professione, o di una attività di volontariato? Personalmente
ritengo che un buon comportamento e quindi un corretto atteggiamento etico deve
essere patrimonio interiore di ciascuno di noi, e a maggior ragione se
ricopriamo un ruolo sociale e responsabile come quello dell’informazione che,
se completa e corretta, produce soddisfacimento dei bisogni primari e di
condizioni di vita adeguate; ma anche il rispetto della dignità umana che
superi la logica del profitto, spesso causa di incompleta o scorretta
informazione. Io credo che nessun “vademecum”, per quanto utile, possa
sostituire la nostra moralità se la stessa fa parte della nostra persona, del
nostro “Io”: o siamo etici, o non lo siamo, non esistono mezze misure se si
possiede senso di giustizia, professionalità, coerenza, imparzialità,
tolleranza, poiché soltanto ciò che è autenticamente etico è autenticamente
razionale. E solo se nella mentalità comune sono presenti convinzioni etiche ed
ideali etici, essa sarà in grado di agire veramente in vista dell’utile.
I requisiti che
riteniamo essere necessari per svolgere il ruolo dell’informazione non devono
intendersi come pronuncia di semplici aggettivi, ma come dotazione di un
patrimonio a garanzia del rispetto delle persone che intendiamo avvicinare e
coinvolgere, e dei risultati che possiamo garantire loro con la semplice
informazione o con una prestazione di una più “concreta” solidarietà.
Approfondendo alcune mie riflessioni in tema di saggezza e bontà, specie se
riferite al ruolo del volontariato, in più occasioni ho avuto modo di
sottolineare che «il vero Io dell’uomo è nella sua psiche, ossia nella sua
intelligenza; e poiché l’anima è la sede di tutti quei valori che sono
squisitamente umani, i veri valori non potranno essere se non i valori
dell’anima, basati sull’intelligenza che cerca il bene del prossimo».
Nell’ambito della Sanità, in particolare, primeggiare è un verbo che acquisisce
un “valore etico” oltre che economico, quando i risultati sono conosciuti e
condivisi da tutti; la cui acquisizione è data dal ruolo degli operatori della
comunicazione. Oggi, migliorare i servizi in ambito sanitario e sociale non
basta. La nostra salute fisica e psichica dipende non solo dalla rete
assistenziale, ma anche dalle nostre abitudini, dai nostri stili di vita.
Conoscere, attraverso i mezzi di comunicazione i rischi di comportamento non
corretti è un innegabile diritto del cittadino-utente, e un dovere per chi è
preposto alla tutela della salute pubblica; come pure di chi è preposto
all’informazione. Insomma, una corretta e puntuale informazione fa bene alla
salute!
Ma cosa e come
comunicare le problematiche sociali (davvero infinite), soprattutto se si
esercita un ruolo “non-profit”, sia a livello individuale che collettivo? In
questo contesto la prima regola da tener presente è che bisogna orientarsi
sempre in una direzione e non in ogni direzione; ovvero, il rispetto della
dignità della persona specie se questa è “disturbata” da motivi di salute
fisica e/o psichica. Quando la salute non riguarda solo il singolo individuo,
ma si arricchisce di connotazioni culturali o di valore sociale, sono gli
organi di informazione che svolgono un’importante funzione nell’orientare il
fruitore con atteggiamenti, considerazioni e scelte soprattutto in tema di
salute. Ciò avviene attraverso la capacità di informare e quello di cui parlano
è quasi sempre importante, magari per il solo fatto che ne parlano, favorendo
il formarsi di una pubblica opinione (che a volte può essere “condizionata” in
bene o in male; da qui, l’importanza di una corretta etica dell’informazione).
Inoltre, l’etica dell’informare e del comunicare a mio parere implica il
prodigarsi per controbattere i “falsi valori”, le scorrette norme di
comportamento e i compromessi, ma anche la persistente ipocrisia e l’ignoranza
(soprattutto attiva…) che serpeggiano costantemente tra la maggior parte delle
persone. Va da sé che tutti coloro che, obiettivamente e con onestà, credono di
essere nel giusto, sono di solito quelli che realizzano qualcosa. Anche se gran
parte del tessuto sociale non se ne avvede per cronica cecità.
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